Allora andavamo ancora all'Orto
Botanico, in veste di Pierre Sonnerat, Amedée François Frezier, Richard
Ligon, Simone Parlasca, Pierre Belon, gli esploratoti del XVII e XVIII
secolo a caccia di piante e animali di altri continenti, e sul tavolo
cesti colmi di esotismi si mescolavano a quelli con il pane guttiau.
Nuvola volteggiava tra le fresche frasche del terrazzo, forse gechi,
forse farfalline. Menu: Pane guttiau, quella meravigliosa idea per cui
basta passare in forno del pane carasau con un po' di olio d'oliva e
sale per avere uno sfizio che lèvati; Terrina napoletana, ottima, fatta
con una ricetta che posterò, accompagnata da una Crema di yogurt, quasi una maionese; Pizza con totani e patate; Crema di cetriolo e menta glaciale; Insalata di pomodorini ed erbette; Gelato.
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Non che si sia stati digiuni; l'unica ammanita da noi; anche Teo non vuol saperne di cucinare: è sprofondato nella cucina bassa a dipingere sportelli, a malapena ci vuol vedere; andiamo a cena qua e là, spuntiniamo in casa; Nuvola si insinua nei cesti, avvicina il naso a quello dove abbiamo infilato souvenir. La Roma di metà agosto è rinfrescata da temporali; tutti i pomeriggi si brontola, si tuona, si scroscia. Srotoliamo lentamente ricordi tanzaniani, scriviamo, leggiamo. Una sera ci facciamo coraggio, torniamo dal mercato Trionfale con una grande orata, una spigola enorme; il menu sogna Zanzibar, lo mangiamo pole pole: Zuppa di orata all'acqua pazza; Spigola al sale ; Riso pilau come a Zanzibar, Gamberetti all’aglio e peperoncino. Garlic Pili Pili Prawns, pure questi come a Zanzibar; Gelato portato dagli ospiti, tra i sapori, seadas: mangiamo formaggio gelato. Dalla credenza la pigra mano pesca le ciotoline anni Trenta regalate a mia madre per il suo matrimonio. Si beve Moncuit, Champagne, tanto va sempre bene.
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Agosto 2017. Venezia. Credenze, spuntini in altana, azzurrità, annottare
Che pace Veneziuccia bella, ciacolii, refoli, sciabordio di barche sotto casa, vento tra gli abbaini che ci fanno pensare di salpar, un pomodoro cuore di bue grande come una luna che fu piccolo pasto, dolci tramonti, lo spazio dei tavoli sulle fondamenta che raddoppia con le sedute nella barca, tutti al Timon (noi invece verso l'altana con un pacchettino di bacalà), azzurrità, annottare, flow blue, nuotare nel cielo, avvolgersi di venticello, camminare sul legno scuro dell'altana tra cacche di gabbiano lucenti come stelle, spuntino. Voci lontane.
Spuntino: Bacalà mantecato, Olive taggiasche, Pane liscio, Pane con le olive, Stracchino, Formaggio di capra, Insalata di pomodori cuore di bue; Picol Lis Neris.
Credenze: i goti de fornasa di Giordana, questa volta di colori imperdibili, un pallido lilla, un mirabile verde giada; piccoli goti di un certo artigiano lamentoso (quanti si lamentano a Venezia!) incontrato molti e molti anni fa e poi sparito, che poggiammo sul tavolo Traccia di Meret Oppenheim (nel corso degli anni, ora l'uno ora l'altro vola via vittima della terribile, inutile pratica dello Spolverare); il vaso blu di Tagliapietra; due frammenti di lampadario (non comperiamo più nulla, non è più tempo di comperare nulla, ma questi così marginali entrarono in saccoccia quasi alla chetichella); due manciate di perle di vetro (un tempo tornavo a casa sempre con una perla o due); la ciotola "Inari" presa nella boutique del Museo Jacquemart-André; le ciotole giapponesi prese a Parigi tanti anni fa, quando a Roma erano disdegnate come "cineserie"; quelle cinesi prese ad Amsterdam; quelle cinesi della dolorosamente scomparsa Compagnia Francese dell'Oriente e Cina; gli spaiati bicchieri art déco con sopra verdi rane degli abissi; i due agli di vetro del maestro Amadi; i due bicchieri con luminescenze d'oro di una fornace muranese che faceva saldi; il piccolo cammello di bronzo; il grande camello di giada, Aniello.
