Gennaio 2013. Cònsolo 2
A luglio ricordo gennaio; è già tutto così lontano,
più lontano dei pochi mesi - infine - che separano le due date. C'era
stato Dicembre 2022. Consolo1,
c'erano altre amiche da ringraziare, cui fare doni, con me ancora c'era
Teo. Mi feci coraggio. Menu: Peperoni cruschi; Peschette al tartufo; Lenticchie rosse con il cardamomo; Terrina gorgonzola, pere, pain d'épices; Smörgåstårta con paté di salmone e guacamole; Sformato di zucchine di Cecilia; Dolce di ricotta.
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Gennaio 2023. Festeggiamo l'antropologo. Non che fosse il compleanno, ma gli antropologi vanno festeggiati, sempre. Eravamo in cinque, era appena inziato il mese di gennaio, si era ancora nel tempo delle feste, non so perchè avevo messo lucette, o forse so perché, volevo avere piccole pozze di conforto nel buio; poi avevo adornato il ramo fino a farlo piegare sotto il peso delle leggere palle di vetro, andavo distribuendo pacchetti. Fuori c'erano due rampicanti in fiore: la bouganvillea che faceva la pazza, e quell'altra dalle foglie grassocce e i fiori gialli che invece fioriva proprio nel suo momento, che è il pieno inverno. Appena mi ricordo come si chiama, lo scrivo. C'era ancora Teo, il mio braccio non era ancora rotto, sembrava quasi che avrei ripreso a cucinicchiare qualcosa; poi c'è stato il lungo periodo dell'immobilità, Teo perso nelle Filippine, l'arrivo di Mercedes con le sue verdurine lesse. Ma qui cucinicchiai, con l'aiuto di Teo. Tutte cose già fatte di recente, e un recupero dal passato, lo stinco al limone, fatto mille e mille anni prima e poi mai più. Questa volta ho usato la Slow Cooker. E venne buono. Dunque, menu: pane guttiau, carasau dorato in forno con un filo d'olio d'oliva e uno spruzzetto di sale; crostini con pere carammellate (appena un po') noci e camembert; vellutata di formaggio e spinaci, dal bel colore e di assoluta semplicità, adatta a una perplessa com'ero; sformato di zucchine di Cecilia, che ancora non sono riuscita a fare come deve essere: più angelico, molto più angelico, però buono abbastanza; lo stinco al limone; una fantastica torta portata dagli ospiti.
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Gennaio 2023. Viviana e Barbara.
Per tutto il periodo natalizio l'albero è stato un cesto a più piani pieno di pacchetti continuamente rinnovati. Pacchetti a cui faccio vestiti da bambola: sottovesti, gonnelline, ricami, cuffiette, nastri, e infine biglietti ricavati da qualsiasi pezzo di carta si presti come voglio. Dentro questo stratificato involucro c'è anche qualcosa: qualche volta di comperato, altre di acchiappato girando lo sguardo per casa. Gli ospiti in successione, cena dopo cena, prendono il loro; pacchetti restano, altri si infilano nel posto dei donati. La stanza nera - mi accorgo che in confidenza la chiamo così, per il predominio del colore nero, ai miei occhi così colorato - tutta stravolta dall'arrivo dalla smantellata Venezia (c'era una casa là, amatissima, ora lasciata e svuotata) del grande tavolo di legno con le sue belle zampe circonvolute che non ho potuto che appoggiare lì, in attesa che vada dove non so, ma dovrà andare. Addio addio caro gattone, o cavallo, o toro, non so che bestia sei, ma quelle zampe mi fanno pensare che camminerai e ci separaremo, dopo essere stati insieme per tanti anni e più case, fedelmente seguendomi, ma adesso è ora di dirci addio. Prima dei saluti però ti ho fatto lavorare per la prima volta davvero: appoggiato al tavolo nero, hai tenuto sulle spalle pacchetti, piatti, bicchieri, cibi, sei sembrato quasi indispensabile, hai quasi chiesto di restare lì.
Fotografo la stanza che attende, il tavolo che allestisco con un kanga tanzaniano bianco e nero. E allora piatti bianchi e neri, goti venziani bianchi, e a fare colore piastrelle berlinesi. Un kanga bianco e nero, senza scritte (in genere i kanga hanno sempre scritte sentenziose, questo no). Ha pure una curiosa aria cinese. Ma c'è il marchio del made in Tanzania: è una conquista della Tanzania. Durante l'era coloniale, i kanga, tipica stoffa locale con un densa storia di disegni, di significati simbolici, di usi che vanno dal vestito alla culla, a qualsiasi cosa si possa fare con un pezzo di stoffa rettangolare, incluso il lanciare messaggi grazie alle scritte quasi sempre presenti, erano disegnati da esperti tanzaniani, ma poi venivano prodotti all'estero e tornavano come merci importate. Dal 1880 fino alla fine degli anni '60, i produttori furono europei, poi asiatici. I fabbricanti gestivano anche il trasporto fino alle città portuali swahili, dove grossisti e dettaglianti ricevevano i tessuti finiti. I distributori, ditte mercantili o case commerciali, coordinavano tutto grazie alle conoscenze specialistiche, ai consigli e alle capacità di esperti residenti nelle città portuali swahili: mercanti indiani che sapevano come soddisfare le richieste in continua evoluzione delle acquirenti dei tessuti kanga, le donne dell'Africa orientale. Quando in Tanzania si vogliono rilanciare le fabbriche tanzaniane, la presenza dei cinesi è fortissima (quanto è lungo e stretto il rapporto Tanzania - Cina, risale al tempo del socialismo, quanto è attivo ancora oggi, con i progetti cinesi di sfruttare la Tanzania). Con la Cina, soccombere o collaborare; qui siamo nell'industria tessile. A partire dalla dichiarazione di indipendenza del Tanganica nel 1961 e dalla successiva unione con Zanzibar per formare la Tanzania nel 1964, vengono fondate fabbriche nel paese, e attivate politiche a sostegno della neonata industria tessile nazionale. Ad esempio, Urafiki o Friendship Textile Mill - che produce questo kanga - è stato un investimento congiunto tra la Tanzania dalla recente indipendenza e la Cina socialista alla fine degli anni '60. Notate quanto il disegno del kanga che uso come tovaglia sia cineseggiante.
Sì, ma le amiche? E che si mangia? Arrivano Viviana e Barbara, per la prima volta insieme a cena da me, molte chiacchiere, non sarà l'ultima, sono tessitrice di amiche nella terza vita, mi pare di capire. Uno spuntino: Pane guttiau caldo, sempre così piacevole da sgranocchiare. Lenticchie rosse con cardamomo, un piatto già fatto - mi sto avventurando pochissimo in nuovi piatti, ripeto i già fatti, un'assoluta novità per AAA, e ci sto pure provando gusto. Poi provo una ricetta di Isolina, prendendo le misure e divagando: il piatto di Isolina è bruno e ricciuto, il mio bianco come un domenicano. Subito dopo lo rifarò raddoppiando la verza e brunendolo anch'io: Verze e riso rosso. Come riso rosso userò il riso rosso del Kerala. Barbara porta un piatto di famiglia: la loro Torta rustica con formaggi e salumi. Viviana una squisita ceese cake semifreddo con mirtilli.
