Siamo entro una raccolta dedicata ai risi: Risotti. Di tutto un po', Risotti di pesce, Tielle, timballi, sartù, gratin, Questo e quello, Neri, rossi, integrali, Esotici: pilaf, pilav, pilau, polow, pulaka. Medio oriente, Asia Centrale, Esotici; i dorati risi persiani, tah-digh, Esotici. India, Esotici. Pilau dell'Africa sub shariana.
Iniziamo con il risotto alla milanese di Carlo Emilio Gadda, in Verso la Certosa (1961).
L'approntamento di un buon risotto alla milanese domanda riso di
qualità, come il tipo Vialone, dal chicco grosso e relativamente più
tozzo del chicco tipo Caterina, che ha forma allungata, quasi di fuso.
Un riso non interamente « sbramato », cioè non interamente spogliato del
pericarpo, incontra il favore degli intendenti piemontesi e lombardi,
dei coltivatori diretti, per la loro privata cucina. Il chicco, a
guardarlo bene, si palesa qua e là coperto dai residui sbrani d’una
pellicola, il pericarpo, come da una lacera veste color noce o color
cuoio, ma esilissima: cucinato a regola, dà luogo a risotti eccellenti,
nutrienti, ricchi di quelle vitamine che rendono insigni i frumenti
teneri, i semi, e le loro bucce velari. Il risotto alla paesana riesce
da detti risi particolarmente squisito, ma anche il risotto alla
milanese: un po' più scuro, è vero, dopo l'aurato battesimo dello
zafferano.
Recipiente classico per la cottura del risotto alla
milanese è la casseruola rotonda, ma anche ovale, di rame stagnato, con
manico di ferro: la vecchia e pesante casseruola di cui da un certo
momento in poi non si sono più avute notizie: prezioso arredo della
vecchia, della vasta cucina: faceva parte come numero essenziale del «
rame » o dei «rami» di cucina, se un vecchio poeta, il Bussano, non ha
trascurato di noverarla nei suoi poetici « interni », ove i lucidi rami
più d'una volta figurano sull'ammattonato, a captare e a rimandare un
raggio del sole che, digerito il pranzo, decade. Rapitoci il vecchio
rame, non rimane che aver fede nel sostituto: l'alluminio.
La
casseruola, tenuta al fuoco pel manico o per una presa di feltro con la
sinistra mano, riceva degli spicchi o dei minimi pezzi di cipolla
tenera, e un quarto di ramaiolo di brodo, preferibilmente di manzo: e
burro lodigiano di classe.
Burro, quantum prodest, udito il
numero de' commensali. Al primo soffriggere di codesto modico apporto,
butirroso-cipollino, per piccoli reiterati versamenti, sarà buttato il
riso: a poco a poco, fino a raggiungere un totale di due tre pugni a
persona, secondo l'appetito prevedibile degli attavolati: né il poco
brodo vorrà dare inizio per sé solo a un processo di bollitura del riso:
il mestolo (di legno, ora) ci avrà che fare tuttavia: gira e rigira. I
chicchi dovranno pertanto rosolarsi e a momenti indurarsi contro il
fondo stagnato, ardente, in codesta fase del rituale, mantenendo ognuno
la propria « personalità »: non impastarsi e neppure aggrumarsi.
Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non deve far bagna, o
intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non annegarlo. Il riso ha da
indurarsi, ho detto, sul fondo stagnato. Poi a poco a poco si rigonfia, e
cuoce, per l'aggiungervi a mano a mano del brodo, in che vorrete esser
cauti, e solerti: aggiungete un po' per volta del brodo, a principiare
da due mezze ramaiolate di quello attinto da una scodella « marginale »,
che avrete in pronto. In essa sarà stato disciolto lo zafferano in
polvere, vivace, incomparabile stimolante del gastrico, venutoci dai
pistilli disseccati e poi debitamente macinati del fiore. Per otto
persone due cucchiaini da caffè.