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Agosto 2015. Venezia. Bussolai, esse di Burano, colazioni
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Agosto 2015. Venezia. Disavventure gastronomiche e spuntini consolatorii
I lunghi dritti canali di Venezia nord – specie Ormesini, Misericordia - ospitano bacari e osterie, frequentati da turisti accorti e da gente del posto, anche perché ci si arriva in barca, con tavolini sulle larghe fondamenta da cui si gode il tramonto del sole. Fino all'Ottocento furono spiagge; allora era una zona impoverita, che non ricordava più il passato di mercato orientale, commemorato dai nomi: Ormesini, dal porto dell’isola di Hormuz in Iran, da dove si esportava l'ormesino o ermesino, leggerissima seta. Oppure, Campo dei Mori; oppure, palazzo del Cammello, uno dei più bei palazzi gotici di Venzia, accompagnato da storie "egiziane". Volevamo un ciccheto dal Timon, vista l'assenza di cibo in casa; chiuso per ferie; arriviamo fino a La Bea Vida: ci propina un piatto di cicchetti veneziani - gloria gastronomica locale ove ben fatto - da dimenticare; la vecchia identità - cui rispondeva un tempo sperimentata realtà - di un posto dove di giorno trovavi pochi e semplici abbondanti piatti per lavoratori, e alla sera una cucina più raffinata è morta stecchita. Nessuna alternativa al nefasto piatto nel breve menu scombinato e ambiguo, dove la cosa più chiara era la pasta con ragù alla bolognese. Ho passato il breve tempo di permanenza ad ammirare come sia tuttavia sempre amato dai beoni locali, e a rifare tutto l'arredamento; quando siamo usciti, bevuto l'ultimo sorso di acqua a temperatura ambiente (non era un mio desiderio) avevo quasi finito. Ho organizzato anche un menu e trovato un nome nuovo.
Nel pomeriggio, rooibos. Come coniugare mal d'Africa - l'appena lascita Tanzania - e oblio del piatto di cicchetti di La Bea Vida.
Notate bene: solo i pirla mangiano male a Venezia: noi qui lo fummo.
La sera casuccia, con un pezzo di Parmigiano, un ottimo Pane di grano duro e un piatto di Frutta autunnale che ha felicemente pesato sulle mie spalle dopo un breve giro nelle bancarelle di rio Terà San Leonardo.
All'annottare il faro è tornato ad accendersi, e nel cielo nord delle aurore è comparso il lieve straccio rosa dei tramonti, vago rilesso di ciò che stava succedendo dall'altra parte.
Una città senza finestre illuminate è cieca.
Poi ancora albe, di un dilagante rosa d'ultimo agosto. Il faro di Murano è ancora acceso. Eccoci io e il gabbiano che guarda con me, io e il gridante, pigolante pulcino, sempre allarmato. Un pensiero si insinua, nella ritrovata casa: sarà un alba con, o senza biscotti?
Una breve nota sui tessuti arabi.
Venezia. Fine agosto 2015. La cena della luna piena e delle patate mannare
Questa estate ho subìto l'afa come un'offesa; è da matti, ma non basta saperlo. Tuttavia non volevo cedere alla pura sopravvivenza e a fine agosto ho fatto tentativi di cena in altana; come premio si avevano vento benedetto e panorama, il costo era arrampicarvisi, ma con l'aiuto di Pomaurea e Nunchesto si poteva fare. Eravamo in otto. Da una parte tramontava il sole, dall'altra sorgeva l'enorme luna: entrambi di un compatto fuoco rosso ciliegia; nelle foto si dissanguano cedendo colore al cielo. La notte calava veloce sulla laguna nord con strisce di fiamme su Murano; le ultime immagini - crumble e frullato di cetrioli - sono macchie colorate da una lampada accecante che trasformava il buio intorno in colate di pece. Le patate del ruoto dopo due ore e mezzo di forno erano "al dente": evidentemente, mannare; la gentilezza di Germana voleva spingersi all'ingoiarle come niente fosse: per fortuna c'era altro cibo e la quiche era ottima. Menu: Albicocche farcite di robiola ed erbette; Taleggio avvolto nella pancetta e rosolati; Quiche di baccalà mantecato; Ruoto di patate, calamari e pomodori;freddissimo Frullato piccante di cetrioli con anima dolce; Pane con le olive; Crumble di albicocche e fichi con il cioccolato amaro e lo zenzero candito. Champagne e vari vini veneti tra cui alcuni portati dagli ospiti.
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Fine agosto 2015. Venezia, altana. Cena della luna quasi piena.
