Mentuccia racconta come l'esperta cuoca Celeste, moglie di farmacista che voleva tavola ammannita - si ricordano gli opportunamente celesti, vagamente afflitti occhi di Celeste, cerulea, bionda, con aure di bontà, e le rotondità lucenti e soddisfatte di lui, che ai bimbi sembrava troppo sorridente, specie avendo visto cosa consevava sotto spirito in certi barattoli di vetro, "scientifici", in famacia - consegnò note di cucina all'amica Aida, recente moglie di notaio. Aida, sprovvista di saperi culinari, se ne andava - 1935 - in quella che viveva come sperduta campagna, ma comunque con l'incerto progetto di divenire padrona di casa (a Mentuccia disse che portò con sè anche le cannucce graduate per le bolle di sapone e le papere di celluloide per il bagno, e notare che era venticinquenne, una zitella).
Della ricetta seguono traduzioni di Artemisia, che l'ha provata con soddisfazione con mezzi moderni; ma viene riportata anche con le parole di Celeste. Artemisia traduce come fuoco lentissimo e bassissimo un
fuoco di due soli carboni; all'epoca le cucine perfette erano attrezzate
con lunghi banchi di muratura rivestiti di lucenti piastrelle bianche,
in cui si aprivano a distanza regolare delle fornacelle, che sotto avevano il
vano per infilar legna o carbone, chiuso da uno sportellino dove
un'apertura regolabile permetteva di aggiustare il tiraggio, e sopra si
aprivano con bocche di fuoco di cui potevi regolare l'ampiezza attraverso mobili cerchi concentrici di ferro. I banchi ospitavano, rinserrandolo in
sè, anche
il calderone di rame, dove avere sempre acqua calda. In alcuni casi, come nella cucina di Gigina, la madre di Aida,
il banco poteva pure includere, trasformato dalla veste bianca e luccicante di piastrelle,
dalla posizione alta, il camino. Il disegno
rievoca una delle due cucine della casa di campagna dove andò Aida da
sposa, quella della cognata, la zia Bianca, che abitava una metà della
grande casa; era la cucina più antica, almeno ottocentesca, con una porta
finestra che dava su un giardino-terrazza interno; oltre a un grande
camino, c'era un lungo bancone di fornacelle, moderno all'inzio del
Novecento, poi haimé demolito perchè ritenuto obsoleto. Lo ricordo in funzione, prima della distruzione, una sera di Natale
molto remota, in cui ero molto bambina; si fecero pizze fritte,
quale con l'acciuga, quale con una cima di cavolfiore all'interno. Che
gioia, che festa; perché gli adulti - quelli che posseggono cucine - non
apprendono, tutti, quanto sia importante fare festa - ma farla bene,
con grazia e competenza, con sorpresa e divertimento, senza sacrifici di
donne pellicano - ogni volta che si può?
Fettine ai due carboni. Di Celeste, anni Trenta del Novecento
La ricetta di Celeste alla lettera
Si
prende la carne di filetto o di girello e si taglia a fettine molto
sottili. Si mette in un recipiente piuttosto alto del burro e vi si
accomodano le fettine di carne una sull'altra, cospargendole di giusto
sale una per una. Si copre bene la casseruola, mettendo tra essa e il
coperchio un foglio di carta e mettendo sul coperchio qualche peso. Si
mette a cuocere a lentissimo fuoco (un paio di carboni) e si fa andare
per due ore voltando qualche volta tutto il gruppo delle fettine unite
sotto-sopra. Quando è ora di servire si mette nella casseruola una
miscela formata da due dita di vino allungato con acqua, un cucchiaino
di farina e prezzemolo tritato. Si sciolgono le fette di carne una
dall'altra e si pone la casseruola su fuoco molto forte. Si fa rosolare
la carne, indi si toglie dal fuoco e si serve subito.
Versione 1 di Artemisia
L'ho trovato un piatto ottimo. Servito con un giro di broccoletti siciliani lessati al dente intorno. Viva Celeste.
Ungere il fondo di una pentola di ghisa o di coccio con del burro, abbondare, lasciarne anche qualche fiocchetto. La pentola deve permettere la sovrapposizione ripetuta di fettine di carne: diametro contenuto e bordi alti (ho usato un pentolino di coccio alto
di 14cm di diametro, riempito per due terzi; per
chiuderlo ho usato carta d'argento stretta da un elastico e ci ho
rovesciato su una pentola d'acciaio a misura che lo incoperchiava
quasi fino alla base: è la pentola dietro a
quella di coccio delle foto).
Mettervi delle fettine sottilissime e battute di carne tenera (filetto o girello; ho usato filetto di maiale; con 500g di filetto di maiale, quattro persone modiche. Per tagliare sottilmente la carne, un pezzo intero, l'ho fatta un po' congelare) sovrapposte, cosparse di sale ed erbette (secche o fresche secondo stagione) una dopo l'altra (ho aggiunto alle erbette un cucchiaino di glutammato).
Mettervi su un coperchio ben aderente, pesante; fuoco lentissimo e bassissimo - da un'ora a due a seconda del tipo di carne e della quantità - voltandole poche volte, senza separarle (è bastata una cottura di poco più
di un'ora; per avere un fuoco minimo ho sovrapposto due spargifiamma).
Quando è ora di servire, toglierle dalla pentola e scioglierle (le fettine si compattano ed è facile voltarle; anzi, tanto si
compattano, che risulta più ostico pensare di "scioglierle" in fine,
tanto che io le ho servite come un tortino; ma penso che qui sarà
diverso di volta in volta a seconda del tipo di carne).
Mettere nella pentola due dita di vino, un cucchiaino di maizena sciolto in due dita di acqua, del prezzemolo tritato. Rimettere la carne nella pentola e far andare a fuoco alto rosolando.
Servire subito con un giro di pepe nero appena macinato.
Alla fine non avevo molto sugo e poi volevo mangiarle il giorno dopo,
quindi anche il poco che c'era, raffreddandosi si è asciugato; al
momento opportuno, ho scaldato il tutto nel Mo e per condire ho sciolto
un po' di burro, a cui ho aggiunto prezzemolo e pepe nero macinato fresco e l'ho rovesciato sul tortino.
Versione 2 di Artemisia
Vista la riuscita, ho cotto circa 800g di fettine di filetto di maiale per un piccolo pranzo per otto.
Questa volta la cottura, affidata a Teo che è abituato alla cucina
cinese e non riesce a credere alla cottura a fuoco basso anzi
bassissimo, è stata alquanto vivace - dopo soli 40' erano cotte, e
c'erano due dita di sugo che la prima volta mancavano; l'ho "bagnato"
con un sorso di sakè - visto che oramai eravamo in Oriente - l'ho fatto addensare con poca maizena, ho aggiunto prezzemolo triturato abbondante.
Quindi ho fatto un'operazione che ripeterei: siccome le fette erano
compatte come la prima volta, le ho affettate. Questo le ha sciolte; non
le ho fatte rosolare nel sugo come dice Celeste, ma le ho servite così,
con sopra la salsa, circondate di broccolo romano; comunque buone.
Nel menu di Novembre 2015. Il pranzo dei seminaristi soddisfatti
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