giovedì 31 marzo 2011

ROMA. GARBATELLA. IL RISTORO DEGLI ANGELI



Quartiere popolare e insieme dotato di un certo pedigree, la Garbatella. Subito dopo la prima guerra mondiale, a Roma si costruì e fu epoca di fantasie urbanistiche non tutte volte a rapina e disfacimento di territorio, ma con idee di città che per quanto forse bislacche (o forse sagge, chissà) comunque erano idee volte a promuovere civile convivenza, ubbìa che poi passò rapidamente di mente ai governanti della città. Insomma, si pensò di fare un canale parallelo al Tevere e navigabile da Ostia fino alla zona sud della città, per costuire nuovi porti a risarcimento dei disgraziatamente disfatti (non fosse perchè assai belli, come pare fosse Ripetta).

Dalle parti della basilica di San Paolo Fuori le Mura, dove erano vigne e orti e strade di pellegrini, all'uopo si iniziò a costruire un quartiere che per ciò adottò per le strade nomi marini. Si fecero case che si vollero accoglienti benché popolari, e ancora una volta questa utopia costruì un bel contesto di villette fantasiose con orti e decori che se rinunciarono ai marmi cavarono bellezze dagli stucchi, e di spazi comuni e soste e botteghe; case e luoghi di cui molto ancora rimane anche se l'avvento fascista mutò il progetto in qualcosa di meno serafico e di più costipato e se pure lì arrivarono i predatori degli anni settanta del secolo scorso, i palizzinari malefici, ma senza distruggere tutto.

Oggi Garbatella è vivo e vegeto grazie a quella passata intelligenza, e prediletto da molti. Nel centro del quartiere, accanto a un teatro centro culturale che ho visto animato e illuminato e pieno di gente, c'è Il ristoro degli angeli.

Abbiamo scelto la focaccina con lardo di cinta senese bio, gli spaghetti cacio e pepe in cialda di parmigiano croccante (li ho scelti io; non del tutto per la quale rispetto a ricordi di ottimi cacio e pepe, ma sapidi, lasciamo stare di storcere il naso per la cialda, non mi ricordo neppure che cosa ne ho fatto) , la tagliata di manzo ai ferri con salsa al vino rosso o sale grosso dell'Himalaya, il pecorino della Sabina alla piastra con miele siciliano di fiori d'arancio (quest'ultimo da rifare: molliccio il formaggio e stucchevole l'accostamento al miele; è capitato a me).

Locale pieno, e di gente e di oggetti, un po' tipo robivecchi possessivo che non vuole mollare nulla di quanto sta accumulando; io come mi càpita ho passato un po' di tempo a togliere papere di ceramica e vasetti ecc. mentre rifacevo da capo anche la ricetta del pecorino. E' un mio vizio.

mercoledì 30 marzo 2011

COPENHAGEN. GERANIUM2 seconda puntata


La prima puntata, qui.
Curiosi, non ci priviamo dei formaggi. La Danimarca sta sperimentando anche con quelli e nel 2010 un brie di pecora danese ha vinto un concorso a Roma in una gara tra 56 paesi. Strano a dirsi non è qui che assaggio il formaggio per me più buono, ma in una ristorante ben più popolare. Sarà un verde fondente di squisita bontà. Come si vede dalle foto, la scuola è la Francia. C'è una piccola composta di frutta, dei pani ricchi di semi.








Segue uno schiumoso succo di mele bio che io osservo come la volpe fece con il cibo che gli offrì la gru, infilando esterrefatta il naso nel vaso cercando di occhieggiarne il fondo e di capire di cosa si trattasse. Fantasie? Uova di fata, bava di elfo. Nel rigore danese si insinua qua e là la sorpresa manierista e barocca. Del resto, niente di strano, se si pensa alle wunderkammer di cui restano tracce a Rosenborg Slot.


Birra di sambuco, fiori di sambuco, erbe al gusto di liquirizia. Le scaglie caramellate fanno pensare di mangiare la bottiglia. La wunderkammer è ancora qui.