L'afoso caldo che ha imperversato per tutto il mese e oltre ci ha spinto a mangiare con ospiti sull'altana più del solito (remore: dalla cucina, due piani: arrampicarsi, pensare pic nic; anche se è un'altana raggiungibile dl secondo piano con pochi gradini; spesso bisogna arrampicarsi davvero per raggiungere questi vassoi di legno sui tetti cui si accede da un abbaino). Abbiamo così apprezzato i bendetti venticelli, la vista a 360 gradi ma soprattutto sulla laguna nord annottante, la luna, che pensiamo di migliorare appoggi e luci. Per ora, sciarpa a oscurar la lampada abbagliante, tenuta da un vocabolario, e molti vassoi. C'era una luna maggiore, una lunona, che sembrava piena già il giorno prima di esserlo. Avevamo detto apertivo, poi ci siamo allargati. La civetta non si è sentita; il giorno dopo gridacchiava sorniona qua e là sui tetti; ci tengo, controllo sempre; potrebbe essere la terza generazione, dalla prima che sentimmo. Menu, in quest'ordine: Grissini all'olio uno tira l'altro, Pomodori ciliegini, Fondi e gamberi gratinati, Caponata veneziana, Ciambella con le olive, Bigoli rossi con rana e pancetta, Insalata di melone, fichi e mele; Sigari con crema al limone, Croccante con le mandorle; due Moët Chandon, quattro Vieris Sauvignon Vie de Romans 2013 (in otto a brindare, anzi sette: mi astenevo; effetti della luna, dell'altana, della copiosa presenza veneta).
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Agosto 2015. Spuntino a casa dei Daini e pansanea venexiana
Una ciotola di Pansanea venexiana, panzanella veneziana, Ciabatta fresca, Pesche gialle, Lis Neris, involtini di prosciutto di Sauris appena spalmato di robiola e avvolto intorno a fettine di pera, altrimenti detti Roulade di prosciutto vengono portati a casa dei Daini; Cucurbita ha preparato Sarde in saor. Si parla della decadenza del mondo, ci si affaccia alle finestre che danno sul canale, si vede quanto sia prossimo il campanile di Madonna dell'Orto, si apprezza la gonfia salute delle piante grasse.
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Agosto 2014. Venezia. Aperitivi e colazioni in altana
Lo chiamammo aperitivo per decenza, visto che c'erano quattro cose - buone, però - ma poi fu la cena, perché alla fine siamo costumati, e bastò. La parca presenza di cibo viene compensata, in altana, dai cieli, dalle luci, dai venti, dai gabbiani, dall'Isola di Murano, da San Michele, dalla chiesa della Madonna dell'Orto eccetera. Crostini con due conserve piccanti (entrambe del mirabile Fermi di Treviso, gastronomia imperdibile, ricca di stoccafissi ovvero bacalà come dicono loro, e conserve raffinatissime); Crostini con velo di burro, parmigiano, fetta di salame; Fondi di carciofo rosolati(anche questi imperdibili: verdura locale squisitissima, fatta con speciali carciofi di cui sono commestibili i soli grandi fondi); Spicchi di Montasio, goccia di miele, gheriglio di noce; Crostini con goccia di miele e gheriglio di noce; Lingue di suocera, ovvero cialde croccanti. Vedo dello Champagne e - inopinatamente - del Sangue Morlacco di Luxardo, una variante dalmata di cherry brandy per accompagnar gli Zaeti (biscotti locali con farina di mais e uvetta; zaletti, direbbe un italiano). La mattina dopo, di nuovo in altana, colazione con enormi zaéti.
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Agosto 2014. Venezia. Spuntino serale sotto il cielo di San Lorenzo
Quando rimpiangerò questa casa veneziana, mi mancherà l'annottare sull'altana, e l'altana medesima, questo vassoio di legno secco e leggero, poggiato sul tetto lievemente, senza disturbare né casa né cielo, così pronto a cogliere ogni refolo o mutar della luce. Di tanto in tanto si sale su con un vassoio e si portano poche cose, ma squisite, quelle che i mercati veneziani danno facilmente, e si fa uno spuntino. Qui era la sera di San Lorenzo, e vagamente si festeggiava, visto che c'era un Renzo. Pomodorini secchi piccoli e squisitissimi, dolcissimi, da Rialto; Insalata di pomodori, Gamberi saltati in padella appena tiepidi; Albicocche spaccate. Tutto qui, ma sopra e intorno Santi, cieli superbi e luminii di mare.
