venerdì 29 febbraio 2008

Salmone con pane e cipolle in agrodolce.


Da Artemisia Comina

Faccio una bella ricetta dello chef Christian, con minime variazioni, dovute a fretta, contingenze e qualche scelta. Il piatto, fatto tra l’altro alla massima velocità, è risultato molto buono. Ho usato una padella di ferro per cuocere il salmone; ciò ha permesso di avere una pelle croccante molto buona, ma richiede cura nella cottura perché non si arricci (incidetela prima). Lo chef usa un po’ di semola per passarvi la parte senza pelle del salmone prima di metterla in padella; non l’avevo e ho fatto senza. Nel menu di Febbaio 2008. Una veloce cena di pesce tra i libri. Ho imparato ad apprezzare questo attrezzuccio, il coppapasta cilindrico, per creare piccoli timballi fatti con quasi nulla; siamo perciò nella raccolta Monografie. Procedure. Timballini nel coppapasta.

Per 4 persone.

Comperate un bel pezzo di salmone fresco e polputo, che vi permetta di ricavare quattro scaloppe alte, di 8cm di lato circa.

Tagliarle con un coppapasta rotondo, 8cm per 5cm, che incide la morbida polpa del salmone fino alla tosta pelle. Questa dovrete poi reciderla torno torno con un coltellino affilato. Avrete così quattro bassi cilindri di polpa di salmone con la loro pelle. Vi avanzerà del pesce che userete per altri piatti.

Mette da parte le quattro scaloppe e preparate il composto che farà da base.

Rosolate due belle cipolle rosse tagliate a julienne in una padella antiaderente con dell’olio e.v. d’oliva.

Spolverate con un cucchiaio di cassonade, bagnate con un bello spruzzo di aceto di vino (una tazzina da caffé circa), fate evaporare 30 secondi.

Unite una manciata di capperi sotto sale ben lavati e asciugati, una quindicina di pomodori ciliegini tagliati in quarti e due-tre fette di pane casereccio a pasta compatta privato della crosta, anche leggermente raffermo, tagliato a cubetti.

Aggiustate il sale.

Scaldate una padella di ferro e cuocetevi le scaloppe di salmone, a fiamma media, con olio d’oliva e con un rametto di rosmarino, tre minuti per lato (il tempo è indicativo e dipenderà dallo spessore delle vostre scaloppe; comunque, siate rapidi, perché il salmone troppo cotto diventa irrimediabilmente stoppaccioso).

Poggiate lo stesso coppapasta che avete usato per ritagliare la polpa del salmone nel piatto, versatevi un quarto del composto di pane, pressate, sollevatelo con garbo.

Poggiate sul composto di pane una arrotondata scaloppa di pesce con la pelle in alto; spolveratela con un pizzico di fleur de sel, poggiatevi su una punta di rosmarino fresco.

Di corsa a tavola.


 

giovedì 28 febbraio 2008

TOBIA E RAFFAELE.



Sempre mi sono piaciuti gli angeli con il cappello, da quando li vidi molti anni fa in Perù. Mirabili quei cappelli di paglia da soleggiata e pacifica gita in campagna portati con la lucente armatura. Le larghe falde portate con le ali mi seducono e mi fanno sorridere anche per un altro motivo: che succederà di quei cappelli appena gli angeli si alzeranno in volo?

Questo angelo Raffaele ne ha uno, che si intravede con chiarezza nonostante lui sia piccolo e perso nel paesaggio azzurrino. Si vede il cappello, l’eleganza già settecentesca rosa e celeste dell’angelo, il gesto con cui indica lo spropositato pesce che Tobia sta tirando su con affanno e lena mentre quello si agita e arriccia la coda, per niente propenso a iniziare la lunga passeggiata con i due compari.

Qui Tobia e Raffaele sono soverchiati da nubi, cieli e ruderi, e affondano in quel riflesso di acque cerulee che darà a tanti paesaggi settecenteschi quell’aria post diluvio, di mondo in confidenza con l’acqua che tanto piace a Leccardo quando dipinge i suoi trompe l’oeil.

Ripercorriamo i vari Tobia e Raffaele finora presenti in AAA, ricordando che di questa coppia ne stiamo facendo quasi i nostri santi protettori, con la ricerca di materia prima che sono stati in grado di fare.

Ci sono il gigantesco Raffaele e il fanciullesco Tobia di Verona, soverchiati dalla presenza di un Dio medioevale;

Poi gli ottusi Tobia e Raffaele di pietra, a Venezia.

Ai distratti ricordiamo che i due andavano in cerca di un certo pesce dalle proprietà miracolose, il cui fiele avrebbe ridato la vista al padre del ragazzo e i cui cuore e fegato avrebbero sbaragliato un demone che aveva ucciso i sette mariti di Sara, una bella giovine, nel corso della prima notte di nozze, lasciandola scornata vergine.

