Floris van Dyck, also called Floris van Dijck or Floris Claesz. van Dyck (c.1575 - before 26 April 1651) (da wikipedia)
Settembre 2002. Buffet Still life, ovvero natura Morta Olandese. Suona male, la parola buffet. Gomitate, macchie, rinunce. Ma ogni tanto si torna alle sue promesse: il dolce e il salato si affiancano, ci si abbuffa, si pilucca, si cambia commensale. Soprattutto, è possibile un’architettura del cibo orizzontale e sincronica, non verticale e diacronica. Si scoprono buoni motivi per questa presentazione del cibo, soprattutto se non si è moltitudine che lo impone; siamo stati nove. Tante cose diverse. Come metterle insieme? Oltre all'alternanza di molle e duro, caldo e freddo, dolce e salato, che altro? Soccorre la letteratura che dà all’umano agire qualche armonia. Ago, penna, pennello, mestolo, bocca, l’importante è raccontare.
Nunchesto ed io, molti anni fa, organizzammo un Buffetto – buffet piccolo, per pochi - orchestrandolo come Natura Morta Olandese. Quattro punti fermi: il décor, il pasticcio di carne in crosta con carne stracotta nel Chianti, il formaggio, la frutta (da sempre attratta da quelle still life, esploravo accanitamente la già grande ricchezza di immagini del web). Quindi pasticcio di carne in crosta; formaggi: mimolette, pecorino romano, camembert affinato nel Calvados; frutta: susine, uva fragola bianca, melone d'inverno; confettura di arance amare, marmellata di peperoncini piccanti, conserva agrodolce di pomodori e peperoni, mostarda di
pere; pani diversi: al farro, al mais, all’anice; caraway seed cake; coglioni di mulo; rughetta e pere spruzzate di pepe verde; minestra di fagioli; aringhe alla moda di Oslo; cioccolatini al peperoncino, lacrime d'amore. Mi accorgo che si ammannirono molte cose con poca cucina.
Adriaen van Utrecht (Anversa, 1599 – Anversa, 1653)
Tutta questa storia iniziò dal pasticcio di carne in crosta: Artemisia da giovane, dopo un’infanzia segnata dalla Spaventosa Fettina, in avvicinamento impaurito alla carne iniziò da quella debellata, triturata. La nascose in una scatola di pasta croccante, dopo averla stracotta, sbronzata, stordita di aromi. Che gioia ritrovare la stessa torta nelle nature morte olandesi, magnificamente nobilitata e squarciata, le molli trippe, odorose di lucenti fette di prezioso limone, rovesciate sullo spettatore sedotto e attonito. Delizia di ciò che, nascosto, dentro, viene conquistato da chi cerca, fuori. Ricordate la fiaba? Il bizzoso prence, la stizza accesa dalla capricciosa principessa, intende sbudellarla nottetempo; la furba, l’accorta, mette nel letto una pupa di marzapane, pan di spagna inzuppato nei rosolii e crosta di zucchero filato. L’assassino, chino sulla morta, lambendo tra i singhiozzi la profumata, l’ottima, geme altissimamente: “Oh sposa mia di zucchero e miele! Oh mogliettina di rosolio e cannella! Disgraziatissimo me, balordo, malnato, grullo, che feci!”. La rediviva salta fuori dall’armadio, e tutto ricomincia.
Decisa la torta, il pensiero corse ai formaggi. Bastava guardare gli still life: paste dure, scagliose, gialle, grandi stazze, scure stagionature. Furono scelti il francese mimolette dallo splendido arancio e con avi olandesi (il metodo di produzione è lo stesso da Edam a Lille, dove lo chiamano anche Vieux Hollande; nel XVII secolo Colbert proibisce di importare formaggi e i francesi si fecero l’ “olandese” da soli) e il pecorino romano padre di tutti i formaggi. Un terzo fu un camembert affinato nel Calvados, che, pur a pasta molle, offriva i vantaggi di presentarsi a forma intera e avere un bel colore bruno vellutato.
Per accompagnare, susine; non previste, ma richiamate dalla cucina dove se ne stavano nascoste da un esimio pittore presente, Guido Strazza, per la lucentezza viola offuscata dal velo di Salomè della satinatura opaca: renderla, virtuosismo di ogni degno artista olandese. Quindi uva fragola bianca, portata direttamente dalla campagna, dal profumo stordente. Infine melone d’inverno, dono di amici che oramai non vanno da nessuna parte senza saccocce ricolme di verdure e frutta che rovesciano in cucina, per poi mettersi solerti a sbucciare, lavare, spargere, chiedendo recipienti di misure sempre più immense per ammannire questi diluvi. C’era infatti una vasca di rughetta e pere spruzzate di pepe verde. E pomodori pachino, che all’epoca delle nature morte erano curiosità da orto botanico, ma quelli mandavano bagliori rossi e verdi che hanno permesso di portare in tavola un piccolo tino di ceramica azzurra e blu trovato anni fa ad Amsterdam.