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Agosto 2011. Pic nic d'estate per gli amici di AAA. Topi di campagna
Di Mentuccia Fibrena. Per un pic nic in campagna la parola passa a me. Ne so qualcosa, conosco il caldo della campagna, le cicale incessanti che sapevo catturare sentendone il delicato vibrante palpitare del corpo, le puntute delicate zampette premere ritmiche nel palmo della mano, piccole fisarmoniche viventi e spaventate, so tutto del vento che soffia bollente che attraversandoti ti asciuga le ossa, del desiderio nostalgico, intenso, arabo di ombra e di fresca acqua che scorre limpida, della luce che inonda e confonde scintillando la terra con il cielo, dei gomitoli di insetti in preda a dionisiaca follia intorno a un lume che piccolo brilla nel vasto buio, delle palpitanti fatate ondate di sfuggenti lucciole, della valle profonda e distesa che si riempie di azzurro più azzurro, dell'apparire delle stelle e qualche volta della tonda ammiccante luna e del suo chiarore che illumina da un capo all'altro dell'orizzonte, e so perfino dei campi di grano quando ancora tra le spighe appariva un papavero, un giglio (mi abbagliò per sempre, purpureo e nobile), e c'erano due lenti, alti e bianchi buoi a lavorare con i contadini, e la quercia immensa ombreggiava e faceva sognare pic nic sotto il suo abbraccio da Madonna della Misericordia. Lì non se ne fecero mai, ma si andava sui monti, nel prossimo Abruzzo, sotto i faggi magnifici nel loro macchiare di luce il sottobosco, nella coltre di foglie morbide, di Forca D'Acero; pieni di cestini, seduti qua e là sulle puntute rocce. Qui vi offro il pic nic mai fatto, tra le spighe. Penso che potrebbe bastare per 15, inutile esagerare, meglio sedurre con un filo conduttore, una fantasia che metta tutto insieme. Questa volta è la Valle di Comino, la mia valle. Prima di tutto l'eterna, ottima, magnifica pizza di zucchine, pasta olio e vino bianco, farcia che recupera e celebra le cocozze, le zucchine napoletane grandi, scure, lisce, adattissime a rosolare in padella con olio d'oliva (più che buono nella valle) e aglio, ad adornarsi di uvetta, pinoli, olive nere, acciughe, prezzemolo, basilico. La pizza di zucchine, fresca, estiva, antica, più buona il giorno dopo del giorno prima, regina del pic nic, adatta al grande ruoto, ampio di diametro e alto di bordi. Poi le frittatine con la ricotta, per l'occasione tali che ognuna sia solboccone: un velo di frittata intorno a un fiocco di ricottina di pecora. A parte sugo di pomodoro e basilico in cui intingerle. Poi ricottine di pecora tal quali, da deliquio, per le quali vale un viaggio nella valle. Freschissime. Insieme a quelle la focaccia di Sora, alta e soffice, e un po' di pane di campagna, lì ancora squisito, una grande pagnotta meridionale dalla mollica densa a saporitissima. In campagna il pane è ancora il centro del pasto, senza sembrerebbe che non ci sia nulla. Poi pollo con i peperoni, un piatto "moderno" per la valle - quando si sposarono Margherita (o addirittura fu Elena?) e il re, si servì pollo come piatto ricco, prelibato e raro - piatto attecchito felicemente in questa campagna, dove il pennuto sposalizio con la ricchezza morbida e vellutata dei peperoni riesce benissimo. Basta, passiamo ai dolci. Propongo la supercrostata di ricotta, il dolce che sempre faceva mia madre e di cui ricordo vividamente il profumo che iniziava a invadere la casa il giorno prima, mentre lei se ne andava tra cucina e giardino battendo zucchero e uova nella scodella. Da accompagnare alla ratafià, le ciambellette al vino, piccole da entrare in quattro nel palmo di una mano e da fare arrotolando la pasta intorno alla punta del mignolo, che scrocchino di zucchero e che si mangino come ciliegie. Berremo Cabernet della Valle di Comino provando i vari produttori di questo rosso che arrivò con il suo vitigno dalla Francia nel secolo passato e che dà buona prova nella valle, e per rito anche del bianco di casa, che se non si fa viaggiare in qualche annata riesce; non ultima acqua fresca, ottima da queste parti, e infine la ratafià della zia Bianca, di cui ricordo i bottiglioni panciuti e scuri messi al sole sul terrazzino più alto e più segreto di casa, cui si arrivava spuntando alti sui tetti in vista del paese e della chiesa, percorrendo stanze e stanze, le ultime abbandonate da un secolo ma ancora memori di 'Gnor Giuseppe, l'ultimo abitante, un prozio dai lunghi baffi in gioventù speperatore, che scoprì a tarda età il conforto delle mutande di lana e l'arte di raccontare al nipotino racconti di lepre, di volpe o di tasso riemergenti da un passato di cacciatore.