Sono stati ritratti, nel corso dei secoli, innumerevoli volte, ora con il pesce in mano mentre tornano a casa, ora, come in questo caso, mentre pescano, o meglio mentre Tobia pesca, perché a quanto pare l’atto delle pesca deve farlo lui.

Il libro di Tobia.


Tobia e l’Angelo, di Pietro Locatelli (Roma c. 1634-1710) (Attribuito)

Da qui.

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Altri post con Tobia e Raffaele, qui.

Il medico del capitano Hatteras cucina l'immangiabile berta artica. Giulio Verne ed Édouard Riou





Da Mentuccia Fibrena.

Molto prima del web, furono le biblioteche a mettere in connessione con parole e immagini che attraversavano lo spazio e il tempo persone altrimenti sole solette in remoti punti del mondo. Io sono nata in un paese di campagna piccolo piccolo, sperduto in landa selvatica popolata di olivi e pecore secche. Ma nella casa c’erano molti libri di diverse razze e generazioni, che non la finivano di sorprendere nella varietà di mondi rivelati. Tra gli altri, una bella fila di Verne ottocenteschi, verdi, con le scritte d’oro e le incisioni bianche e nere.

La folaga di Artemisia e i suoi problemi di commestibilità (buon per lei, la folaga) mi hanno ricordato il medico del capitano Hatteras.

Hatteras è un esploratore forsennato, uno di quegli uomini che quando esistevano ancora luoghi non esplorati della terra vi puntavano contro disperatamente, decisi a metterci i piedi sopra a costo della vita sua e dei compagni che fossero riusciti a trascinarsi dietro. L'Hatteras di Verne vuole andare al Polo Nord; attrezza un brick con ampio impiego di mezzi, e recluta personale “alla cieca”, attraendolo con l’alta paga e senza dichiarargli la meta, pena il ritrovarsi da solo (anzi, all'inizio nasconde anche se stesso, farà la sua apparizione a viaggio iniziato, dopo molti misteri).

Qui siamo all’inizio dell’impresa, quando non si sono ancora palesate le difficoltà del viaggio e il brick veleggia veloce e tranquillo in acque ancora note e non terribili. Sull’equipaggio che viaggia senza sapere dove sta andando aleggiano fantasie di mistero e minaccia, ma ci sono ancora pause amene, come questa caccia alla berta. Dopo si presenteranno ben altri problemi di cucina, legati alla sopravvivenza nei mari estremi, come li chiama Andersen nella sua crudele novella contemporanea o quasi al racconto di Verne.

Ma nell’episodio della berta non siamo ancora alla lotta tra uomini e orsi, entrambi tesi a scampare alla morte per fame. Per i curiosi: Hatteras tra disgrazie e avventure arriva al polo nord e ne torna privo di senno. Passerà il resto della vita in una casa di cura a camminare verso nord. Un uomo senza alternative.

Come sempre nei viaggi di scoperta, tra l’equipaggio oltre ai marinai c’è l’ “uomo di scienza”, il dottor Clawbonny, deputato ad annotare minuziosamente, a documentare con disegni e se possibile riportare in patria sotto forma di “esemplare” tutto ciò che si sarebbe presentato di nuovo, animali, piante, minerali, fenomeni naturali che fosse.

Qui l’uomo di scienza è rappresentato opportunamente da un “dottore”, ovvero un medico che alla bisogna sarebbe tornato utile anche all’equipaggio. Naturalmente il dottore ottocentesco non è uno specialista, ma un sapiente ad ampio ed eclettico raggio. Sa fare anche il cuoco, purché di alimenti strani e di dotta trattazione. Per esempio cuoco di uccelli marini altrimenti immangiabili. Se andate a vedervi le ricette che girano su web circa la folaga, uccello acquatico non commestibile e con disgustosi aromi di pesce se non sottoposto a cucine particolari, vedrete che propongono procedure singolarmente vicine a quella del dottore.



Avventure del capitano Hatteras, Giulio Verne (avevo preso anno ed editore, ma ho perso il foglietto; ve lo dirò un’altra volta).