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Gennaio 2021. L' Epifania
A Roma piove da giorni, il cielo è nero di nubi, in casa ci vogliono sempre luci, lucette, moccoli. Improvvisamente, il giorno dell'Epifania splende quanche ora di Sole davvero divina. Ci arrampichiamo fino a Villa Doria Pamphilj, non la vediamo da mesi, la ricordiamo brulla di polvere, eccola verdissima di erbette, muschi e licheni ricamano fittamente vecchi tronchi neri di pioggia, ci sono segni delle recenti tempeste: un pino giace riverso e immenso tra gli altissimi fratelli, i rami accasciati al suolo brulicano di bambini. L'Orto Botanico è chiuso, con gli ultimi furti allestisco un centro tavola: sparsi a terra c'erano verdi rametti di tasso - forse gli ultimi temporali; poi le belle piume del magnifico cipresso di Montezuma, che virano dal verde tenero al color rame; quindi dei rami baffutissimi di conifera incognita. Dai terrazzi prendo qualche foglia del ficus bonsai che prospera eccessivamente - non oso cimarlo, ma si dovrà fare - e qualche fiore di elleboro. Decido che o la va o la spacca: Tovaglia (rossa e oro! Indiana!). Moccoli (rossi e oro!). Centrotavola (con furti botanici!). E rana pescatrice al latte di cocco more Kerala, super! La sua presenza giustifica la frittura di squisite pappadam. Ho fatto appena in tempo a cambiare la mise dei quattro protagonisti (Bambino escluso); Mucca e Asino si prestano meglio, una diventa rosa, l'altro viola, collari di fiori, corna d'oro, criniere rosse ed è fatta; più difficile la coppia, la sua sacralità inibisce i pupari, si parte da una base anodina; non resta che intingere lei nei verdi-blu, lui nei rosa-arancio, e poi gran pennellate di porporina. Menu (si fa per dire, e non stupitevi della sequenza, la zuppetta poi, in conclusione, alla cinese): Rana pescatrice con latte di cocco, quasi indiana, quasi Kerala; riso al vapore; pappadam ; Minestra di funghi e patate dolci viola.
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Gennaio 2020. E se noi comunque volessimo sperare?
Mentre l'insensatezza ci viene rovesciata a secchiate sulla testa, tra una sputazza e un'altra ci strofiniamo gli occhi e sbirciamo dentro il vuoto, come determinati a vaticinare qualcosa. Così, giovani e vecchi, come una volta accanto al fuoco, o sotto l'albero, o dovunque fosse il genius loci, ci parliamo. L'undicesima (attenta) partecipante alla riunione testimonia della comunanza tra mondi, del rifiuto di continuare a fare la parte, noi umani, di chi, solo, la sa lunga. Sul tavolo: Pasta e Fagioli di Teo; Carciofi e patate mediterranei in crosta inglese. Hot water pie crust; Crostata di noci con glassa di cioccolato
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Gennaio 2020. A cena da Polsonetta e Cornucopio
Arrivano due veneziani, Cornucopio si mette ai fornelli, ne sortiscono ottimi piatti. Mandorle salate di Polsonetta (ancora calde, ce le aspettiamo ogni volta, e ogni volta ne mangiamo a più non posso); Zuppa amiatina di funghi e castagne. Toscana; Seppie in zimino. Toscana; Insalata mista con mele acidule; Torta Greca. Venezia (questa la porto io: a Cornucopio nelle vesti di cuoco i dolci dicono poco, mi infilo qui).
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Gennaio 2020. Catturo gli dei e ci avvolgo gli ospiti
Torniamo dall'India del Sud, ho una magnifica pezza rossa e oro che non vi dico dove ho comperato, ancora ho le lacrime agli occhi dalla gioia e per aver sfiorato vari dei di persona, è il tipo di pezza con cui si vestono le statue nei templi e su c'è un mantra: OM!; ci metto su a passeggio una Vacca Sacra che viene da Madurai e con cui c'è già vero amore. Arrivano veneziani, altri ne raduniamo, di espatriati a Roma (ma perfettamente adattati, Silvia vede Trastevere come fosse il sestiere di San Polo, dove è nata: conosce tutti gli abitanti, finestra per finestra); ci sono poi due liguri napoletani. Li immergo tutti nell'India fin sopra i capelli, vedremo come va. Sono orgogliosa di loro: non hanno fatto una piega, hanno festeggiato ogni cosa (alla fine abbiamo pure contato sei bottiglie in nove). Menu: Un'alta pila di meravigliose Pappadam (trovate da Castroni, di farina di ceci); Onion Coconut chutney, Vengaya Coconut chutney, Tamil Nadu; Tomato Chutney; Coconut Chutney (inseguo saovissimi chutney mangiati in Kerala, appunto di cipolle, di pomodori, di cocco; quello di pomodori è approvato, quello di cipolla pure ma dopo modifiche, quello di cocco no, per il cocco un po' secco; Teo è esperto, dice che con quel cocco non si poteva fare di più; rimando la ricetta al prossimo); Chana Dal, Bengala gram, ovvero ceci neri decorticati (un dal non può mancare, e sono tutti indistintamente buoni; vuol dire lenticchia, e già di lenticchie ce ne sono tatissime, ma poi vuol dire anche faglioli decorticati, ceci...); Egg Curry Karnataka Style, Motte Saaru Recipe (questo è il piatto più sostanzioso, e con miriadi di ingredienti, ma oramai Teo e io cominciamo a capire come funziona, questa cucina); Steamed rice, riso al vapore (trovo su rete il magnifico matta rice, il riso rosso del Kerala, ne arrivano dieci chili in un battibaleno, eccolo in tavola, assorbe i rivoli di sughi speziati e aromatici che caratterizzano ogni piatto), Chapati, pane piatto indiano (qui abbandono Teo in cucina con l'impasto crudo e una padella: arrivano gli ospiti, che faccia lui; risponde con eroismo, ma ci dobbiamo ancora lavorare); Patate lesse (adotto la strategia di mettere in tavola un piatto innocentissimo, per chi avesse un turbamento; non hanno turabamenti, ma ne mangiano almeno due); Pastiera (con un vertiginoso salto, eccoci a Napoli, nel cuore, nella milza di Napoli: Ida ha fatto la pastiera per il suo Alfredo, ne approfittiamo).
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Gennaio 2020. Una cena appena un po' indiana, ma sotto la protezione di Gau Mata, Kamdhenu, Surabhi
Mentre allestico la tavola, sciabolate di sole. E questo chi è? Sciva o Giove? (Non ci capisco più niente). Mucca Sacra, Gau Mata, Kamdhenu, Surabhi, appena cerco il tuo nome affondo nella molteplicità indiana di nomi, di versioni, di lingue; camminavi pochi giorni fa su una tovaglia rossa e oro, ora ti poggio su una azzurra (indiana anch'essa, prato conosciuto, terra madre). Il passo resta tranquillo, passeggi qui come lì mentre il traffico di piatti ti aggira, certa della tua immunità, del tuo diritto; nessuno ti ignora. Menu: Palline di ricotta in brodo (gradite, molto, come sempre: chi non le ama?); Tarte épicée aux Brillat Savarin et fromages de chèvre (nome esotico per una tarte con formaggi che fino a poche ore prima non sapevano che avrebbero fatto questa fine, ma che ritengo necessaria per non costringere alle uova indiane le timide commensali); Egg Curry Karnataka Style, Motte Saaru Recipe (le addolcisco, le domo; in effetti, erano proprio innocenti, infine); Arance in insalata (una delle migliori insalate invernali); Torta Greca. Venezia, versione con torrone (ne ho già fatta una senza torrone, la ricetta vera; replico, provo un'aggiunta che penso le doni; buona); portate delle ospiti, Torta di ricotta e Torta di cioccolato: squisite.