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Agosto 2010. Una cena molto verde
Menu: Passato di zucchine, Cotolette di tonno ai capperi, Frigitelli e Zucchine.
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Agosto 2009. Valle di Comino. Uno spuntino estivo con la conserva di pomodori appena fatta
Primo agosto. A casa di Mentuccia la conserva di pomodoro è stata appena fatta, Cucurbita, Imotep, Pomaurea, Augusto sono in visita. Ci rifugiamo nella penombra dell’androne, adottato come stanza da pranzo in cerca di fresco, chiudiamo le persiane che danno sul giardino e celebriamo i gesti della tavola con le grandi pentole di campagna e le stoviglie spaiate, tra cui, predilette, il piattino con il giro turchese, la tazza con il fregio dorato. Cosa ammannire? Tortiglioni con la neonata conserva: rovesciata sulla pasta tal quale, senza ulteriori cotture; nell’estrema freschezza resse la sfida. E poi un Rustico napoletano con frolladolce e ricotta salata, ma adottando una pasta all’olio d’oliva. Quindi la Frutta che tanto abbonda, e una pioggia di bottiglie di cabernet DOC di Atina, assaggiando ora questo ora quello.
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Agosto 2009. Val di Comino. Cena notturna sull'orlo del giardino
Siamo nella grande casa di campagna di Mentuccia. La casa è sul fianco di un colle, al pian terreno ci sono cantine che da un lato si immergono senza finestre nel buio della terra, dall'altro hanno luminosi affacci sulla valle; tra casa e giardino, che è all'altezza delle cantine, c'è bisogno di una scala dai molti gradini; la scala inzia con un pianerottolo; abitatissimo d'estate, come una sorta di piccolo terrazzo presto all'ombra, inghirlandato di virulenti glicine e vite americana, per letture, capature di verdure, chiacchiere, contemplazioni.
Raramente - in genere il numero dei convitati non permette nemmeno di pensarlo - è usato di sera per cenarci; quando cala la notte, si sporge sul nero più nero, quel nero di campagna senza lumi tutto velluti, qualche volta con grilli e pianti di cani, un nero abitato da altri, non umani.
Abbiamo fatto lume con un lume anni Trenta recuperato dalla cantina che in tutto quel nero billava come la luna, e abbiamo ammannito Ricottine di pecora della Valle (quanto di più squisito, fresco, tenero); Sformato di ricotta alla cannella, affiancato come da tradizione della casa da Polpettine con salsa al limone; ma c'erano anche Polpettine fritte tal quali e Patate fritte; Peperoni arrostiti conditi con olio d'oliva di casa, aglio, prezzemolo; Focaccia di Sora. Cabernet di Atina, assaggi di vari produttori.
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Agosto 2009. Val di Comino. All'ombra delle persiane si celebra il mito della Pizza di Zucchine
Siamo a casa di Mentuccia, una campagna profonda, più sud che centro, ex regno di Napoli; una grande casa dai molti portoni fatta di aggiunte, demolizioni, ricostruzioni e rimaneggiamenti man mano che la famiglia cambiava, ora divisa, poi riunita, abituata a muoversi; dagli anni Trenta è abbastanza ferma, ora è sospesa su un nuovo incerto futuro. Nel 2009 tiriamo su vecchi mobili dalla cantina, appendiamo foto di nonna e bisnonna, recuperiamo uno scrittoio intagliato, mettiamo paralumi a lampade che furono a petrolio e pranziamo nel fresco dell'Androne, con le sue volte di pietra, le finestre che danno sul giardino assediate dal glicine, le persiane sconnesse che fanno entrare lame di luce. Menu: Pizza di zucchine, un classico della casa, una festa estiva con le sue uvetta, capperi, acciughe; Pecorino di Picinisco, vicino paese di pastori; l'ottimo Pane locale, Insalata mista. Cabernet di Atina.
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Agosto 2009. Val di Comino. La vecchia casa si anima garbatamente per una cena quasi come una volta
Siamo da Mentuccia, nella grande casa di campagna affacciata sulla valle; valle che la sera intensamente azzurreggia e palpita, e se infili lo sguardo dal portone di ingresso al balcone dall'altra parte della casa, attraversando tre stanze, ne vedi in fondo l'oscuro splendore, che incupendo risuona di grilli, più tardi di languidi cani, e tra gli uni e gli altri spesso è punteggiato di fuochi d'artificio, cui i paesi vicini si abbandonano uno dopo l'altro, ognuno col suo Santo, la sua Madonna, una sera dopo l'altra, costellandone le sere estive.