Dolce con acetosella e stellina odorosa (o gallium odoratum o asperula). Quella che sembra brina verde è una brina verde gelata e dolce. Cosa fossero quei rametti non so. Certo li ho mangiati, e si trattava di un dolce estremamente buono.



Fino a quella sera non avevo avuto la piu' vaga idea di cosa mangiassero elfi e fate, e avrei azzardato qualcosa di vago tipo "nettare e petali di fiori" ma dopo essere stata in questo ristorante fautore come altri, certo da provare, della nuova cucina nordica tutta muschi e acque di fiordo, posso dire che lo so perfettamente, e che anche un umano può apprezzarla assai.

Aggiungo che il timore di uscire presi dai morsi della fame dopo essersi nutriti di miniature vegetali è stato fugato: la fame era sparita. Quanto alla noia, spero che l'immaginazione vi abbia già detto che non ce n'è stata alcuna. Nunchesto notava come i sapori squillassero.

Copenhagen ha numerosi ristoranti a rappresentare il nuovo movimento gastronomico tutto nordico fondato sull'uso e la valorizzazione delle loro ottime materie prime, a scavar nei prati e nei mari e sulle rocce, più numerose di quanto non si possa supporre; certo d'inverno il virtuosismo si accentua. Geranium era uno dei pochi ristò con giovani cuochi innovativi di Copenhagen a cucinare e non a sciare dopo le fatiche del Natale; il famoso Noma, tra gli altri, era chiuso.

Geranium2

Geranium2 ha riaperto nel 2010; se siete curiosi di vedere la faccia del cuoco, Rasmus Kofoed, guardate qui; ha vinto il Bocuse d'Or 2011, miglior cuoco del mondo. Se siete curiosi di valutare la posizione dei cuochi del nord nella classifica, guadate un po' i primi tre: Bocuse d’Or : Rasmus KOFOED, representing Denmark - Bocuse d’Argent : Tommy MYLLYMÄKI, representing Sweden - Bocuse de Bronze : Gunnar HVARNES, representing Norway. Da qui.

Sul sito visitcopenhagen vi aggiornerete se già non lo sapete su tutte le stelle Michelin della capitale e su Geranium2.

COPENHAGEN. GERANIUM2 prima puntata


Quando siamo stati nella nevosa Copenhagen subito dopo Natale, abbiamo cercato un ristorante che rappresentasse la nuova cucina del Nord, quella dei giovani cuochi riuniti a testimoniare l'alta qualità e specificità dei loro prodotti e della loro cultura, dei loro pesci guizzanti in acque gelide, dei loro muschi e dei loro tuberi. Siamo per ciò arrivati da Geranium, al limitare di un parco innevato, salendo fin nel cuore della notte in cima a un palazzo aderente allo stadio, dopo una ricerca che stava per farci smarrire entro silenti quartieri e bianche fratte.

Entro un molto elegante refettorio bianco e grigio ci accolgono dei camerieri vestiti da frati, che officeranno con cortesia il rito del porgerci in sequenza piattini fioriti ed erbosi, zolle di bosco che man mano che arrivano sul tavolo vengono inondate da cucchiaiate di creme tipedide, da succhi caldi versati da bricchi amorevolmente portati da queste schiere di Ebe. Abbiamo scelto il Green Menu, tutto vegetale.


Mentre ancora siamo in attesa del tavolo due piccole palline lucenti di un vivo arancione, fragili come vetro soffiato, ci vengono porte su un levigato sasso bianco; aprendole (non posso ingoiare senza guardare: faccio come Pandora, come Psiche che non potè resistere ad aprire la scatola che riportava dagli Inferi per ordine di Venere) si rivela una goccia di crema arancione e un dischetto innocente e puro di carota. Intanto vado chiedendomi quale gioco infantile mi richiamino insistentemente alla mente, senza che riesca a riacchiapparne il ricordo. Infilate in bocca, risuonano di consistenze vritree che minacciano di lacerarti dissolvendosi subito, di molli rassicurazioni vellutate e dell'umido croccante della carota, mentre l'arancione, che aveva squillato così alto tra tutti quei bianchi e grigi, non si dimentica e partecipa al gusto.