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Gennaio 2020. Camino e peperoncino
Non c'è niente di meglio che accorgersi che non potremo evitare di fare una cena dopo l'altra; questa è la seconda di gennaio, si profilano la terza e la quarta, finché c'è fiato stenderemo tovaglie e accenderemo il camino, e poi c'è la cucina indiana da provare, dài! Questa volta un giovane eroe ingoia un intero peperoncino e sperimenta l'abbraccio di Parvati. Sul tavolo metto un piatto di Patate lesse in caso di incidente (domestiche, note, accoglienti, fumanti, per chi volesse mettersi in salvo) e infatti poi ne mangiò una. Poi Pappadam (queste sono di farina di riso, le ho trovate pronte da friggere nel mercato Esquilino, mai più senza); Steamed rice, riso al vapore (quanto è semplice, quanto è bello, viene fuori tutto irsuto come un porcospino); Restaurant Style Dal Tadka (ovvero uno degli infiniti dal tadka, in versione un po' elaborata, non casalinga); Vendakkai puli kuzhambu curry. Curry di okra e tamarindo (adotto l'okra, o gombo, una certa verdurella a trombetta che tutto il mondo usa, ma di cui noi sappiamo poco, e che richiede certi maneggiamenti perché non rilasci mucillaggini; Teo la conosce, lavoriamo di concerto, insomma il piatto è buono, ma deve avere un futuro di miglioramenti); piccoli Dolci di Le Levain, tra cui i meravigliosi bignè, portati dai tre giovani ospiti. Tutto questo accade su un muslim sarong di Papua Nuova Guinea (sì, eccentrico, ma non ho foglie di banano).
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Gennaio 2020. Si ricomincia! (Non sembra, ma è lavoro)
Gennaio 2020. Si ricomincia! (Non sembra, ma è lavoro). Due ruote, per andare: una dolce e una salata. Per i curiosi sul diametro: 34cm. E un vassoio di paste arrivate in motorino, sempre una bella impresa. Torta di patate e formaggio; Tarte d'Angoulême, torta di mandorle Angoulême, Charente.
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Gennaio 2020. Una Befana indiana, quasi una Befana del Kerala
Apprezzatissime vacanze indiane ci fanno saltare a piè pari tutto il nataliziume possibile e immaginabile, per altro in genere fronteggiato con tattica, onore e qualche buona idea, per cui non esploderò in esclamativi del tipo meno male. Così, tornando in tempo per la Befana, vogliosi acchiappiamo l'ultima festa per la coda e invitiamo tre amici; ma Kali è troppo presente per declinarla sotto le vesti della nota Vecchia Signora della Calza. Irrompe l'India dl Sud, con una cucina che mai avrei pensato di sentire possibile per me, che invece - miracolo, miracolo! - ecco che lo è diventata. E dire che c'ero già stata dieci anni fa, ma non avevo capito niente, se non che era un affare diversissimo da tutto ciò che ero abituata a mangiare, anche perché i ristoranti indiani a noi noti sono India del Nord. In India del Sud c'è un mirabile equilibrio di molti sapori complessi, che giunge a semplice, armonica fusione, con punte piccanti mai eccessive (per me, per noi), caso mai stimolanti, di un cibo totalmente inedito, per struttura prima di ogni altra cosa, forse. Tale cibo ci viene offerto (a noi resto del mondo) con tremulo timore dai locali: troppo piccante, troppe spezie? Ci guardano apprensivi, pronti ad assitere a scomposte, penose reazioni. Se avrò un'altra vita, farò un'antropologia del gusto: penso che in tali esitazione da un lato, terrore dall'altro, si incontri tutta la santa, bella differenza tra culture, che in India grazieaddio ancora si sente, c'è. Sul tavolo metto una tigre acquistata in un laboratorio in cui abbiamo visto gli scultori all'opera tra le fiamme; i Chola, la dinastia che in quei luoghi - oggi Tamil Nadu - eresse templi bellissimi, tra cui tre mirabili che visitammo, aveva la trigre sugli stendardi. Anche le stelle di carta (tante ne abbiamo viste laggiù), il re e la regina del Rajastan che il venditore di Kochi ci ha dato giurando (spergiurando) fossero locali, mettono India nella stanza. Dunque, menu, che non ha sequenze, va tutto in tavola: Pappadam (trovate già pronte da friggere sia al mercato Esquilino che dai meravigliosi Fratelli Innocenzi di Trastevere, che Sciva li tuteli); Spinach thoran, Kerala (ovvero, spinaci e cocco); Pumpkin and toor daal curry - Kerala style (le inevitabili lenticchie con cui si fanno tanti ottimi piatti, congiunte con la zucca); Kerala chiken curry (curry non è quel che forse pensate, sono foglie dell’albero del curry, che ovunque si mettono lì e quasi introvabili qui, ma ho scoperto che ci sono nel fantastico mercato Esquilino; sostituite questa volta con foglie di kaffir lime e alloro); Steamed rice, riso al vapore (con basmati, in attesa di trovare il loro magnifico red rice, o matta rice); volevo pure fare del pane, di cui ho anche belle provate ricette, ma rinunciai, cucinavo da sola e non volevo morire; Budini di perle di tapioca al cardamomo, cui aggiungiamo una Dadolata di cachi e uvetta portata da Polsonetta e Cornucopio insieme e un Panpepato, unica eccentricità nel menu (tal budino lo abbiamo mangiato in Karnataka, credo sia frutto del tentativo di ampliare la loro esigua offerta di dolci; non mi è riuscito, anche se promette bene e fu sorprendentemente apprezzato quasi da tutti; il resto – lo dico con le lacrime agli occhi – era buono: sono indiana).
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Gennaio 2019. Mettere gli amici nella bisaccia
Recuperarli, uno per uno, quelli della vita, e metterli nella bisaccia, portarli con sè (già la vita è ostica, mica possiamo lasciarli in giro qua e là). Allora, tra recuperati eravamo in sei; mangiammo: Pane solare pensando all'Uzbekistan, Piatto di formaggi di capra con gelatina di vino, Crema di yogurt, quasi una maionese, Crema di pecorino con erbette, Jarret de veau en potée, o Stinco con le verdure, Brodo di stinco (rifaccio un piatto della mia preistoria, uno di quelli che al mondo non si fanno più, da campagna francese affamata), Sformato di ricotta e patate, Frappe, Confetti (ricordo di un curioso matrimonio). Vi accorgerete che il menu è un po' bizzarro, i piatti calano sul tavolo tutti insieme.
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Gennaio 2019. Avevamo bisogno di essere confortati, e lo fummo
Vogliamo restaurare alcuni mobili, siamo nostalgici di Spazio Sette, glorioso negozio che rese Roma meno provinciale per molti anni, ci rivolgiamo a Patrizia che a quel luogo fu così intrinseca, e diventò un'amica a furia di assisterci e consigliarci tante volte; cogliamo il pretesto per averla a cena. Menu: Pane stellare in stile uzbeko, la cui fattura è irresistibile - tirare attorcigliare, intrecciare - da mangiare caldo di forno (ricordo di giovani, snelli, lesti fattorini uzbeki che corrono leggeri sulle loro biciclette per le vie di Kiva gonfi di pani caldi ai lati come asinelli con le gerle); Crema di parmigiano con erbette; Borscht (una prima prova con slow cooker, ma quando ho visto la bella rapa sanguinosa cambiar tristemente colore ho avuto un mancamento: va rifatta); Magret d'anatra con insalata di frutta; Seadas (delle sante Sorelle Piras trasteverine, industriose formichine sarde che da anni silenti allietano il quartiere; ottime, facili, subito lievi salgono verso il bordo della pentola cantando e gonfiandosi); Frappe (dal biscottificio trasteverino dell'altra parte di Viale Trastevere, posto di grande suggestione, dono dell'ospite, anch'essa trasteverina).
