Scelgo due emblemi, tra quelli del castello di Bussy-Rabutin, tra i più introversi: la quiete si diffonde con il calare della notte illuminata dal chiarore lunare; ci si raccoglie in se medesimi, si abita in sé stessi come fa la chiocciola.
Anni fa passamo un agosto a Parigi, nel Marais, nel caldo e suggestivo sottotetto di un magnifico hôtel particulier del XVIII secolo dove si batteva la testa contro le travi con frequenza rintronante, ma al tempo stesso si godeva della vista di una calma corte pavimentata di pietra di grande, simmetrica bellezza come pure dei tetti della città e si era prossimi, tra l'altro, al Musée Carnavalet, oggi museo di Parigi, che fu una delle case della marchesa di Sevigné, alla quale non mancai di dedicare letture, come pure al coevo marchese di Saint Simon.
Insomma feci una certa immersione nel Grand Siècle, preso dal verso delle chiacchiere di corte. Mi calai proprio nel loro cuore con Saint Simon, che era catturato in pieno dalla follia dell'avvicinamento al re, e dedicava un'attenzione spasmodica all'applicazione del sistema simbolico che indicava in quale nodo di quella rete si trovava ciascun personaggio della corte. Ricordo lunghe, tormentate, vigili attenzioni rivolte a chi poteva, per dirne una, sedere su uno sgabello in presenza di Luigi (grande privilegio: gli altri, in piedi). Mentre madame evoca un clima più marginale rispetto a quella cattura, un clima campestre e periferico - penso anche al ventoso e immenso castello di Grignan, in Provenza dove abbiamo trovato tracce di quel suo tipo di vita - e vive in una distanza dal centro colmata dall'andirivieni delle lettere, che creava una rete molto più lieve di relazioni, piena di riposanti assenze sollecitanti la fantasia, la nostalgia, il racconto.
Roger de Bussy-Rabutin, cugino della marchesa e suo corrispondente, è a metà tra i due mondi. La sua vita è segnata dall'esilio dalla corte, quindi dalla rete in cui Saint Simon è calato, anche se attraverso la sua mancanza, l'allontanamento da essa. Che è altra cosa dalla distanza, scelta, di madame. Ma nel castello di Bussy-Rabutin viene rappresentata anche la fertilità dell'assenza della corte, altrimenti incombente con le sue sollecitazioni ad agire continuamente, a partecipare ai cerimoniali, a consumare tutto nell'atto (questa la perversa invenzione del centralismo di Luigi). Viene alla mente che Saint Simon, pur così catturato, recuperava la libertà chiudendosi in uno stanzino-armadio del suo appartamentino di Versailles, scrivendo pagine su pagine su pagine nel segreto della notte, della reclusione e della solitudine. Nel castello di Bussy-Rabutin l'assenza si traduce nella fertilità della creazione di immagini, di associazioni simboliche. Anche il lungo rimprovero alla traditrice, alla marchesa di Montglas, assume toni di liberazione, di pretesto per esprimere sentimenti rivolti più alla vita che a lei.
Il diluvio di post sul castello di Bussy Rabutin chiede un indice.
La stanza degli emblemi: le immagini, i motti.
Lei, la marchesa traditrice.
Nouvelle cuisine: piccolo inciso sulla cucina del Grand Siécle a parire dal pretesto di una visita di ciò che resta delle cucine del castello.
La rossa camera da letto che fu di Roger, ma che oggi appare molto di più di Sarcus, l'antiquario dilettante, il collezionista, l'erudito che nell'ottocento del secolo scorso recuperò il castello alla vita e reincarnò Roger, arrivando a scrivere motti e dipingere emblemi che oggi possono anche confondersi con quelli di lui.
L'appartamento ottocentesco di Sarcus: una stanza.
Le metamorfosi di Ovidio, a rappresentare la potenza del mondo antico come incessante fonte di ispirazione, qui dipinte a celebrare amori che non ebbero lieto fine.
Le belle del Salon Doré, le dame amiche - nemiche del nostro, cui Roger chiese il ritratto per averlo con sé nell'esilio; ma non mancò di affibbiarvi sotto motti brucianti e mordenti (e quelle smisero di mandare i ritratti).
Il Salon Doré, il cuore circolare del mondo di segni e simboli intessuto da Roger nel castello.
La tribune seigneuriale, la galleria di ritratti di re, duchi di Borgogna, avi Rabutin, sibille azzurre, assemblata da Sarcus sulle tracce di ciò che fece Roger.
Il labirinto di verzura, prodotto felice del contemporaneo restauro del giardino. Brevi meditazioni sui labirinti e sul castello stesso come labirinto.
L'acqua: il torrente Rabutin, le sorgenti, gli specchi d'acqua, le canalette. Ricchezza di Borgogna.
Coup de Griffe. Un nobile orso che Artè disegnò, novello Sarcus, perché si aggiungesse il suo ritratto alla galleria degli uomini illustri.
La piccionaia. Uno dei segni del privilegio nobiliare.
L'anticamera degli uomini di guerra: tutti gli emeriti uomini di guerra del tempo di Roger (l'unico tempo che lui abbia alla mente), tra i quali lui stesso.
Un giro intorno al castello.
La piantina del castello e una sua presentazione.
Divagazioni intorno a Roger, di Artè.
Tutti i post su Bussy-Rabutin.
3 commenti:
"l'assenza si traduce nella fertilità della creazione"
sì verissimo, quello che in altri termini ma stessa sostanza è la cosiddetta capacità negativa in psicoanalisi, locuzione originata da un dire di keats che si rifaceva a shakepseare e ripresa tecnicamente da bion quale funzione analitica, l'assenza genera incertezza e l'incertezza si nutre di dubbio e dubitare rende più familiare il mistero, affina l'immaginazione, scava nel profondo, ci vuol fegato a sostenere l'assenza ma il feedback è la fecondità psichica immaginale creativa (l'argomento m'alluzza molto)
più in generale, gli psicologi dicono che senza assenza non c'è pensiero.
eh già in generale e in particolare:-)
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