martedì 6 dicembre 2016

Patate al vapore


 
Da Mentuccia Fibrena.

Le patate al vapore rimandano a un'infanzia campestre. Ritrovo nella memoria un inizio rituale: la calata in un anfratto buio della cantina, vasta quanto la vasta casa, ma quello era una stanzetta a parte, con una porticina sua, sopra la quale un cartello conservava ancora una scritta appena percepibile ma cubitale: PATATE (un umorista lo aveva appeso lì). Vi si conservavano infatti le patate, in questa stanzuccia nerissima odorosa di ragnatele e di polvere, la finestra sempre chiusa rigata da fili di abbagliante luce nelle sconnessioni tra i legni. Al di là, una luminosa valle che non si vedeva mai, ma si sapeva che c'era. Pare fosse stata stalla di cavallo, e lo spettro del mitico animale mai visto aleggiava amichevole e divino tra buio e patate (di un cavallo trovai un dente immenso in soffitta, dentro una scatolina di pelle bianca rigata d'oro; pensai a un gigante, poi seppi e fui ancora più stupita che si conservasse tale memoria; c'era pure una coperta da calesse che imitava la pelliccia di una tigre: interessanti antenati!). Si entrava con massima prudenza, per non pestare le patate, rotolarvi sopra e annegarci dentro (erano un mucchio che certo poteva inghiottire un bambino); il pavimento era loro, non l'avessero condiviso in un angolo con la botticella dell'aceto e una brocchetta sbeccata, di grande grazia, che finiva i suoi giorni raccogliendo la goccia che sfuggiva alla bottiglia quando si prendeva l'aceto. Goccia che però, svicolando comunque, aveva formato a terra indelebile macchia di pungente odore, essendo quell'aceto virulentissimo, odorossissimo, intenso. Le patate signoreggiavano tuttavia sull'aceto, sia per il cartello, sia perché l'enorme chiave storta - chi mai aveva potuto piegarla! - che apriva la porticina, appesa in cucina, grandeggiava sulle chiavi vicine dando importanza a ciò che custodiva e aveva sul gancio la scritta: "Patate". Mai nessun'altra cosa fu tanto segnalata in quella casa.

Riemersi dal buio nella luce della cucina con un fagotto di patate bizzarre e storte, le si pelava e riduceva a tocchetti piccoli e regolari, che venivano messi in una pentola stretta e alta e coperti a filo con acqua appena salata. Una mano parca, come sempre in quella campagna, versava un filo d'olio d'oliva ottimo che si allargava in piccola pozza galleggiante, e vi appoggiava una foglia di sedano e uno spicchio di cipolla in cima. Il fuoco avviava un sobbollire lento. Sedano e cipolla si spandevano penetranti insieme all'odore dolcemente granuloso della patata.

A questo succedeva (venti minuti dopo, anche se patata differisce da patata) tolti gli odori, il repentino girare vigoroso con la forchetta della massa di patate disposta a disfarsi e cedere, proprio nel momento (non prima, non dopo) nel quale i tocchetti, solo apparentemente intatti, erano oramai simulacro di se stessi, e c'era ancora abbastanza liquido (non di più, non di meno) per la necessaria morbidezza della futura crema. La furiosa forchetta (come tutte le forchette di quella cucina, aveva denti straordinariamente lunghi, aguzzi e storti in avviticchiamenti fantastici) doveva creare vaporosità e montare la massa; qua e là frammenti solidi ricordavano la rusticità delle patate e lo scempio subito. In una versione versione primitiva le patate venivano servite a pezzetti, con il loro brodetto, dopo aver tolto gli odori. La versione cremosa fu introdotta all'inizio degli anni Trenta da una sposa  - Aida, mia madre - che trasformò col suo braccio nervoso la tradizione, per poi tornare, in vecchiaia e di punto in bianco rinnegandosi, ai più riposanti dadolini. La brocchetta dell'aceto e una riproduzione dell'antro della patate li trovate in Pistacchietto, la salsa di mentuccia e aceto della Valle.