Tutte e tre le stanze diventano camera da pranzo, a seconda delle stagioni. Quella con il camino, d'inverno; ed è l'unica che abbia diritto al nome. Quella di mezzo, con la porta finestra sul giardino, detta Ingresso, d'estate. Quella su cui dà il grande portone d'ingresso, detta Androne, in casi rari. Solo Mentuccia che l'ha imbellettata con mobili recuperati dalla dispersione in cantina, con paralumi nuovi per lampade vecchie, con orchidee, la pensa adatta allo scopo; certo è la più fresca.
Si attendono ospiti che rimandano al passato, quando gli inviti da paese a paese si intrecciavano: sono di una famiglia cui ci lega una lontana parentela, che in campagna però vale: le bisnonne arrivarono, sorelle, dentro due ceste ai lati di un asino, dal vicino Abruzzo, e poi sposarono due uomini che abitavano paesi vicini, e andavano comunicando tra loro nello stendere lenzuola in modi convenuti.
Forse la casa lo sa, che è quasi - quasi - come una volta. Tiriamo fuori i piatti della madre di Mentuccia - garofani di Imola, blu come suggerì Gio Ponti. Ma non mettiamo in tavola il magnifico servizio Ginori di Giò Ponti medesimo, avorio con figure arancio, immenso e non più toccato da tanto, dono di nozze del fratello alla madre, di cui Mentuccia ricorda le favolose figure, tra tutte un'esile donna che se ne va su una barchetta, sciarpa al vento; ogni volta che fu usato, si aprì il grande tavolo per 24 nella parte più vecchia della casa, quella abitata dalla zia Bianca, e si stese una delle due tovaglie di fiandra con intessute le iniziali di Beatrice o di Severino, i nonni paterni. Si recupera però qualcosa che resta del servizio inizi Novecento, bianco con il rigo d'oro, e vassoi anni Trenta con il fondo di specchio, che fanno perdere l'equilibrio quando cammini tenendoli in mano, capovolgendo la stanza. Menu: Peschette al tartufo, Timballo di capellini, Sformato di verdure con polpettine, Pie con crema di pompelmo e frutti rossi. Cabernet di Atina.
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Agosto 2009. Val di Comino. Colazione in giardino
Tutto è in campagna è un po' rimediato; sia perchè si sovrappongono tante tracce - ognuno ha messo negli anni e mette ancora oggi la sua, inseguendo contingenti fantasie fisime o desideri - sia perchè non si butta nulla; il tavolino vezzoso testimonia l'aver inseguito l'eleganza, le sedie di plastica l'economia e la comodità (chi se la sente di farsi trapassare le spalle dai riccioli di quelle metalliche, o di recuperare i cuscini fatti per ricoprirle?), il vassoio è un cesto con cui arrivarono vini e dolci chissà quando e per chi; le tazze sono nuove di zecca, gradito regalo degli ospiti; le celebriamo con tartellette ai frutti rossi. Il giardino ha l'aria arsa di agosto, il prato raso dalle pecore del vicino usate come tosaerba, ma il boschetto di bambù che sta in fondo in fondo, un tempo domato dalle galline fino a diventare un perfettamente circolare, timoroso mazzo, ora dilaga e le canne, che finalmente possono ingrandire, mostrano la loro stupefacente bellezza. Tartellette con frolla all'olio, lo yogurt e i frutti rossi.
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Agosto 2007. Val di Comino. Spuntino con delirio di ciambelle, tra cui la famosa ciambella di Sora
Note nel circondario come ciambelle di Sora, poiché era in quell’importante mercato che venivano smerciate; di fatto si tratta di ciambelle che affluivano a Sora dai molti paesi del territorio contiguo. In particolare, un tempo, le signore di Posta Fibreno nei giorni prima del mercato lavoravano industriosamente per produrle in gran numero. Tutta Posta, si dice, profumava di anice. Sono grandi, lucenti, dorate; sembrano un cercine, o una collana barbara a tortiglione.
Quindi: Ciambella di Sora, Ciambella lievitata, Ciambella sciroppata, Salamino di Viterbo,
Gorgonzola Croce.