Il brodo zafferanato dovrà aver
attinto un color giallo mandarino: talché il risotto, a cottura
perfetta, venti-ventidue minuti, abbia a risultare giallo-arancio: per
gli stomaci timorati basterà un po' meno, due cucchiaini rasi, e non
colmi: e ne verrà fuori un giallo chiaro canarino. Quel che più importa è
adibire al rito un animo timorato degli dei è reverente del reverendo
Esculapio o per dir meglio Asclepio, e immettere nel sacro « risotto
alla milanese » ingredienti di prima (qualità): il suddetto Vialone con
la suddetta veste lacera, il suddetto Lodi (Laus Pompeia), le suddette
cipolline; per il brodo, un lesso di manzo con carote-sedani, venuti
tutti e tre dalla pianura padana, non un toro pensionato, di animo e di
corna balcaniche: per lo zafferano consiglio Carlo Erba Milano in
boccette sigillate: si tratterà di dieci dodici, al massimo quindici,
lire a persona: mezza sigaretta. Non ingannare gli dei, non obliare
Asclepio, non tradire i familiari, né gli ospiti che Giove Xenio
protegge, per contendere alla Carlo Erba il suo ragionevole guadagno.
No! Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano,
Casalbuttano, Soresina, Melzo, Casalpusterlengo, tutta la bassa milanese
al disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all'Adda e insino a
Crema e Cremona. Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore
delle saponette: no!
Tra le aggiunte pensabili, anzi consigliate o
richieste dagli iperintendenti e ipertecnici, figurano le midolle di
osso (di bue) previamente accantonate e delicatamente serbate a tanto
impiego in altra marginale scodella. Si sogliono deporre sul riso dopo
metà cottura all'incirca: una almeno per ogni commensale: e verranno
rimestate e travolte dal mestolo (di legno, ora) con cui si adempia
all'ultimo ufficio risottiero. Le midolle conferiscono al risotto, non
più che il misuratissimo burro, una sobria untuosità: e assecondano,
pare, la funzione ematopoietica delle nostre proprie midolle. Due o più
cucchiai di vin rosso e corposo (Piemonte) non discendono da
prescrizione obbligativa, ma, chi gli piace, conferiranno alla vivanda
quel gusto aromatico che ne accelera e ne favorisce la digestione.
Il risotto alla milanese non deve essere scotto, ohibò, no! solo un po'
più che al dente sul piatto: il chicco intriso ed enfiato de' suddetti
succhi, ma chicco individuo, non appiccicato ai compagni, non ammollato
in una melma, in una bagna che riuscirebbe schifenza. Del parmigiano
grattuggiato è appena ammesso, dai buoni risottai; è una banalizzazione
della sobrietà e dell'eleganza milanesi. Alle prime acquate di
settembre, funghi freschi nella casseruola; o, dopo S. Martino, scaglie
asciutte di tartufo dallo speciale arnese affetto-trifole potranno
decedere sul piatto, cioè sul risotto servito, a opera di premuroso
tavolante, debitamente remunerato a cose fatte, a festa consunta. Né la
soluzione funghi, né la soluzione tartufo, arrivano a pervertire il
profondo, il vitale, nobile significato del risotto alla milanese.
Risotto ai funghi porcini con croste di parmigiano in crema, pancetta arrotolata soffritta
Risotto alla vignarola.
Risotto con spinaci, piselli, acetosella rossa, melissa.
Risotto al cavolfiore con brodo di carne
Risotto al cavolfiore con brodo di spezie
Risotto con arance e radicchio tardivo
Riso al salto farcito. Risotto robiola e yogurt con i carciofi
Risotto al limoneRisotto con il guanciale
Risotto alla crema di parmigiano
Risotto con i porcini e formaggio di capra
Quasi panissa vercellese
Riso con le fragole
Risotto con la 'nduja
Risotto verde
Risotto allo champagne
Risotto all'arancia
Risotto al whisky come negli anni '70
Risotto con il radicchio di Treviso
Risotto con lo zafferano e le zucchine romanesche
Risotto con la zucca 1 e 2
Risotto con bruscandoli e sciopetin, ovvero luppolo e silene
Fagioli e riso come un risotto
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