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Gennaio 2019. Un confortevole Fort Apache
Si parla dell'aspra e oscura contemporaneità in una stanza col camino acceso e due torte sul tavolo (per non parlare del flusso di bottiglie). Arriva in dono una ciotolina pugliese, dicono che somigli alle facce di Arte'. Menu (si fa per dire): Torta di finocchi alla paprika e luganega (nel testo di rame, piccantina, bassa, gialla di curcuma, buona); Gâteau au chocolat, dattes et noix . Dolce con noci datteri e cioccolato, Marocco (degno di molto amore e repliche, buono la sera dell'Apache, ottimo nei giorni a seguire: doveva asciugare); le Frappe. di Federica e sua nonna (qui tutti abbiamo perso la testa e via).
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Gennaio 2019. Torte, terrine e chiacchiere semiserie
Staremmo lavorando, in effetti. Sul tavolo metto un kitenge, una stoffa africana da non confondere con il kanga (il kitenge è più spessa, meno morbida, con un disegno ininterrotto venduto a metri, mentre nel kanga il disegno è contenuto in cornici rettangolari, è accompagnato da scritte sibilline e molto significative per chi lo porta, e si vende a rettangoli, in genere due per volta); il kitenge si porta come un sarong, ma si può anche tagliare e cucire; è diffuso nell'Africa dell'Est in tutti i luoghi di cultura swahili. Sul tavolo, su un kitenge pieno di lampadine illuminate poiché dovevamo pensare: Terrina di verdure vestita di cavolo; Torta di carciofi e luganega quasi ligure; Piccola torta di mirtilli.
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Mentre arriva la notte tutta scura che porta via le feste, ci inghirlandiamo ancora una volta di luci e lucette, noi sei amici. E ci facciamo proteggere da un vecchio nume, il più vecchio di tutti: la Befana-Luna. Vecchiotti - anche noi - come siamo, possiamo apprezzare la rilevanza del passare del tempo; i suoi mutamenti, i cambiamenti; non quelli su di noi - anche quelli, ma meno importanti questa sera - ma quelli - lanciamoci - nel paese, nel mondo. Ci sono momenti nella vita - a volte quanto lunghi! - in cui si vive l'illusione che nulla cambi, tanto siamo piccini tra alte onde di cui non vediamo la cima e di cui conosciamo improvvisamente solo l'abbattersi. Ma a volte lo sguardo si alza - l'età può aiutare, sarà questa la saggezza che però non si può condividere con i più giovani? - e vediamo il mare, i suoi grandi movimenti, spaventosi e dall'esito ignoto, ma che possiamo cercare di navigare disegnando nuovi portolani. Nunchesto schiaffa orchidee dappertutto e gliene arriva anche una in dono. Menu: Cappellotti o seppiole fritte (squisiti, seguiamo le indicazioni della pscivendola di Testaccio: che l'olio fumi!), Risotto di gamberi alla veneziana (e invece no, alla filippina, ovvero troppo cotto; lo affido a Teo, dimenticando che ci separa mezzo mondo; grandi propositi di fare insieme risotti fino a padroneggiamento), Spigole al sale (ottime, ottime!), Totanetti ripieni, patate e carciofi al forno (buoni); Piccoli Soufflé al torrone (buoni ma non perfetti nel gonfiarsi; c'è un eccesso di piatti ultimo momento, e questo è pure fatto per la prima volta; dobbiamo ancora calibrare il rapporto composto-stampini, e anche sulla base debbo ancora lavorare); Biscotto Befana - Luna e corteo di stelle (nuovi nella forma, ma ben rodati nella sostanza). Champagne Royer Brut Blanc de Blancs, Chardonnay di Vie di Romans.
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Gennaio 2018. Finite le feste
Siamo in tre, ci sono mirabili avanzi, si combinano in una Sopa coada con il cappone e della Polenta pasticciata con ragù e ricotta; poi si fa una Torta rovesciata di pere e cioccolato.
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Gennaio 2018. Due nuovi ospiti e quattro vecchi compari
Progettiamo - essì, ancora uno - un seminario. Implichiamo due ospiti, ma anche - essì, ancora una volta - li nutriamo. Menu: Non, pane uzbeko a chiocciola con broccolo romano (ne provo ancora uno, sono troppo semplici, seducenti, buoni, duttili eccetera); Timballo di frittatine con i carciofi (lo rifaccio, inseguo un certo risultato che mi sfugge ancora, ma la ripetizione non nuoce perchè è comunque ottimo piatto); Spiedini di pollo (sono una nuova prova, ne parlerò dopo una seconda versione); Flan di zucca e rape rosse (il celebrato flan di zucca dell'Osteria la Zucca di Venezia diventa di zucca e rape e si arrossa tutto, perché non ho abbastanza zucca); due Dolci eccellenti portati dai due ospiti (che ricacciano in dispensa una certa torta di cioccolato che subito dopo venne spesa in successivo spuntino).
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Gennaio 2018. Quanto sono affettuosi i passatelli in brodo?
Era la prima volta che li facevamo, Teo ed io; Filippine e Basso Lazio alle prese con l'Emilia Romagna, pensate un po'. Li abbiamo fatti più piccoli dei canonici, con uno schiacciapatate, l'impasto si era indurito un po' troppo, Teo schiacciava a più non posso, quanto erano belli, quanto erano tosti, quanti erano! Li abbiamo rovesciati tutti nel ricco brodo, che è diventato denso di treccioline d'oro (Berenice in brodo); insomma, mi sono piaciuti un sacco. Erano adattissimi a una cena per quattro amici. Menu: Non con verza e prugne, un pane uzbeko acchiocciolato; Passatelli in brodo, Scaloppe in brodo, Pomme Anna; un classico sformato di patate della cucina francese del XIX secolo, Carciofi alla romana cotti allo spasimo, Budino di limone con Gelato di limone.
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Gennaio 2018. Quattro spuntini studiosi, uno dietro l'altro
Per il primo:un ciotola di pistacchi per arginare il vino che Nunchesto fa scorrere subito, Flan di formaggi, Torta di grano saraceno con mirtilli rossi.
Per il secondo: Non piccoli, chioccioline di pasta uzbeke farcite con zucca e rapa rossa; Uccelletti di Sant'Antonio.
Per il terzo: Pizza di scarola della zia Bianca. Con salame, salsiccia, formaggio; Torta rovesciata di pere e zenzero
Per il quarto, Nunchesto ci fa trovare i panini di Le Levain.
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Gennaio 2018. Spuntini studiosi
Gennaio 2018. Spuntini studiosi. Intorno allo stesso tavolo nel giro di due giorni si sono avvicendati quattro spuntini. Il primo giorno a pranzo ci furono: Pata negra o Jamón ibérico, il prosciutto spagnolo inimitabile; dalle Langhe venivano il magnifico Testun avvolto in foglie di castagno e la Robiola di Roccaverano; Pane di semola di Le Levain, Patate al vapore, Verza stufata, Uccellini di Sant'Antonio (dolcetto abruzzese a forma d'uccello, dedicato al Santo con il porcellino, sul quale sto facendo prove: involucro di pasta dolce, dentro marmellata d'uva, mandorle, cioccolato). A cena ci furono: Flan di formaggi, Tatin di radicchio tardivo, Mousse di yogurt e cioccolato bianco e crema di kiwi, Strudel portato dagli ospiti. Il giorno dopo a pranzo: Involtini di verza di Teo, alla salsa di soia e di nuovo Patate al vapore e Mousse di yogurt e cioccolato bianco e crema di kiwi. La sera dopo: Pizza di scarola napoletana, Torta rovesciata di pere, al cioccolato.