“Nei giorni successivi il Forward si spinse rapidamente nel nord-ovest. Il vento passò al sud, e il mare fu battuto da grosse ondate. Il brick navigava allora con tutte le vele spiegate. Alcune procellarie e alcune berte vennero a volteggiare sul casseretto, e il dottore uccise molto destramente una di quest’ultime, che cadde per fortuna a bordo.
Simpson, il fiociniere, se ne impadronì e la portò al proprietario.
- E’ una ben meschina selvaggina, signor Clawbonny.
- Che farà un cibo eccellente, invece, amico mio.
- Come? Voi mangierete questo?
- E voi ne assaggierete, rispose ridendo il dottore.
- Oibò, replicò Simpson; è oleoso e rancido come tutti gli uccelli marini.
- Ebbene! replicò il dottore; io ho una maniera particolare di cucinare questa selvaggina; e se la riconoscerete per un uccello marino, prometto di non ammazzarne più in vita mia.
- Voi siete dunque cuoco, signor Clawbonny? domandò Jhonson.
- Uno scienziato deve sapere un po’ di tutto.
- Allora guardati, Simpson, rispose il mastro d’equipaggio; il dottore è uomo abile e ci farà prendere questa berta per una pernice squisitissima.
Il fatto è che il dottore cucinò benissimo il volatile. Gli tolse il grasso, che è tutto sotto la pelle e principalmente sulle ànche, e con quello sparve quel rancidume e quell’odore di pesce che si ha perfettamente ragione di non volere in un uccello. Così accomodata, la berta fu dichiarata eccellente dallo stesso Simpson.”




Le incisioni sono un mondo brumoso, bianco e nero, vago, sollecitante l'immaginazione, e al contempo pefettamente compiuto; non sono approssimativa immagine di un altro, colorato, precisio,"reale", ma un mondo altro dal nostro e altrettanto reale e intenso. Per me il racconto e il libro, con la sua copertina verde e oro, la sua data di edizione, il vecchio italiano nel quale è tradotto, le incisioni che lo illustrano, di Riou, sono un tutt’uno indivisibile. Il linguaggio e le immagini “contemporanei” a Hatteras nella mia fantasia sono un vero reperto, l’autentica la testimonianza di un’impresa che in edizione attuale perderebbero sapore.



Progetto Gutenberg ha pubblicato il libro in una edizione del 1876. L'illustratore è lo stesso di quello dei miei libri. La storia della berta la trovate nel Capitolo V.

Édouard Riou (2 December 1833 – 27 January 1900) was a French painter and illustrator who illustrated six novels by Jules Verne, as well as several other well-known works


mercoledì 27 febbraio 2008

LAZIO. VALLE DI COMINO. LAGO DI POSTA FIBRENO. LA FOLAGA, FULICA ATRA: ZAMPE O FOGLIE?


















Guardiamo un po’ più da vicino, grazie all’obiettivo di Nunchesto, la folaga del lago di Posta Fibreno.

Appartiene alla famiglia dei Rallidi.

Pessimi nel volo per le loro corte ali, amanti delle vegetazioni palustri e delle acque ferme, flessibili attraversatori di canneti, muniti di lunghissime dita adatte ad appoggiarsi sulle erbe acquatiche. Schivi i più e sfuggenti come la gallinella d’acqua, ma non la folaga, che invece tranne che nella stagione della cova se ne va in fitti gruppi galleggianti e schiamazzanti, spesso in compagnia di qualche più tranquilla anatra. Ha piumaggio nero, occhi rossi, un puntuto becco bianco e una grande placca bianca callosa sulla fronte che riluce sulle piume e sull’acqua.

Soprattutto, ha immense zampe grigio-verdi, lunghe, con le dita munite di membrane lobate per poter sia nuotare che camminare sulla vegetazione acquatica. Buona tuffatrice, è in grado di resistere sott'acqua anche per mezzo minuto.

Si nutre soprattutto di vegetali acquatici, ma anche di lumache, insetti, larve e piccoli crostacei.
Fa nidi galleggianti, una sorta di gusci di canne foderati di più morbidi grovigli di erbe, deposti su piccoli isolotti o aggrappati a qualche radice o ramo sporgenti nell’acqua. Depone 5-16 uova, incubate da entrambi i genitori per circa 21 giorni. Presto i piccoli sono in grado di nuotare con i genitori. Sul lago di Posta Fibreno è stanziale.

Prima di riuscire a prendere il volo corre sull'acqua per un buon tratto, sollevando spruzzi e sprazzi; spesso si vedono folaghe e folaghi, praticamente indistinguibili tranne che per il verso che fanno, attaccare baruffe piene di schizzi e brevi voli.
Pare sia pessima da mangiare, con una pelle che manda cattivo odore e una gran coltre di grasso cui si attribuisce uno sgradevole sapore di pesce; tuttavia, Artusi ne dà una ricetta, ed altre ne girano su web. Sembra che gli inglesi ne siano ghiotti. Un tempo la chiesa la considerava carne di magro, poiché mangiando erbe e animaletti acquatici, veniva equiparata a un pesce. Per fortuna i postesi non la pensano commestibile.

Biscotti con la frolla allo strutto


di Artemisia Comina.