Arrivano poi due bastoncini rosso rubino scavati in una rapa, cesellati da Fabergé e che avrei volentieri appeso alle orecchie, adorni di foglioline rosse e dischetti sia della loro stessa polpa che di incognito bianco, con un esplosivo e liscio sapore di rapa.

Terzo amuse bouche, un rametto sottile come un'ostia croccante, una sorta di spettro di grissino, cosparso di semi aromatici e accompagnato da una soffice goccia di crema bianca di cui mi pare di ricordare un che di agliato - incoronata di foglioline così piccine che certo sono state raccolte dalle formiche o dai maggolini - poggiata su un sasso di ceramica.

Già mi diverto assai e guardo intorno i candori e i rigori dell'arredo totalmente Copenhagen, di lusso ascetico; siamo all'ultimo piano, l'ottavo, del molto alto edificio che dà su un parco innevato. Tra noi e il vasto buio interrotto dalla vivida luce di un bianco campo lontano su cui giocano piccolissimi giocatori di (suppongo) hockey, una grande vetrata e un fuoco che arde dentro una vetrina, una sorta di fiammeggiante pesce in acquario che rallegra chi aspetta di andare a tavola mentre spilluzzica gioielli di verdura.

Il tavolo è un'isola candida con un minimo arredo.

Di sguincio vediamo la grande vetrata luminosa che divide la sala dalla cucina, apparentemente tutta a vista, candida e pura come la cucina dei beati in Paradiso.


Grandi cuoconi bianchi e plissettati sono al lavoro in atteggiamento di orafo o orologiaio, chini sui piatti a disseminar minuzie senza che un fumo, una fiamma, un grido, un gestaccio, un risuonar di padelle, un dito leccato, una macchia turbino la loro concentrazione marzialmente angelica. Ciò - lo confesso - mi ha fatto supporre una retrocucina, un retroscena dove il sangue scorresse e il fuoco ardesse, nascosto alla vista; ma non posso dire di averne avuta prova alcuna.

Nel primo piatto che ci portano si riuniscono a suonare la gamma del verde tenero il cetriolo, il latte di pecora, l'aneto, il rafano. Sappiate che due su tre il piatto che fotografo era di verdure a temperatura naturale, mentre la scodella era calda. E che poi si avvicinava felpato un frate munito di pentolino con beccuccio, o di vasetto e cucchiaio che versava sul piccolo paesaggio che avevate nel piatto una crema o un liquido che arpeggiavano tutti i tipi di caldo.


Fiori di porro in conserva, cavolo, erbe.

Sedano, sedano rapa, mele, segale.

Cereali in due modi. L'unico pane che ci sia stato portato, sotto forma di consistenti mattonelline calde. Insieme con un burro divino, spumoso, leggermente montato.


I mattoncini e il burro accompagnavano un piatto di topinambur, verbena, porro.



Funghi conservati, funghi selvatici, castagne.

Patate arrosto e germogli di piselli.


Questo è l'unico piatto che non era nel menu. L'unico caldo, e l'unico senza forte personalità e sapori. Forse in prova. Misterioso negli ingredienti.


La cena non finisce qui, ma il post sì. per non farla troppo lunga, ho diviso in due la visita a Geranium.

Una piccola nota introduttiva su Geranium2 da qui.
The celebrated Rasmus Kofoed was voted the best chef in the world in 2011 by Bocuse D'Or, from the Michelin starred Geranium (2007-09), re-opened in 2010 as Geranium2, featuring their own style of organic gastronomy. Rasmus Kofoed won gold in the 2010 Bocuse D'Or Europe - EM for chefs. He is one of Denmark's top chefs, having won bronze Bocuse D'Or in 2005, silver in 2007 and gold in 2011. His cuisine is both organic and biodynamic and the restaurant will be situated in the district of Østerbro with an incredible view of the park from the eighth floor. Geranium2 received a Michelin rising star in 2011.

