domenica 31 agosto 2014

Venezia. Il Ridotto. Ristorante con una stella.

 

 Avendo giurato un ben motivato odio eterno all'Aciugheta, del cui "impero" fa parte anche Il Ridotto e che si dipana in più locali sullo stesso campo, abbiamo proprio dovuto seguire la sua nuovissima stella per metterci piede. Siamo a Venezia sul limitar di settembre, l'aria è proprio quella, con un sole che si addolcisce; una vacanza africana che ancora resta nelle nostre teste piene di leoni, erba d'oro e acacie dalla testa piatta richede lentezza e spazio per i pensieri; la seduzione della casa ci porta a starci la più parte del tempo, ma la scarsa spesa e la voglia di due passi ci portano nei pressi del Ridotto, entriamo, e - lieta sorpresa (stelle o no, stiamo sempre in campana) - incontriamo una cucina ottima.


 
La scelta è stata per il piccolo menu offerto a pranzo, un tris di cicchetti buonissimi e ben arpeggiati tra loro (capasanta polputa in crema di zucca con lamina di patata viola, gamberetti con crema di mandorle e di cavolfiore, nocciola di baccalà mantecato rotolata su pistacchi tritati in crema di peperone)  seguiti da un piatto di pesce (volendo si poteva scegliere uno di carne) ovvero un branzino cotto semplicemente - si fa per dire - e divinamente, con la pelle croccante e un po' di verdure intorno a dare colore. Ho aggiunto una bavarese di pistacchi con gelatina di mandarino, buona anch'essa, mentre Il Nunche beveva una grappa di Bassano molto ben profumata (ho profondamente annusato e preso un microscopico sorso); tre calici di Sauvignon Sirch. Come amuse bouche, una ciotolina di olio d'oliva verde siciliano, di Pachino, in cui fare santa scarpetta con buon pane (il mio piatto preferito in assoluto, pane olio e sale, qui il sale non c'era ma la sapidità dell'olio non lo richiedeva).





Un'idea dell'ambiente: tavoli anche sul trafficato campo, che abbiamo evitato come sempre evitiamo gli esterni non paradisiaci; dentro una linearità tendenzialmente elegante che andrebbe ancora più perseguita per raggiungere una più compiuta serenità dell'occhio e dell'animo (per esempio, cambiare i cestini del pane con il centrino all'uncinetto sul fondo, mentre facevo scarpetta li guardavo e pensavo che non c'entravano, ciò turba; oppure: c'è uno spaesato ricamo indiano alla parete...); il personale è gentile - io ero prevenuta e lo consideravo con attenzione.

Ma le mie fisime sui centrini sono inezie se crediamo a quanto dice il Gazzettino: tra patron Gianni Bonaccorsi e chef Ivano Mestriner - che è lì da primavera - c'è tempesta, poiché il primo non valorizza il secondo, ad avviso di questi, come deve - speriamo bene, ci dispiacerebbe perdere questa cucina non appena ci abbiamo messo su i denti e non sappiamo se la ritroveremmo a condizioni mutate.


Ora due parole, le prime sui piccoli menu prandiali: sono quelli che attualmente preferisco: la pace del giorno, la tranquillità del locale, la luce, la portata ridotta che non spaventa; altre due sull'odio per Aciugheta: è motivato ma non così fervido da aver prodotto la voglia di scrivere del percome e perché (è anche episodio di vecchia data); forse solo il nuovo amore, magari consolidato da prossime visite che abbiamo certo voglia di fare se il litigio non degenera in fughe dello chef, mi porterà a spendermi in futuro racconto.

Venezia. L'annunciazione sulla facciata di Madonna dell'Orto.



Madonna dell'Orto. Sulla facciata, un'Annunciazione. Lei è carinamente regolare e composta. Lui ha delle allarmati deformazioni feline: conturba. Dicono che lei sia di Niccolò di Giovanni Fiorentino, il medesimo che ha scolpito il San Cristoforo che campeggia sulla facciata, lui di un Antonio Rizzo in fase giovanile.






Antonio Rizzo

Antonio Rizzo


sabato 30 agosto 2014

Venezia. Chiesa di Madonna dell’Orto; il San Cristoforo della facciata.






Mi decido per la prima volta a guardare un po’ meglio il mio vicino, il San Cristoforo che sta sulla facciata della Chiesa di Madonna dell’Orto. Intanto, mi basta un po’ di ricerca e capisco perché è lì: era uno dei Santi più seguiti del Medioevo, spesso stava in luoghi dove lo si potesse vedere bene, come la porta delle chiese; inoltre il più delle volte veniva fatto grandissimo, perché anche da lontano potesse essere scorto: una sola occhiata al Santo proteggeva per tutto il giorno da percoli connessi al viaggio, ma anche da disgrazie più generali. 


E’ un Santo orientale, e lì spesso veniva rappresentato con testa di cane, allarmante iconografia, che ricordava Anubis; anche la Leggenda Aurea lo dice gigante cinocefalo; l’occidente edulcorando lo disse di Cananea; del resto l’occidente medesimo aveva da dire la sua quanto a radici precristiane: Ercole che porta sulle spalle Eros si prestava bene a ispirare il nuovo Santo. 