400g di farina00, 160g di zucchero, 3 rossi d'uovo e una chiara,  la scorza di un limone, 100g di burro, 100g di strutto, un pizzico di bicarbonato.

Aggiungere delle mandorle con la buccia.

Fare un rotolino di pasta, tagliarlo a tocchetti.

Mettere i biscotti su una teglia da forno infarinata.

Cuocerli a 180° per 15/20'.

Spolverarli di zucchero a velo.


lunedì 25 febbraio 2008

VITTORIO ACCORNERO ILLUSTRA ANDERSEN.





L'acciarino.



La sirenetta.



L'abete.



L'usignolo.



Pollicina.



La principessa sul pisello.



Ciò che fa il babbo è sempre ben fatto.



L'angelo.



La nonna.



Nei mari estremi.



Il gorgo della campana.



Il piccolo Tuk.



Il vecchio fanale.



Il brutto anatroccolo.



La diligenza da dodici posti.



La vecchia casa.

Artè mi ha dato da fotografare le 16 illustrazioni di un suo libro, Quaranta novelle, del terribile Hans Crhistian Andersen, scrittore che ha afflitto bambini con i suoi soldatini di piombo soli e squagliati come mai seppe fare nessun narratore di orchi.

Le illustrazioni sono strapazzate e incerottate in misura proporzionale alla trepidazione con cui Artè bambina ne girava la pagina: la sirenetta le provocava autentiche fitte la cuore, e si vede.

Abbiamo scelto uno stile fotografico sfogliato, che non nasconde come le pagine siano ancora attaccate a un libro, per altro con la costola già alquanto squinternata, che non abbiamo voluto torturare ancora.

L'illustratore si chiama Vittorio Accornero, e abbiamo visto che non è molto presente con le sue immagini su web; ripariamo a un torto per ciò che possiamo.

Artemisia ha scoperto di avere numerosi foulard di Gucci illustrati da lui, forse oggetto di un prossimo post.

Prendo due righe di biografia di Accornero da un blog australiano - pensate un po' - perchè in italiano non c'è un granché.

Vittorio Accornero de Testa was born in Casale Monferrato, Tuscany in 1896. Before WWI he had established himself as a book illustrator and painter using the name Victor Max Ninon. By the 1930s, he returned to book illustration and his original name. He illustrated much loved versions of Pinocchio, Grimm’s Fairytales and books by Hans Christian Andersen. During his long career Accornero also designed sets and costumes for the theatre and movies as well as La Scala in Milan. In 1966, he was contracted by Gucci to design fabric for women's handbags. His floral design is still in production today.
Da Hanuman.

Hans Christian Andersen, Quaranta novelle, traduzione di Maria Pezzè Pascolato, con una lettera di Giosuè Carducci, Hoepli, Milano 1952.

Il testo del libro, senza illustrazioni, è stato riversato su rete, e lo trovate per intero in wikisource

domenica 24 febbraio 2008

Minibabà' con cavolfiore all'aglio e sesamo.



di Artemisia Comina.

Ho provato di nuovo l’impasto della Brioche Galante, questa volta con cavolfiore. Fanno parte del menu Gennaio. Un passato capodanno. In questo caso ho usato gli stampi di silicone, che al momento di sformare possono essere rivoltati come calzini: si addicono al delicato impasto. Alcune metamorfosi della Brioche Galante miniaturizzata: galantine nei pirottini di carta, piccole brioche con i pomodorini, piccole brioche farcite di uova strapazzate e pomodorini, minibabà con pomodori ciliegini, mini babà col baccalà mantecato.

Verranno 18 minibabà.

Per la farcia:

preparare 18 cimette di cavolfiore sbollentate.

Mescolare olio e.v. d'oliva, sale, pepe nero e abbondante aglio (due-tre spicchi sbucciati) pure sbollentato e ridotto in crema.

Condire la cime di cavolfiore con la salsa all'aglio.

Per la pasta:

3 bicchieri e mezzo di farina00; un bicchiere di olio di semi; un bicchiere di latte; 3 uova; 5 cucchiai di parmigiano grattugiato; 2 bustine di lievito istantaneo.

Mescolare, verrà un impasto granuloso.

Riempire fino all'orlo con il composto degli stampi da babà in silicone piccoli (4cm diametro).

Preparare 18 pezzetti di acciuga sott'olio.

Infilare in ogni stampino un pezzo di acciuga e una cimetta di cavolfiore, spingendoli in modo che il composto risalga sui lati, fino a ricoprirli quasi del tutto; tirare l'impasto con i rebbi di una forchetta in modo da fare un coperchio a cupoletta, aggiungere impasto se necessario, lisciarlo.

Cospargere di semi di sesamo.

Infornare subito in forno preriscaldato a 250°; appena il composto si alza, abbassare a 180°; in tutto 20' di cottura.

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