Marzo. La cena della bourride


Papavero
slitta palleggia
la testa palloncino
schizza e ritorna

 
Marzo 2011. La cena della bourride. Il menu è stato un travaglio: la testa divagante disfava con una mano la matassa che andava raccogliendo con l'altra. Guardava i piatti, immaginati o perfino avviati svagatamente, senza raccogliere i suggerimenti che l'intuito suggeriva, affranto da tanto scapamento. Era una testa palloncino che andava soavemente sbatacchiando agli angoli del soffitto, sui vetri delle finestre. Solo dopo alquanto penare è tornata a planare sulle spalle e a dare indicazioni quasi sensate al resto del corpo, in afflitta attesa che finisse quel confuso svolìo. Ciò è accaduto quando un certo merluzzo in attesa d'altro destino è stato trasformato in bourride dall'immaginazione finalmente tornata al lavoro. Alice paziente mi guardava pensosa, accompagnando. Questo per dire che il menu è tutto. Pensare il menu è il vero lavoro del cuoco, il resto viene da sè.

Così le mani hanno schiacciato l'aglio, aggiunto i rossi d'uovo e montato l'aioli con l'olio a filo, e gli occhi l'hanno visto ricomporsi, gonfiare, crescere, staccarsi dalle pareti della tazza bianca. Il naso ha annusato l'aglio e pregustato il profumo di quell' arancio i cui nastri dorati sono presto caduti a falde sulle luminose rotelle del porro, frescamente biancoverdine.

E' per questo che la cena è dedicata a lei, la bourride, la zuppa di pesce della Provenza. Non che l'immaginazione fosse poi tornata veramente a rigar dritto, ammesso che lo faccia mai. D'un balzo dalla Francia del sud è andata in Medio oriente, mentre le correvo dietro dicendole che sarebbe stato meglio dare uno stile alla cena, e le chiedevo cosa diamine pensasse di fare. Quando mi ha detto che di là non si sarebbe spostata, l'ho lasciata fare e ho avviato il pollo con la promessa che anche qui ci sarebbero stati tantissimi profumi, e che quelli avrebbero fatto da filo d'Arianna. Menu ( gli ospiti non sanno i rischi che hanno corso): Crostata con brisée alle nocciole, pepe verde e grano saraceno, faricia di camembert e nocciole; accompagnata da una piccola ciotola che doveva portare freschezza umida di Insalata di noci, arancia, fave, pecorino romano, all'aceto di miele; condita con una vinaigrette all'aceto di miele (che pare sia il più antico del mondo, usato dai faraoni). Bourride con la sua congiunzione - soave, sappiatelo - di aglio e arancia accompagnata dai piccanti Crostini su cui il giallo aioli diavoleggia, senza lo stemperarsi che invece ha subito nella zuppa diluendosi nel brodo di pesce e unendosi con l'arancia. Vogliamo dirlo? Due ospiti non hanno osato ficcarseli in bocca. Tajine di pollo alle cipolle caramellate con fichi, miele, zafferano. Poi il budino medio orientale, la Balouza di latte di mandorle, manna, pistacchi, acqua di fiori d'arancio, e Cioccolatini al peperoncino portati dagli ospiti. Dagli ospiti è arrivato un Mumm bevuto in esordio, poi ci sono stati un bianco, il Pinot Gris Majer 2006 e un Barbaresco Borghese 2006.

Crostata con brisée alle nocciole, pepe verde e grano saraceno, farcia di camembert di capra e ancora nocciole

Insalata di noci, arancia, fave, pecorino romano, vinaigrette all'aceto di miele

Bourride con crostini di aioli

Tajine di pollo alle cipolle caramellate con fichi, miele, zafferano

Balouza di latte di mandorle, manna, pistacchi, acqua di fiori d'arancio.

Cioccolatini al peperoncino


 














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