Queste complesse associazioni penso gli abbiano fatto correre un pericolo di damnatio, come al disgraziato San Giorgio; se ne vede traccia nel modo in cui se ne parla in fonti cattoliche: lo diamo per buono, o no? Pare però che per ora sia salvo: vengono citate chiese a lui dedicate in fonti molto antiche, e questo viene fatto equivalere alla prova che sia un uomo “storico”, forse un licio, martirizzato (ahimè, condizione che sembra necessaria) per la sua fede. 


Protettore, dicevo, dei viaggiatori; ma anche dei facchini e dei portalettere. La Leggenda Aurea lo dice gigante che voleva porsi al servizio del più forte, e che in questa ricerca dopo aver servito un re e il diavolo, constatato che entrambi avevano paura di qualcuno, il re del diavolo e quest’ultimo di Cristo, andò a cercare Cristo; trovò per l’intanto un santo eremita che gli consigliò di mettersi al servizio del prossimo traghettando persone che volessero attraversare un periglioso fiume: così avrebbe trovato chi cercava; si mise al lavoro di buzzo buono, e un giorno traghettò un ragazzetto pesantissimo che per poco non lo affogò; certo, gli disse poi il delinquentello: con me portavi il peso del mondo! Aggiungendo: pianta il tuo bastone a terra e vedi che fa domani mattina; il giorno dopo il bastone era fiorito e pieno di frutti (di, qui, San Cristoforo protettore – anche – dei fruttivendoli). 


Tutto questo basterebbe per averlo in simpatia; aggiungo che l’ho sempre amato per aver dato occasione a dipinti bellissimi, specie di fiamminghi, dove se ne sta in immensi paesaggi azzurri, in forre al tempo stesso perigliose e serene, spesso con le gambe nel fresco fiume, a portar bimbetti.
Questo San Cristoforo è un giovane dal grande cranio pieno di capelli, con una tonacuzza che svirgola in una piega fiammeggiante; il bimbo ha l’aria distratta, e quella che sembra una bella palla da gioco è in effetti il mondo di cui si incarica. Curiosità: sembra proprio che il mantello del Santo sia fissato da un cammeo con profilo: il donatore?


Scolpito da Niccolò di Giovanni Fiorentino.

 

Linsensuppa mit raucheraal ovvero Intingolo di lenticchie con anguilla affumicata


Da Isolina

L'amico Klaus arriva da Berlino con bella anguilla affumicata e ci ammannisce un piatto delle sue parti. Solo in un'estate-non-estate come questa si poteva farlo, ma davvero squisito.

Si procede con un soffritto di sedano, gambi di prezzemolo (in sostituzione delle radici di prezzemolo della ricetta), cipolla, scalogno, pancetta affumicata, poco olio d'oliva.

Si aggiungono le lenticchie, quindi l'acqua, due foglie di alloro e appena prende il bollore si mette in pentola anche la pelle e la spina dorsale dell'animale.

A fine cottura delle lenticchie, che avranno assorbito quasi tutta l'acqua, si toglie pelle e spina dorsale e si aggiunge un mezzo bicchierino di aceto di vino e un trito di dragoncello.

Prima di servire, in modo da intiepidirli appena, si mettono nelle lenticchie i filetti di anguilla.

Alcuni filetti sono stati golosamente consumati con il tradizionale pane di segale (pupernickel) e burro salato. Devo dire che a me piacciono di più con un buon pane di grano, tostato.


venerdì 29 agosto 2014

Nonnulla di ricotta in bella vista


Di Isolina

Quando la ricotta è buona e i pomodori così attraenti…Una cosa, come si vede, con i baffi. L'estate finalmente arrivata, in tavola.

La ricotta, di pecora, l'ho frullata con poco olio d'oliva, qualche foglia di maggiorana, pochissimo sale.

Ho aggiunto pistacchi tritati a coltello e ho ben mescolato di nuovo.

Tutto qui.

Il pomodoro ananas, ma potrebbe essere un qualsiasi altro pomodoro bello, è stato tagliato a fettone, cosparso leggerissimamente di fleur de sel, decorato con qualche goccia di crema di aceto balsamico.




giovedì 28 agosto 2014

Venezia ninfea




La luce di Venezia e quella dei traghetti! Certo, si somigliano. Venezia ninfea.

(Amor di traghetto, nostalgia di traghetto, tutte le luci del nord, gli infiniti traghetti del nord; ritrovare a Venezia). 

Vino Vero, un bacaro nuovo su fondamenta della Misericordia.


 
A marzo ha aperto Vino Vero, un nuovo piccolo bacaro su fondamenta tra le più attraenti della città oltre che assai prossime, quelle della Misericordia; per fare due passi la sera e prendere un'ombra e un cicchetto all'aperto. 