Georg Flegel (1566-1638)
A fare la parte del dolce c’erano composte: confettura di arance, marmellata di peperoncini piccanti, conserva pom-pep (pomodori e peperoni) agrodolce e con lo zenzero, mostarda di pere.
Si consigliava di accompagnarle con i formaggi, ma potevano anche piovere da sole sulle fette di consistenti, scuri pani diversi: al farro, al mais, all’anice.
Insieme a questi, un caraway seed cake, un pane dolce al profumo di carvi che accompagna bene salati e salumi. Quindi coglioni di mulo, budello ripieno di carne di maiale magra macinata fine, con dentro una barretta di lardo che mantiene la carne magra fragrante. Alcuni lo mangiano dopo averlo immerso nel vino rosso per due giorni. E’ sia umbro che abruzzese, lì si chiama mortadella di Campotosto. Si pensa origini da famiglie contadine abruzzesi, fedeli agli insaccati di mulo, e si sia poi affermato anche verso Norcia. Ovoidali e legati a coppia, ricordano i testicoli del prezioso equino, e quella sera testimoniavano la nostra indole rustica, anche se ci si avvicinava alle tavole dei ricchi.
Che altro? Una minestra di fagioli – fagioli, odori, un pezzo di prosciutto, e quando tutto era cotto (è stata raffreddata, il prosciutto sminuzzato, sgrassata e di nuovo riscaldata, né messo altro grasso oltre a quello del prosciutto) un paio di larghe manciate di prezzemolo e cipollina fresca. Annibale Carracci si infilava tra i pittori del Nord.
Pieter Claesz (Berchem, 1598 – Haarlem, 1º gennaio 1661)
Poi aringhe, previste nelle nature morte, anche se non nella foggia in cui sono state presentate: con panna e mele, alla moda di Oslo.
ll filo conduttore non filologico procedeva infatti per libere associazioni e c'erano anche due ciotoline, una con lacrime d’amore, un’altra con cioccolatini al peperoncino, a ricordare i sentimenti e la loro importanza anche nel XVII secolo.
Quanto al décor, oltre al citato tino di ceramica celeste e blu, si disponeva di vari appropriati bicchieri, i romer con rilievi antiscivolo per mani incerte di bevitori sul punto di perdersi, di opportuni argenti con aria secentesca, e di altri ammennicoli chiamati a far figura, come un limone che srotolava la buccia a ricciolo, tal quale ai mille che così fanno sulle tavole ed entro i bicchieri dei quadri olandesi, e di un coltello in bilico sull'orlo del tavolo, altro pezzo forte delle still life in questione. C’era poi un ospite olandese, ma fu pura fortuna.
Quanto ai vini, arrivarono, pensando alle aringhe, un aromatico, secco Gewurztraminer Saint Valentin St. Michael di Eppan 2001 e pensando al pasticcio, un rosso San Fabiano Calcinaia, Chianti classico 1999, profumi fruttati in armonia con il Gewurztraminer, ma con sapori minerali nel retrogusto.
3 commenti:
Non mi capacito di tanta abbondanza. Sarebbe un buffet perfetto per il prossimo incontro del CircoloVizioso!
:)
!!! che racconto magica artemisia. Grazie! quel pasticcio di carne ha anche un aspetto molto britannico: qui infatti esiste anche repertorio di pie in cui interno, in crosta, rimane molto sugoso. generalmente la pasta ' fatta col suet/grasso di rognone.
ma che tu sappia esistono di questi piatti, scatole di pasta con ripieno, anche nella cucina francese? (intendo piatti che sono ancora fatti, non piatti storici)
io sono in procinto di allestire un nuovo timballo: vorrei fare una pasta come quella tua (simile alla mia), ma aumentando grasso... pensavo burro (e strutto)... ma vedo che tu hai usato olio e quasi quasi....
tu che sei pratica di questo cose: a tuo gusto, che ti ricordi, hai preferito pasta tipo brise', ad alto contenuto di burro, o questa a base di olio e vino bianco?
grazie
ciao, stefano
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