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Gennaio 2018. Una zuppiera misteriosa per una minestra di lenticchie
Dopo anni che era con me tacita e misteriosa, perché non ne so la fabbrica o la provenienza, una zuppiera che mi sedusse assai nella fiera antiquaria di Arezzo con bianchi e neroblù sfumati, paesaggi fluviali che si sciolgono lacrimando nella ceramica evocando gli umidi vapori dei flutti, festoni di rametti di corallo scuro o spoglie foreste di rovi, è stata infine recuperata dall'alto della libreria dove si rifugia e calata su un tavolo colma - finalmente! - di fumante minestra. Menu (se così si può dire, sono tre cose, ma era un tavolo allestito nello stringato intervallo di un seminario): Minestra indiana di lenticchie rosse con finocchio e limone (nella detta zuppiera), Rustico napoletano di Ester, con limone e acqua di fiori d'arancio; Pleyel, un dolce al cioccolato di Robert Linxe, nume della cioccolateria francese. Un'ospite a dieta si era portata appresso la sua insalata, il suo salmone.
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Gennaio 2018. Quasi una Befana
Molti fratelli, molti nipoti, una bisnipotina piccolissima e bellissima, due amici di sempre. Tutto un intreccio di servizievoli giovani mani su un tavolo - buffet. Menu: Pizze fritte, pizzelle, montanarine: inseguo la facitura perfetta che mi riuscì la prima volta che le feci e poi mai più; faccio la Minestra di gobbi che da bambina mi ritrovavo sotto un perplesso naso la sera di Natale, e mi metto di buzzo buono a trasformarla in golosa; anche il Timballo di frittatine e carciofi è un ricordo di infanzia, e il Mosaico di vitello, ovvero terrina di vitello, maiale, prosciutto, salta fuori dal Talismano della Felicità, pure inestricabilmente legato a bambinitudini e giovanitudini lontane; tutti nuovi sono invece i Krampus-shaped bread, panini piccanti in foggia di Krampus, i quasi diavoli accompagnatori di un San Nicola-Odino, il cui nordico mondo, da meridionale, scopro da non molto; nuove anche le Pomme Anna; un classico della cucina francese del XIX secolo, ma con le patate dolci, ricetta Belle Époque dove le patate si assemblano in sfogliata fitta e burrosa, e il Budino di panettone , un dolce quasi inglese.
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Gennaio 2018. Venezia. I primi giorni dell'anno. Gitarelle e spuntini
L’ultimo giorno del 2017 la lavastoviglie, da sempre pelandrona, ci lasciò, incurante di decenza; tuttavia non fummo gente che non ama lavar piatti.
Quanto all'impagabile coppia Polsonetta/Cornucopio, si gettò a smaneggiare un mirabile risotto fatto con una misticanza di pesci cotta in padella a parte, e poi unita al riso.
La gitarella riguardò Ca' Rezzonico, munificamente aperta il primo gennaio. Nelle foto omaggio Brustolon, belle stoviglie, Gianbattista Tiepolo.
Il due gennaio sulla tavola comparve un brodo e una sorta di soufflé col radicchio tardivo, che mi fa venire voglia di riprovarci. La cronaca però si soffermò, più che sulle ricette, sulle credenze: indugia sulle tazze giapponesi e sul vassoio di peltro. Certi confetti ricordavano un recentissimo matrimonio.
Quel giorno ci buttammo su Venezia e ci infilammo nei sempre bellissimi Frari, dove una rosa bianca omaggiava Monteverdi, e mi fermai a stupirmi di tre tizi accosciati, scomodissimamente, a sorreggere una gran tomba, così singolari e bizzarri che tutta l'attenzione va su di loro irresistibilmente, inducendo a tralasciare il Grande Personaggio lì celebrato; forse il particolare mi attira comunque, poiché in una certa tavola con una Misericordia i miei occhi hanno subito abbandonato i personaggi per infilarsi nel meraviglioso paesaggio, cercandone di per sempre perduti: campestri, idillici, pericolosi, fiabeschi, ove il Mondo ancora prevale sul parassita, l'uomo. Mi attrasse poi un maestoso reliquario, sintesi di ogni arte, dal cesello della pietra, del metallo, dell'avorio, del cristallo, del legno, al teatro.
Un giro per le calli di Rialto incluse una visita ai Do Mori: francobollo piccante, sempre.
C’è ancora da ricordare una luna, la cui profusione luminosa ammirammo l’ultima sera condivisa, il due gennaio appunto, salendo nella gelida altana quel tanto che bastò per inzupparsi di luce.
Decodifiche: I tre telamoni accosciati sono della tomba di Jacopo Marcello, capitano generale della flotta veneziana, che morì durante la presa di Gallipoli. Autore Pietro Lombardo, secolo XV°.
Il reliquario si chiama Altare delle Reliquie e in particolare contiene un'ampolla con il sangue di Cristo rubata a Costantinopoli, dove era veneratissima, nel XV° secolo.
La tavola con la Misericordia è di Anonimo Veneto XV° secolo e sta in sacrestia sulla parete destra. Rappresenta la Vergine che protegge i fedeli sotto il suo manto, affiancata dai santi Marco e Francesco. Era probabilmente un paliotto d'altare.
Do Mori: storico bacaro in quel di Rialto; Francobollo: minitramezzino; Francobollo piccante: un minitramezzino assai piccante, specialità del locale.
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Gennaio 2018. Venezia. Il primo giorno dell'anno
Che ci facciamo con questo 2018 tutto nuovo, il solito buon viso a cattivo gioco, che tanto non ce ne possiamo liberare; e allora come sempre quando c'è l'inesorabile, si festeggia in toni agorodolci. La lavapiatti, in verità, decide di non varcare questa soglia, e ci molla: ancora un'occasione per testare la perfetta armonia tra ospiti: chi lava, chi asciuga, chi ripone, è tutto un intreccio. Ospiti: tutti: noi, gli anfitrioni, e loro, i benaccolti. La parola bifronte sollecita curiosità, l'Accademia della Crusca si spende in esegesi, e conclude che all’origine del doppio significato della parola ospite c'è la reciprocità del patto di ospitalità: l'ospite accolto si impegna perciò stesso ad accogliere. E' una prassi molto antica: è infatti il rapporto tra clan che imposta l'esigenza dello scambio, la sacralità dell'ospite; con la città prevarrà l'inclusione o l'esclusione dalla cittadinanza sullo scambio. Pare che oggi non si sopporti più questa simmetria, e che si senta ahimè l'esigenza di distinguere tra ospitante e ospitato. Noi invece ci trovavamo bene, in codesto stato simmetrico; infatti si stava già prospettando di invadere la Sicilia. Menu: Minestra di lenticchie con cui esibire il Masons Ironstone Regency Plantation Colonial Oval Covered Vegetable Serving Dish, Fondi di carciofo rosolati, Insalata di radicchio tardivo, finocchio e arance nella ciotola che presumo di Macao, Olive taggiasche, Robiola di Roccaverano, un fantastico Cheddar Snowdonia Cheese Company, Champagne Sadi Malot.