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Agosto 2007. Val di Comino. Cena per due con friggitelli
In Valle di Comino si può cenare con un nonnulla, poggiando i piatti su uno strofinaccio da cucina. Allora si tirano fuori tavolini superleggeri e ci si piazza sul margine del giardino, in cima alla scala. Basta un piatto di Friggitelli saltati in padella con su del sale croccante, l'ottimo Pane cesereccio locale, del Greco di Tufo. Il resto lo fanno l'annottare, la campagna, gli ibiscus, il rosa dell'oleandro che svanisce nel buio, la grande casa, troppo grande, che rivive con una piccola luce.
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Agosto 2007. Val di Comino. Ricevimento in campagna con un cramble e un tè
Nella visita estiva a Mentuccia Fibrena si è prodotto un ricevimento molto Val di Comino, che ho la fortuna di documentare. La famiglia di un paese vicino è venuta a trovare quella di Mentuccia. La Valle fu una volta tutta intessuta di un fitto intreccio di famiglie amiche e imparentate che si andavano a trovare le une con le altre; al tempo delle carrozze, pernottando in camere per ospiti appositamente in attesa. Quando la distanza era minima, due chilometri di passeggiata morbida, con dolci curve che accompagnavano e riunivano vicini colli incoronati dai paesi implicati, si accompagnava a piedi chi se ne andava fino a casa, e quello spesso restituiva subito la cortesia, riaccompagnando l’accompagnatore tra chiacchiere infinite e pettegolezzi sornioni.
La famiglia di Mentuccia e quella ospite abitano in paesi dirimpettai e hanno in comune due bisnonne sorelle, che giunsero nella valle dai monti del vicino Abruzzo, bambine, dentro due cesti ai lati di un’asina. Si favoleggia pure che andate spose in due paesi ai due capi della valle, comunicassero tra loro in codice tramite lenzuola stese. Le due bisnonne hanno prodotto, in una valle di memoria lunga, un proliferare di zie e zii, e una quantità di cugini di terzo grado che nell’infanzia e nella giovinezza si frequentarono e crebbero insieme durante la stagione estiva che ancora riuniva le famiglie della Valle, nonostante gli allontanamenti e gli inurbamenti.
Osservate la tavola: c’è una sintesi di valledicominità. In un vassoio art deco con il fondo di specchio, dono di nozze ricevuto dall’ultima che entrò sposa nella casa e che oggi ha novantasei anni, ci sono bicchieri blu guadagnati con i punti del latte. Le donne che attualmente la casa riunisce per le vacanze non resistono alle raccolte punti, per tremenda che sia la cosa che minacciano di darvi. In ogni armadio si ammucchiano bicchieri (e tazze, e brocche, e vassoi) di bruttezza rara e in numero spropositato, acquisiti in tal modo.
I bicchieri per altro si intonano ai piatti garofano, di Faenza, con il bianco e blu che volle Giò Ponti, dei quali c’è un intero servizio. L’ultimo acquisito di un “servizio buono” da parte della sposa di cui sopra, di cui vivono ancora tutti i numerosi componenti della famiglia a ogni festa di un certo tono. Mentre l’alzatina di porcellana bianca col rigo d’oro, in cui viene proposto un assortimento di confetti di Sulmona, è la spaventata sopravvissuta di un grande servizio dei primi del Novecento, di cui restano sbreccati compagni.
Cosa si offre agli ospiti, che arrivano alle sei e mezza del pomeriggio? Qualcosa di incongruo, che gli ospiti, che sanno il fatto loro, faranno mostra di apprezzare senza batter ciglio: un crumble di pesche, del tè alla pesca, del tè al limone. Come possa passare per la mente ai valcominesi di offrire un dolce alle sei del pomeriggio lo si può capire pensando all’ingenuità di quelle contrade, dove lo slancio di offrire si traduce nella prima cosa che viene in mente. Sono state viste delle vellutate pesche in una fruttiera, si sapeva di avere burro e farina in dispensa, tanto è bastato. Così è successo che si sia fatto un Crumble di pesche e cannella con granella di zucchero. Come cuoca mi sono offerta io, Artemisia (il crumble non è valcominese, ma piace a Raviola Romagnola, cognata di Mentuccia e una delle accanite raccoglitrici di punti-latte). Ricordiamoci che nel paese di Mentuccia non ci sono negozi. Parliamo del paese vecchio, sul cucuzzolo del colle; il nuovo è scivolato a valle, lungo la statale. Quelli del paese di sopra ignorano il paese di sotto e ragionano come se il primo negozio a disposizione fosse a un giorno di cavallo. Non a caso il piatto forte della nonna di Mentuccia era il fritto misto, che si poteva allestire a ospiti improvvisi, detto fatto raccogliendo nella casa, nell’orto e nei vicini campi ogni che, sminuzzandolo e avvolgendolo in croccante pastella.
