ROMA. MERCATO ESQUILINO.

In alcuni periodi dell’anno mi capita di lavorare proprio lì vicino, e arrivando non mi privo mai del piacere di attraversare il mercato Esquilino, ricco di rugosi e pelosi tuberi e ritorte e cornute verdure di cui non conosco né il nome né l’uso, di barattoli dalle incomprensibili scritte circonvolute e serpentine che attraversano come ordinati girini etichette dai colori coraggiosi, di pesci dalle scaglie d’oro che immaginavo solo nelle vasche di giardini regali, di sacchi di risi e sesami e lenticchie che moltiplicano all'infinito provenienze e tipi, di volti di tutte le gamme di vellutati bruni, di occhi dai neri più vari e luminosi.

Cammino lungo i banchi perdendo l’orientamento, cerco di riconoscere e continuo a perdermi, sosto nei luoghi che iniziano ad acquisire per me un’aria nota, allungo una mano verso oggetti ignoti che porterò a casa verso un incerto destino, torno a bussare a quegli universi che hanno qui un piccolo avamposto di oggetti, lingue, culture, occhi.

I muri del mercato.