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Gennaio 2017. Provo una salsa con la sopressa, cucino una faraona, celebro l'inverno
Menu: Vellutata di zucca e rape rosse (mi chiedevo: che colore verrà? Un arancio brunito); Bondiola (com'è seducente e dolce) con Lenticchie di Castelluccio; una Faraona al cartoccio (finalmente ho imparato a cucinarla come si deve) con una Salsa con la sopressa veneta: con la sopressa (ma anche amaretti, cerdo candito...); Purè con il taro (aglio, cipolla, taro, patate); Crostata con marmellata di visciole (squisita, la porta Dolcesca); Castagnaccio con Crema di ricotta e uvetta sotto spirito (di Polsonetta); Nunchesto fa il Vin brulé tra altissime fiamme (speriamo bene, ogni volta).
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Gennaio 2017. Uno spuntino per un seminario
Menu (si fa per dire): Spaghetti aglio olio e peperoncino; Gratin di uova e cavolfiore; Quiche amatriciana; Clementine; Mostaccioli; Caffè. Champagne, Valpolicella Zanoni.
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Gennaio 2017. Da Paola e Alberto
Non ci vediamo spesso ma ci pensiamo. Era un pezzo che una certa teiera, un signor Palladineve sciatore, era stufa di attendere in un armadio che la portassi a Paola; finalmente una telefonata di punto in bianco interrompe l'incantesimo e ci vediamo la sera stessa, per una cena che subito si riannoda alla collana di incontri che ci accompagnano oramai da una vita e cancella ogni assenza. Menu: Caciotta morbida di Picinisco, Prosciutto di montagna, Pizzette croccanti, Ravioli al tartufo conditi con burro e parmigiano, Saltimbocca alla romana, Zucca alla cannella, Carciofi stufati, Cioccolatini, Panettone.
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Gennaio 2017. Venezia. La cena degli avanzi dove tutto fu nuovo
Spaventata dalla montagna di verdure e frattaglie avanzate dal Pasticcio di erbe, cervello e animelle e dal bacile di Aringhe marinate apprestati per la sera dell'ultimo dell'anno, mi ero premurata di cercare l'alleanza dei medesimi ospiti perché tutto sparisse il 2 gennaio, in una cena degli avanzi. Se non che, l'1 avemmo un gradito ospite e noi stessi non fummo astinenti, e il bacile di aringhe era già sparito in gran parte la prima volta che calò in tavola. In breve: l'unico avanzo del 2 fu una bella ciotola di polpettine. Avevo però catturato un bel cappone e pensai che unito a quelle, lesso, avrebbe fatto parte per otto trasformato in Insalata di cappone. Così fu: cappone, polpettine, radicchio di campagna, cipollotti, cetrolini, kumkuat canditi. Lo accompagno con olivette ottime di Ballarin, con una mostarda di pere squisitissima, con pane alle noci e un altro grondante uvetta. Che altro ci metto insieme? Ho patate, rape, topinambur. Penso a un arrosto misto, ma cincischio nell'ozio e quando mi accingo il tempo manca; penso allora a un puré, ma usando la pentola a pressione a me largamente ignota, uso troppa acqua. Comincio a innervosirmi, lancio qualche prece, rinuncio alla stracciatella di brodo di cappone, vellutizzo le riottose verdure, e ammannisco il seguente menu:Vellutata di patate, rape e tompinambur; Insalata di cappone alla Stefani; Pane alle noci e Pane all'uvetta; Olivette snocciolate; Mostarda di pere; infine il Panpepato al cioccolato, affettuoso dono di Eugenia.
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Gennaio 2017. Pranzo di Capodanno con cinghiale nella campagna senese
Il cinghiale era a km 0, cacciato da queste parti. Il giorno prima era stato mangiato in intingolo con polenta, il giorno di capodanno ha condito la pasta per questo menu: per cominciare solo un bicchiere di champagne con olive, Finocchi crudi, Fettine di salame di cervo, Soppressata calabrese, Grissini integrali di forno locale. Poi Garganelli con sugo di cinghiale e funghi porcini secchi. Come dessert un Gelato di nocciole su un cuore di panettone, affogato al caffè. Si beve Gattinara vecchio di 32 anni, veramente veramente notevole. L'altra bottiglia... i tempi sono cambiati, noi non l'abbiamo bevuta.
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Gennaio 2016. La sera della Befana e il pasticcio di cappone e gamberoni
Di ritorno a Roma, acchiappiamo le feste per la coda e ci incontramo tra amici la sera della Befana, che ha suoi colori e tepori a volte trascurati per essere così sul limitare; la dea questa volta potrà aleggiare su di noi in tutta pienezza, finalmente riconosciuta. C'è Nuvola, appena arrivata e subito a casa sua, cucciola senza paura. Io mi butto su un certo pasticcio testè mangiato a Venezia da Fiore, fatto di cappone e gamberoni congiunti, che mi viene detto essere molto veneziano, un piatto antico; è in crosta, con strati di pasta all'uovo e un cappello di dorata pasta sfoglia che si mette e si leva: lo ammiro alla follia, voglio rifarlo. Menu: due Dip portati dai Trigli, pieni di mistero ma pressapoco simili a un Tazaziki e un Guacamole; Pan brioche; Pane di segale delle Dolomiti; Pasticcio di cappone e gamberoni; Insalata di rinforzo; Macedonia di mele, kiwi, uvetta, noci. Infine un diluvio di dolcetti natalizi: Triangoli alle mandorle e nocciole, e Panpepato di Eugenia (doni della medesima); Biscotti buoni della nonna, Dischetti alle noci e al caffé, Stelle al cacao; Bocconcini al cioccolato; Biscotti gianduia; Cornetti alla vaniglia; Cornetti cioccolato pistacchi; Mostaccioli; Spiedini di frutta caramellata.
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Gennaio 2016. Venezia la sera del 2, con un prezioso pastrami
Dovessi tornare al bazar di Istanbul, mi caricherei di pastrami. Vorrei sapere perché una carne così buona è così difficile da avere qui; ne avevo un pacchetto, e me l'ero portata a Venezia; gli dedico senz'altro il menu, se non la cena. Menu: Arista all'arancia ottima cucinata dalla coppia Polsonetta/Cornucopio; Polenta gialla; Mostarda di frutta; Pomodorini secchi dolcissimi, da Rialto; Olive; Crema di sedano rapa con pastrami rosolato (in memoria di un piatto simile, su crema di ceci, che mi incantò a Istanbul); Fondi di carciofo pure rosolati; Fugasa; Dolcetti veneziani con ricotta e glasse; Clementine; Tisana di frutti rossi da Mascari, Rialto.