Artemisia
voleva un soave piatto caldo per una cena con dei piatti freddi (nella ciotola uzbeka). Nel menu di  Luglio 2017. La cena del vitel tonné: piatti freddi e pane bollente. E nel menu di Ottobre 2019. La casa comincia ad avvolgersi delle dense ombre piene di fantasmi invernali (nella ciotola blu). C'è uno Spezzatino al vino rosso sugosissimo, ci vuole qualcosa che abbracci tali profluvi, e sia lieve e veloce da farsi, affettuosa: patate al vapore! Non so perché, ne ritengo necessario un bidone, e avviamo una gran pentola - due chili di patate -  per fortuna assai per tempo: andrà due ore, e alla fine si trepidava ancora: si disferanno? (l'aria era tosta). Si disfarono perfettemente, leggermente.

Patate al vapore

Verrà un puré morbido, aereo, con qualche frammento di patata qua e là, con un'aroma d'olio d'oliva: insomma, non c'entra nulla con il pur ottimo purè di patate. Le patate al vapore erano le regine dei pasti serali, buone appena fatte, perchè raffreddandosi si compattano e ammassano. Ma allora sono ottimamente trasformabili in minestrina di patate o in patate al vapore ripassate.

Sbucciare le patate - preferibilmente vecchie - farle a dadini uguali, metterle in pentola più alta che larga, coprirle a filo - un po' meno che a filo, un dito sotto - di acqua, salarle.

Farvi su una macchia di ottimo olio d'oliva. Ne occore poco, diciamo una macchia grande come una rosa.

Deporre sul tutto una mezza cipolla, una foglia di sedano (volendo, un pezzetto di carota, un rametto di prezzemolo).

Farle andare a fiamma bassa, coperte, per 20' circa; smettere quando l'acqua non si vede più, e i dadini di patata, ancora interi, sono però del tutto cedevoli.

Togliere gli aromi e mescolare le patate con energia con una frusta (non usare attrezzi meccanici o robot: sapete bene che le patate diventerebbero collose).





















9 commenti:

isolina ha detto...

se dovessi sintetizzare, le tue cose sono una wunderkammer e molto spesso nella memoria ne creano altre.
La cantina delle patate mi ha ricordato la stanza delle mele di mia nonna. In un grandioso solaio pieno di meraviglie, una stanzetta era stata creata con ripiani a castello dove si mettevano mele renette (qyeste mi ricordo, ma chissà quanto altro) che venivano fatte venire dal Trentino o Alto Adige, non ricordo. Il profumo rimane tenace nella mente. Forse è per questo che le renette in commercio ora non mi soddisfano affatto, e ci rinuncio

artemisia comina ha detto...

miodio miodio che stanza!

Anonimo ha detto...

...e che gran bel pezzo di scrittura gastronomica direi! grazie. stefano
ps: domanda da bestia che sono: ma oggi, per "ottenere" patate vecchie sapete dirmi, cari accademici, come fare: conservarle al buio per giorni/settimane?? grazie per dritte

artemisia comina ha detto...

In effetti avere patate come si deve in negozio in Italia è dura...

isolina ha detto...

e anche per chi le coltiva. Noi, anche se le conserviamo secondo i dettami, dobbiamo consumarle abbastanza in fretta perché non si conservano molto a lungo. Credo che solo quelle bombardate di non so che cosa superino la stagione.

Anonimo ha detto...

hum---- ok.... quindi... il famoso "patate vecchie per fare gnocchi" diventato forse archeologia gastronomica.... grazie a tutte in ogni caso, ciao, s

Anonimo ha detto...

...le ho fatte ieri sera, utilizzando le meglio patate farinose e ben sporche di terra che il contadino biologico organico britannico mi ha proposto.
ottimo piatto, da segnare nel libretto dei "cibi di casa buoni e immediati"
unica variazione: ho cotto le patate a tocchi ma con la buccia. caldamente consigliato. stefano

artemisia comina ha detto...


Con la buccia? E poi? Al momento di girarle con la frusta? Dicci!

Anonimo ha detto...

sì artemisia: patate con buccia fina fina (quindi suppongo non vecchie???), lavate molto bene. al momento della frustata, la buccia non fu di ostacolo (mi piange sempre il cuore a sbucciare le patate confesso, meno per carote e simili/mia fisima suppongo)
s

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