Due calici di Franciacorta buono lo hanno testato - ci sono anche vini da asporto non eccezionali, dice Nunchesto, ma che è bene avere sotto casa - io ho chiesto un cicchetto e senza commenti me ne hanno portato un altro - sembra gestito da soci burberi (i due che erano lì, pare siano quattro) ma si spera benefici - cicchetto però forse migliore di quello che avevo chiesto (gorgonzola e miele): pane ottimo, avocado giustamente maturo, pomodoro secco morbido, aceto balsamico. 

Piccolo, due tavolini dentro, una panca fuori, pare che alla sera mettano tappeti in fondamenta. Prosit.
 



Di fronte c'è l'alta parete muta della chiesa di San Marziale, che ha un pozzo bellissimo nell'adiacente campo del Piovan (i parroci, custodi di pozzi, si chiamavano piovan: da "pieve" a sua volta da "plebs" popolo; pievano o piovano, prete responsabile della chiesa).




San Marziale  dalle tre campane.


 
Il Gazzettino ne segnala la mascita insieme a una paio di botteghe interessanti: Fondamenta della Misericordia, si punta anche sui residenti.

Ne conosce l'esistenza anche Venice Empire

Cannaregio 2497, 30121.
041 275 0044


mercoledì 27 agosto 2014

Venezia. La dinastia dei ragni.






C 'è un ragno, una stirpe, una dinastia di piccoli ragni che da vent'anni lavora entro un certo gradino tra pianerottolo e camera da letto, tutto di confortevole legno biondo. Dopo una primo coscenzioso, inutile spazzare, si è insinuato un "ma perché?" e si è concordata una convivenza. Alla fine, loro abitano la casa costantemente, fedelmente. Ciò comporta un'estensione della proprietà aracnidea. La bella tela non è più circoscritta in un angolo, ma si allarga in festoni per tutto il gradino, e lucenti avamposti ne ornano un altro. Poi vedo che i piccoli cactus che pure sopravvivono, come i ragni, alle nostre assenze cominiciano a inghirlandarsi. Quest'altra vita si allea, e forse prevarrà.

Fondi di carciofo e capesante


Le capesante, come le chiamano a Venezia, o coquilles Saint-Jacques, come dicono i francesi, appartengono alla grande famiglia dei pectinidae, 300 specie. In Francia si divorano quantità enormi di pettini – i siti francesi ne discettano appassionatamente – e una ventina di specie si trovano nella Manica. Bisogna distinguere tra le conchiglie a due valve convesse, le pétoncles, e le coquilles Saint-Jacques vere e proprie, più grandi delle prime e dalle valve disuguali, ovvero il Pecten maximus, presente soprattutto nella Manica e nell’Atlantico, e il Pecten jacobaeus, presente nel Mediterraneo.  A Venezia i fratellini minori delle capesante, le locali pétoncles, sono i Chlamys opercularis, o canestrelli.

Con disdetta dei francesi, affezionati alle vere Saint-Jacques, che preparano in un’infinità di modi, un’autorizzazione della Commissione europea ha permesso di chiamare "noix Saint-Jacques " anche altri pettini, provenienti da tutto il mondo, che spesso si trovano sul mercato tra i prodotti congelati.

Solo il pesce vivo con le sue valve disuguali, una convessa e chiara, su cui si appoggia al fondo, l’altra piatta e più scura, garantirà che si mangeranno buone e vere capesante o Saint-Jacques che dir si voglia. La noce è il suo muscolo, il corallo i suoi organi genitali; la conchiglia è ermafrodita: la parte bianca del corallo è maschile, la rossa femminile.  La frangia che circonda noce e corallo, ovvero il mantello, spesso si butta, ma tolta la parte scura, l'intestino, va recuperata dopo averla accuratamente pulita da scorie e sabbie: è saporitissima e adatta a partecipare a brodetti o sughetti.  Bellissima la conchiglia, adottata da San Giacomo, come da Venere: simbolo di fecondità, nascita, rinascita.
 
Di Artemisia

Condivido pienamente la passione veneziana per i fondi di carciofo. Li amo abbrustoliti in padella con un filo d'olio d'oliva, fino a che non sono ben dorati da entrambi i lati; fuoco medio, coperti, e a un certo punto girati.

Ho pensato che sarebbero stati perfetti compagni delle cape sante, altro frequente incontro al mercato di Rialto. Per ciò, finita la cottura dei carciofi, ho scottato delle cape sante nella medesima padella appena abbandonata da loro, a fuoco basso, rapidamente: scottata da un lato, subito da un altro, e stop cottura.

Ho messo le cape sopra i fondi, e quindi fleur de sel.

Ci sono molto piaciuti.



martedì 26 agosto 2014

Venezia. La civetta.









La nostra civetta, che sentiamo sempre, da vent'anni (lei, le nonne, le zie) e vediamo così raramente, mentre eravamo in altana è venuta a far chiasso e si è messa controluce, sul tetto (puntino a sinistra del camino, verso l'orlo).

Intanto il cielo si profondeva in nubi.
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