Tra ospiti e padroni di casa, quattro convitati oscillavano tra i novantadue e i novantanove. Ben tre di loro sono in grado di una chiacchiera vivace e inarrestabile di virulenza sovrumana. La quarta per sua fortuna non ci sente bene. I più giovani hanno rievocato pic nic insieme nelle vicine montagne. Cadute nei ruscelli, scherzi, torte rustiche, cesti.
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Agosto 2007. Val di Comino. Il menu dei tagliarini e fagioli
In Val di Comino non ci si aspetta che si pensi un menu. Fanno quello che gli gira, arriva in tavola di tutto, così, a seconda dell'uzzolo e della dispensa. Cosa hanno mangiato con i Tagliarini e fagioli, apprezzatissimo dono di Adalgisa? La sacra - per le persone di questa casa - Pizza di zucchine e il Rustico napoletano che ricorda come qui fosse Regno di Napoli. Per finire un Semifreddo di Rosati, sconsideratamente arrivato da Roma con timori e tremori che giungesse zuppetta. Ha tenuto. Nunchesto ci ha messo una bottiglia di Cervaro trovata ad Atina Inferiore in un negozio di gastronomia che tenta la sorte, con qualche fortuna, in queste selvagge contrade. Un po’ troppo vecchio, dice lui: del 1993. Leggermente barricato, con sapori di mela cotogna e frutta secca, per i tagliarini con i forti sapori di cipolla e fagioli. Poi Cabernet Riserva di Palombo 2003, dai sapori di mora e fragola, per le torte tra il dolce e il salato. Come chiosa introdurrei una meditazione sull'importanza del luogo sul cibo: culture, atmosfere, fantasie, letteratura. Lo abbiamo vissuto tutti: un cibo seducente lì, diventa insipido qui. Provate questo menu nel quartiere Prati di Roma. I valcominesi erano felici. Menu: Tagliarini e fagioli di Adalgisa, Pizza di zucchine, Rustico napoletano, Semifreddo
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Agosto 2006. Venezia. Pescaria e spuntini
La neogotica Pescaria, i suoi pesci che fanno boccacce dai capitelli, mi affascinano. Se dovessi pensare un itinerario veneziano, proporrei di studiare il neogotico: per il piacere di rintracciare abilità ancora vive di scolpire, cesellare, immaginare, e di finirla con un vero e falso senza riflessione. E' bello prendere il traghetto di Santa Sofia che attraversa il Canal Grande all'altezza di Rialto, tirandosi dietro il santo carrello che acconci volteggi di polso adattano ai gradini saliscendi dei ponti, e portare qualcosetta a casa, per esempio per una veloce Acqua pazza. Per accompagnarla basta un piattino di Sarde in saor e uno Sfilatino con le olive, che si trova ottimo. Poi ci mettiamo magari una cucchiaiata di Marronata Boschetti, comperata in ruga di Rialto, dal venerato Mascari. E gli squisiti Fichi già autunnali. Infine, una Crema. Cos'è ina crema a Venezia? Chiedo alla pasticcera: mi dà un diplomatico? L'occhio di lei diventa immensamente vacuo, ogni movimento sospeso. Indico. Ah! Una CREMA! Nella pupilla rifluisce la luce, nel sorriso torna la vita, la mano rianimata afferra la pasta e me la porge: il mondo ha ripreso a girare per il suo verso.
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Agosto 2006. Venezia. Un menu con una tatin di dodici cemtimetri
Per questo menu ripescato - sono pochissimi i menu di agosto, un po' in quel mese sono in giro, un po' mi nascondo sotto una foglia in attesa del fresco - metto in fila tutti i nostri santi veneziani. Quasi tutti. Ne abbiamo - mi accorgo - tantissimi, da quelle parti; il San Martino sulla facciata della casa, il Cammello, i quattro Mori del campo. Il bel Rioba dal naso di metallo come Tycho Brahe, quello eternamente con le mani nei capelli, l'allampanato, quello che si flette come una miniatura persiana in equilibrio su un'ara romana. Tutte pietre erratiche, ovvero non per dove stanno, ma per altro scolpite, e poi recuparate quando quell'altro fu distrutto dal tempo, e ricollocate. Questa tessitura tra distruggere e conservare, questo rammendare, un po' consola. Quanto al menu, non fu niente male: Crema di zucca, porcini e mazzancolle, Timballi di rana pescatrice e fondi di carciofo , Tatin di pesche di 12cm di diametro (eravamo in quattro).
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