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Gennaio 2016. Kolde board, ovvero tavola fredda del mezzogiorno, alla danese
Ieri sera per la cena del nostro ritorno da Parigi, le amiche
danesi hanno preparato un tipico mangiare festivo del mezzogiorno. Menu:
Pane di segale, Aringhe al curry e Aringhe con i cipollotti, Uova sode e
pomodori, Indivia belga da intingere nella maionese, Salumi, Salsicce e
bietole rosse in agrodolce, Pudding di mele, briciole e panna montata,
Acquavite e Birra a tutto andare. Nel dettaglio: il
pane, squisito, era di segale e semi vari, fatto da loro, con farina
che si erano portate dalla Danimarca, come pure le aringhe e altre
salse. Si inizia con le aringhe in due modi cioè alla salsa di
curry e con semplice aggiunta di cipollotti freschi a fettine, tartinate
con abbondante burro. Si beve acquavite (portata anche questa) da
piccolo bicchierino e si sciacqua con birra. Uno prosegue con le
aringhe che più piacciono, poi si scarta il piatto e si prosegue con
uova sode e pomodori, sempre con pane e abbondante burro e sempre giù
birra e acquavite. Poi un vassoio di salumi,
in questo caso salame e prosciutto, con corona di insalata belga
tagliata a metà per il lungo che si mangia con le mani, condita con
maionese. Al tutto mancava, ci dissero le Vichinghe, un monticello di gamberetti o
altri crostacei piccoli e un molle formaggio danese. Poi ci sarebbe un unica pietanza calda che la tradizione vorrebbe fossero
polpettine, ma in questo caso furono salsicce, con bietole rosse in
agrodolce.Alla fine, come dessert, il Gammeldags æblekage, cioè
un pudding di mele e briciole e panna montata che già apparve su questo
blog. Pasto migliore di quanto uno si aspetti e di molto conviviale
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Gennaio 2016. La Cena del 2, o degli Avanzi
Venezia, due gennaio 2016; non resta che convocare tutti quelli della cena del 31 dicembre, per fronteggiare gli Avanzi; la Zuppa di cappone alla Messisbugo continua a nutrirci: il petto di pollo usato per chiarificare il brodo che lo accompagnava viene usato per il Pasticcio soavissimo da brodo; l'enorme Piatto di formaggi sembra non sia stato nemmeno intaccato, ed è lì che ci aspetta; poi Insalata di radicchio e arancia, Pere cotte nel vino rosso speziato, una piccola Torta di mandorle della pasticceria ebraica del Ghetto, Dolcetti e Datteri; Champagne Moncuit. La mattina un velo di gelo si adagia sulle tegole del Palazzo del Cammello; andando verso l'Isola di San Giorgio incrociamo lo sguardo impavido di un gabbiano reale, disposto ad assaggiarci un occhio.
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Gennaio 2018. Venezia. I primi giorni dell'anno. Gitarelle e spuntini
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Gennaio 2015. Cena coloniale, ovvero pollo al miele di Zanzibar e altre cosucce esotiche
Già non è più quella, furono aggiunti un giro di fiori arancio e un paio di rose verdi, ma la tovaglia "uzbeka", stampata di fresco, venne messa sul tavolo e disposta a ricevere i primi ospiti. Mi affrettai a mettervi su ciò che a mio avviso le si affratellava: piatti cinesi con pennellate d'oro, piatti Biedermeier arancio e oro, bicchieri veneziani di vetro dorato (sogno che uzbeko voglia dire dorato) tovaglioli ricamati di blu. La supposta uzbekità richiamò piccole Somsa con patate, coriandolo, cumino. Subito dopo arrivarono: un ottimo pollo al miele da Zanzibar, pieno di cardamomo e cotto insieme a Patate dolci, del Riso al cocco, del Riso con erbette e gamberetti, un Provolone arrivato in regalo di cui sospetto geni campani, un Mango in insalata (con olio d'oliva, sale, pepe, lime), della Focaccia. Oltre al detto pollo, altro piatto esordiente fu il magnifico Gateau nantais, coloniale anch'esso, nato negli intrallazzi tra Francia e otremare, benedetto dal rum: squisito. In fine, una rossa Tisana di frutti esotici.
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Gennaio 2015. Un buffet di lavoro solboccone
Saremo 17, vorremo lavorare e non far tardi; dispongo solbocconi o quasi a disposizone, così niente fare le parti, ma ciascuno potrà acchiappare quando e come vorrà, dolci o salati che siano. Tre cose salate e due dolci. Galantine; piccole Quiche con cipolle o con formaggio e miele; Londoneri; Pasticcini neri con ricotta e pistacchi.
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Gennaio 2014. Una cena tranquilla con tagliolini in brodo gratinati
Straordinariamente riposante fare una cena con i tranquilli piatti delle mamme. Per l'occasione, ho ritirato fuori una tovaglia. Biscotti al parmigiano con mousse di prosciutto e ricotta; Tagliolini in brodo gratinati; Petto di tacchino all'aglio; Patate al forno Blumenthal; Dolce portato dagli ospiti, in perfetto stile con la cena.
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Gennaio 2013. La cena della pizza piena con la sfoglia napoletana
In quattro: ci si rivede, si racconta di un pezzo di vita in Giappone mentre si va verso il Belgio, si ricevono in regalo due ciotole di lacca leggere come una foglia, si ritessono legami, si fanno progetti. Menu: Vellutata di zucca e arancia (con un peperoncino fresco e intero dentro, semi inclusi, che le ha dato parecchio fuoco; però era così tanto morbidamente vellutata - san bimby blender - che è andata soavemente giù come carezza angelica. Pizza piena, o chiena come preferirei dire, la star della serata, perché proponeva la seconda prova, abbastanza soddisfacente anche se non conclusiva, di una certa pasta sfogliata napoletana di cui ho trovato traccia in un par di libri per poi intuire che è una versione in grande e salato di uno dei modi con cui sono state fatte le sfogliatelle in casa, e ancora dopo apprendere che se ne fa una simile sia in India che in Arabia: da non credere, ma fatto sta che è una pasta lieve e buona che sfoglia davvero. La pizza è piena di ricotta, salame, mozzarella, pecorino. Formaggi di Francia, un saint felicien e uno che mi sfugge, con tre Conserve: bergamotto, arancia, uva. Insalata mista. Uno Strudel di mele con uno scurissimo, formidabile, aromatico moscovado e pistacchi. Interessante sapere che la sfoglia di base è quella della pasta sfogliata della pizza piena: solo dopo la fase iniziale ho differenziato le procedure, ma l'impasto in sé e lo spennellamento con burro fuso della pasta sottilmente stesa è stato il medesimo.
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Gennaio 2009. Venezia. la cena dei tortellini e del cappone
Poiché avevo lessato un Cappone e ottenuto del brodo, è venuto naturale che in quel brodo andassero dei Tortellini al tartufo acquistati già fatti e che sul tavolo si proponesse una ciotola di Mostarda veneta, dei Fondi dei fondi di carciofo stufati (voi conoscete i fondi di carciofo; essi a loro volta hanno un fondo, che viene venduto a minor prezzo; io ne ho preso un bel sacchetto) e delle Patate in tecia.
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Gennaio 2009. Una cena tutta di pesce.
Con un'archeologa e un antropologo (che volere di più?). Questa volta Alice sorvegliava dal davanzale della finestra. Abbiamo trovato un nuovo fioraio. Rigido freddo fuori, teneri fiori in casa. Orchidee: un affare: stanno lì bellissime per mesi. Paphiopedilium si chiama quella con la borsetta sotto il naso, Cambria la rossa. Ma anche i crochi, così tenerelli e quasi selvatici. I bianchi hanno sbaffi viola commoventi. . Menu: Neonata al vapore, Brodo di pesce con le vongole, Timballi con radicchio carciofi e totanetti, Taijne di seppioline e mazzancolle, Mousse di mascarpone con arance.
