Agosto 2015. Venezia. Disavventure gastronomiche e spuntini consolatorii.
I lunghi dritti canali di Venezia nord – specie Ormesini, Misericordia - ospitano bacari e osterie, frequentati da turisti accorti e da gente del posto, anche perché ci si arriva in barca, con tavolini sulle larghe fondamenta da cui si gode il tramonto del sole. Fino all'Ottocento furono spiagge; allora era una zona impoverita, che non ricordava più il passato di mercato orientale, commemorato dai nomi: Ormesini, dal porto dell’isola di Hormuz in Iran, da dove si esportava l'ormesino o ermesino, leggerissima seta. Oppure, Campo dei Mori; oppure, palazzo del Cammello, uno dei più bei palazzi gotici di Venzia, accompagnato da storie "egiziane". Volevamo un ciccheto dal Timon, vista l'assenza di cibo in casa; chiuso per ferie; arriviamo fino a La Bea Vida: ci propina un piatto di cicchetti veneziani - gloria gastronomica locale ove ben fatto - da dimenticare; la vecchia identità - cui rispondeva un tempo sperimentata realtà - di un posto dove di giorno trovavi pochi e semplici abbondanti piatti per lavoratori, e alla sera una cucina più raffinata è morta stecchita. Nessuna alternativa al nefasto piatto nel breve menu scombinato e ambiguo, dove la cosa più chiara era la pasta con ragù alla bolognese. Ho passato il breve tempo di permanenza ad ammirare come sia tuttavia sempre amato dai beoni locali, e a rifare tutto l'arredamento; quando siamo usciti, bevuto l'ultimo sorso di acqua a temperatura ambiente (non era un mio desiderio) avevo quasi finito. Ho organizzato anche un menu e trovato un nome nuovo.
Nel pomeriggio, rooibos. Come coniugare mal d'Africa - l'appena lascita Tanzania - e oblio del piatto di cicchetti di La Bea Vida.
Notate bene: solo i pirla mangiano male a Venezia: noi qui lo fummo.
La sera casuccia, con un pezzo di Parmigiano, un ottimo Pane di grano duro e un piatto di Frutta autunnale che ha felicemente pesato sulle mie spalle dopo un breve giro nelle bancarelle di rio Terà San Leonardo.
All'annottare il faro è tornato ad accendersi, e nel cielo nord delle aurore è comparso il lieve straccio rosa dei tramonti, vago rilesso di ciò che stava succedendo dall'altra parte.
Una città senza finestre illuminate è cieca.
Poi ancora albe, di un dilagante rosa d'ultimo agosto. Il faro di Murano è ancora acceso. Eccoci io e il gabbiano che guarda con me, io e il gridante, pigolante pulcino, sempre allarmato. Un pensiero si insinua, nella ritrovata casa: sarà un alba con, o senza biscotti?
Una breve nota sui tessuti arabi.
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