giovedì 30 settembre 2010

BORGOGNA. CHÂTEAU DE BUSSY RABUTIN. PIANTINA




Cominciamo con piantare qui un riferimento che mi servirà per i molteplici post che dedicherò a un cocco di mamma, lo Château de Bussy Rabutin, che andavo inseguendo da anni e che finalmente sono riuscita a vedere.

Perché lo inseguivo? Ne conoscevo l'abitante più interessante, Roger de Bussy Rabutin, libertino sentimentale, guerriero coraggioso ma incapace di far carriera, cortigiano gaffeur, irrefrenabile lingualunga costi quel che costi, cugino di Madame de Sevigné e suo corrispondente per quarant'anni oltre che promotore delle prime pubblicazioni delle lettere di lei, poeta e anch'egli scrittore di innumerevoli epistole così come l'epoca richiedeva e di un libretto pericoloso sulla vita amorosa dei Galli - ovvero della corte dell'epoca - che per aver sfiorato gli affari intimi di Luigi XIV gli valse l'esilio da Versailles e con esso, apparentemente, dalla vita che valeva la pena di essere vissuta.



E che tuttavia fece di questo piccolo castello di campagna, sua residenza estiva, adatto ai suoi non ampli mezzi economici, un guscio di chiocciola avvolgente e seducente che gli crebbe addosso come una conchiglia sul mollusco, piena di multicolori disegni e riflessi sulla madreperlacea superficie che parlavano tutti di lui, Roger.

I castelli che oggi visitiamo sono quelli che sopravvissero alla dilapidazione e alla rovina poiché qualche eccentrico nell'ottocento se ne occupò, ripescandoli dal pozzo oscuro e immemore in cui stavano per affondare per sempre. Anche qui ce n'è uno, il conte di Sarcus, che con Roger si identificò e lo fece a suo modo rivivere.

Il castello è seducente perché tale ottocentesca presenza non lo addomesticò - solo una camera da letto e un'altra stanza portano i segni di tale domesticazione borghese - per il resto rimane uno spazio prima di tutto simbolico, e poi abitabile.

Fu il settecento a radicare le persone nelle stanze, a creare le differenze di funzione - per dire: inventò la sala da pranzo - e solo il secolo successivo fu quello in cui ciascuno volle il suo letto, la sua scivania, la sua poltrona. Soprattutto, non li volle più mobili, ma stanti, sempre allo stesso posto. Ci si confinò in casa, e se ne volle un pezzo. Una stanza tutta per sé nacque tardi, prima se ne avevi una il rischio che fosse una prigione e non un caro nido era assai elavato (ricordatevi, per dire, delle principesse chiuse nelle torri; la cosa simpatica è che in questo viaggio ne ho viste un paio, di codeste torri, che rimandano alla storia e non alla fola).

L'appropriazione degli spazi con i propri oggetti posti a guardia di ogni intrusione, la spazzola, il calzino, il libro aperto e poggiato a faccia in giù, è moderna. Spingendo lo sguardo in giù nel tempo, appena appena intravedo un mondo fatto di bauli in movimento, di tavolate su cavalletti allestite alla bisogna in qualsiasi stanza, di letti con le cortine per infilarli in ogni passaggio, o da campo pronti ad andare altrove. Lo stesso Luigi XIV era un incessante viaggiatore, sempre in carovana da una città a un'altra, da un castello a un altro (singolare che poi sia stato quello che rinchiuse i nobili a Versailles come in una stretta e vociante voliera).

Dentro il castello di Bussy predomina la struttura in quanto tale: le pareti, i soffitti, i pavimenti, le finestre, le porte; spazio densissimo di segni, di emblemi, di scritte, di ritratti, di facce, di racconti. E' una sorta di incessante discorso dall'andamento a spirale, infinito grazie al suo svincolarsi dalla bidimensionalità della pagina o della tela, fatto di lettere e immagini intricate tra loro. Non ha bisogno di mobili, ed è pronto ad accogliere pienamente anche viandanti dal passaggio momentaneo.

Un sito dedicato al castello e a Roger dai suoi fan

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