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Gennaio. La cena delle provole
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Gennaio 2008. Una perfetta cena anni Cinquanta
Ida e Alfredo ci invitano nella casa nuova dalle rosse pareti di cui sono diavolescamente soddisfatti. Pareti che fiammeggiando si rifletteranno in tutte le posate, le caffettiere e perfino negli occhi degli ospiti. La casa è tripudio di tradizioni ed evocazioni di tradizioni, ricreando ambienti di una volta pieni di divani e porcellane in ogni angolo che su quel rosso si adagiano assai bene. Tripudio con cui gli anfitrioni si sono evidentemente divertiti e di cui sono felici; di questa felicità fanno partecipi i convitati. Sempre si deve essere grati a chiunque si imbarchi con dedizione nell’avventura di ricevere e spupazzare ospiti; avventura ritenuta sempre più gravosa, cui pochi artisti si dedicano. Tanto più si devono dare riconoscimenti a chi nell’impresa riesce, dandogli anche uno stile e conducendola con successo in porto. Per ciò, stupefatta e ammirata partecipo a una cena che dall’apparecchiatura al menu, dalla conduzione alle sequenze rievoca in me fantasie di una perfettissima cena anni ’50, quando i padroni di casa ci davano giù di buzzo buono perché tutto filasse a meraviglia e le signore arrivavano in tubino nero e collana di perle. Fantasie appena rinverdite, perché nella caccia di immagini sulla convivialità, avevo appena fatto un giro sul sito delle riviste Condè Nast (Vogue per intenderci, Hause & Garden e altr tutte arbitre di gusto in questo e quello). Avevo visto iconografie di conviti fitte di tovaglioli ricamati perfettamente stirati e bicchieri in parata, e posate messe giù dopo consultazioni di manuali che dicevano quanto deve distare il cucchiaio dal coltello, da che parte e con quale tipo di inchino si porge un piatto e da quale si tira via, dove si siedono i padroni di casa e così di seguito. Ammirate, per dire, Alfredo che piani su carta alla mano, assegna i posti agli ospiti. Una di quelle cene date solo dalle nostre zie più eleganti, quelle che portavano i tacchi a spillo e i cappellini a tamburello; quelle che quando invitavano gli amici si davano veramente da fare e provavano nuove ricette del Talismano della Felicità. Infatti, quando chiedo a Ida la ricetta delle arance soufflé, con malizioso lampo di brillanti sguardi azzurri dice: la trovi sul Talismano…La cena aveva un tale equilibrio, che siamo arrivati alla fine in perfetta forma, partecipando soddisfatti al rito fino in fondo. Chiacchiere parecchie e molto passarsi di piatti, cose che testimoniano, entrambe, la buona riuscita del convito. Menù? Antipasti curati da Alfredo (si occuperà anche dei vini, a quelli delle foto aggiungete un Arneis di esordio e un Sauterne di conclusione) con Tartine al foie gras, Salame di due tipi, Olive, Noccioline. Gnocchi alla romana a forma di fiore finalmente buoni, un delicato Gulasch accompagnato da una corona di piacevoli e riposanti verdure: Broccoletti (che hanno provocato nel molto napoletano Alfredo un rimpianto sulla quasi totale assenza di friarelli a Roma, a meno che non si insegua un certo fantomatico camion che appare ora qua ora là), Chiodini, Puré di patate, anche questo fatto finalmente bene. Infine le belle Arance soufflé seguite da un diluvio di cioccolatini Gay Odin e Said, accompagnato strategicamente da Caffé, suggerito dalla padrona di casa come complemento consonante con il cioccolato.
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Gennaio 2005. La cena dell'Epifania
Fu una cena di famiglia, quando, vivi gli anziani di casa, nel periodo delle feste natalizie mi lanciavo nell'impresa di allestire tavole festose e giocose, percorrendo impavida e determinata la traccia perigliosissima delle riunioni di famiglia, decisa a schivarne i rischi mortali e puntando al diverstirsi lietamente. Accorgimenti decisivi: preparazione accurata e strategica, centralità degli anziani e doni per loro come fossero bambini, evitamento di date segnate dal bollino rosso della celebrazione della famiglia più che dall'intento di far festa; ne uscivo con sentimenti di lieta vittoria. L'Epifania era un giorno morbido, che si prestava. Menu: Parmigiane di salmone e sedano rapa con gamberoni; Tortino di patate e provolone piccante; Spinaci Cibreo, ovvero mousse di spinaci; Torta di anguilla e porri caramellati; Chiocciole piccanti, ovvero delle brioche acchiocciolate e farcite; Crema di pere ghiacciata e cioccolato bollente.
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Gennaio 2004. Storici a cena
Su sei invitati, quattro erano storici, ovvero persone più o meno dedite allo studio della storia. Un fitto scambio di email con una storica ha organizzato il menu, scegliendo tra varianti e ripartendo i compiti. Menu: Patè di fegato con Pere caramellate; Pane della domenica; Riso con fonduta valdostana accompagnato da tartine di Morbidone con due paté, uno al tartufo bianco e uno a quello nero con porcini; Radicchio tardivo avvolto nel lardo di Arnaud e gratinato; Magret d'anatra affumicato con clementine, mele e zenzero; Semifreddo al torrone con frutti di bosco; Friandise alla cannella, Zaletti.
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Gennaio 2004. Un menu tutto vegetale ma ricco come una cornucopia festiva
Recupero passati menu e rifletto sui cambiamenti. Intanto Arte' si diverte a inventarsi quei tempi di sana pianta (ma sul tavolo pressappoco i piatti ci sono). Solo la prima foto sopravvive di quelle della cena in questione, le altre o mancano del tutto, o sono sostituite con altre versioni, successive, dello stesso piatto. Crostini con radicchio tardivo stufato, Quenelle di crema di pecorino e cialde di parmigiano, Minibabà con cavolfiore all'aglio e al sesamo, Minibabà con pomodori ciliegini, Insalata di noci amuse bouche, fettine di Pseudomorbidone di Leone. con su Crema di pecorino piccante, Crema bicolore alle due brassiche e alle due paprike, Flan di zucca, un Soufflé dolce che esplode continuamente.
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Gennaio 2003. La cena di nube temporalesca, la torta al cioccolato piena di lampi e fiocchi di neve.
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Gennaio 2002. La cena del porc au caramel
Menu: Crema di zucca con radicchio tardivo di Treviso, Terrina di broccolo romano, Maiale caramellato all'arancia o porc au caramel che per opulenza, monumentalità, dolcezza dà nome alla cena, Purè di mele intere, Supercrostata di ricotta.
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Gennaio 2002. La cena del fagiano della signora Nadina
Recupero un menu e ritrovo un piatto dell'adolescenza: quindicenne, chiesi alla vicina di casa, toscana dei monti - Santa Fiora - dalla candida crocchia e fama di cuoca una ricetta elegante: il fagiano al cognac; lo feci per mio padre. Le piume le cucii su una cintura, su un cappello: l'uccello veniva venduto con tutto il piumaggio, e mi trovai immersa in un nugolo di cangianti piume fantastiche. Menu: Dadolata sedano rapa e salmone affumicato, un'accoppiata felice che recupero alla memoria; Zuppa maritata di radicchio e porri; Fagiano al cognac della signora Nadina ; Insalata di carote e arancia; Torta mimosa (portata da un ospite: ho per lei quell'antipatia che si prova per dolci che si diffondono per mode contagiose, che finiscono con l'essere fatti banalmente).
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Gennaio 2002. La cena dei Cappellacci al cacao e delle Dita di Nettuno
Immemore haimé d'ogni altra cosa, ricordo questa cena con i due piatti che per differenti motivi mi attrassero: una prova riuscita di pasta ripiena, e un piatto ligure dove dell'indivia belga farcita di pesce evoca la zampa di un dio marino. Menu: Budini al vapore con gorgonzola, Crostini con composta di cipolle di Vissani, Cappellacci al cacao, Le Dita di Nettuno ovvero Indivia farcita di pesce, Galantine briochine, Crostata di castagne con scorza di gianduia.
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Gennaio 2002. La cena della Befana
Non mi resta che questo menu: Cappellacci al cacao (senza alcuna foto che li commemori, li immagino belli), Koulibiak di Salmone (nel link ce ne sono quattro versioni, credo fosse il n.3), Brioche galante, Soufflé di fontina e funghi, Strudel di mele (penso lo avessi appena imparato a fare, una delle mie più grandi soddisfazioni).
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