giovedì 29 novembre 2007

Riso nero e riso selvaggio con bottarga, pecorino e melanzane


di Artemisia Comina
 
Riso nero Venere: è un riso integrale con il pericarpo nero. Va bollito per 40’ circa. Riso selvaggio: non è un riso; viene prodotto dalla Zizzania Sativa, graminacea spontanea delle paludi dell’America settentrionale. Gli indiani la conoscevano. Viene raccolto a mano, il che lo rende alquanto caro.
Metterli insieme è piacevole per sapore e forma, si introduce discontinuità nel tessuto del composto. Questa ricetta è parente stretta, con variazioni, del Riso nero e selvaggio con pecorino, bottarga e vongole. Ho imparato ad apprezzare questo attrezzuccio, il coppapasta cilindrico, per creare piccoli timballi fatti con quasi nulla; siamo perciò nella raccolta Monografie. Procedure. Timballini nel coppapasta.

I due risi, nero e selvaggio, 250g complessivi, metà dell'uno e metà dell'altro, vanno lessati insieme nel doppio del loro volume di acqua salata per 40', opportuni per entrambi.

Vanno poi conditi con una tazzina da caffé di pecorino grattugiato, una tazzina di bottarga di muggine grattugiata, olio e.v. d’oliva, un ciuffo di prezzemolo triturato, un limone (buccia grattugiata e succo).

Per condire il riso, mettere tutti gli ingredienti in una ciotola, e versare il riso un po' per volta, mescolando, per impedire che la massa bollente faccia assemblare il formaggio.

Inanellare il riso nel piatto con un coppapasta cilindrico di 8cm per 5cm.

Tagliare una melanzana allungata (quelle viola scuro, affusolate) a sottili filetti e friggerla in olio d'oliva.

Coronare il riso con delle sottili fettine di bottarga.

Circondarlo con filetti di melanzana fritti.

Completarlo con un filo di olio e. v. d'oliva, una foglia di prezzemolo, una spruzzata di pepe verde appena macinato.


AUSTRIA. SALZKAMMERGUT. ST. WOLFGANG. PACHER ALTAR.















Puntiamo su un altare gotico, partendo in barca da St. Gilgen. Nuvole, pioggia, giacca a vento. Il lago è corrusco. Approdo in un piccolo paese meta di pellegrinaggi religiosi e musicofili (sul lago sporge il famoso albergo che ispirò l’operetta il Cavallino Bianco). La piccola chiesa è densa di pie testimonianze di ricchi abati che nei secoli non smettevano di commissionare pulpiti, altari, santi, tabernacoli. Se su tutto spicca il mirabile Pacher Altar del quale si può senz’altro dire che vale il viaggio, tutta la chiesa è densa di bellezze; per lo più barocche, incluso un altro bell’altare.

Il Pacher? Una macchina, densa di sportelli che aprendosi e chiudendosi celano e mostrano scene scolpite e dipinte, santi, madonne, a seconda della bisogna dell’anno liturgico. Architettura, scultura, pittura strette in un unico laccio dall’artista tirolese che tutto padroneggiava. Immaginate il lungo viaggio dell’altare, e per monti e per barca, da Brunico e quassù.

Impressione? Di un vibrare, un rifrangersi, un moltiplicarsi di luci e di spazi. Lo spazio ora diverge, ora implode; si moltiplica come in opera cubista. L’infinito è la moltiplicazione e la divergenza, piuttosto che il lineare aereo gonfiarsi ed espandersi cui spesso ci abitua l’arte italiana. Un dipinto italiano può lanciarci nello spazio, in quest’opera può darsi io sia rimasta in nascosto anfratto, in perso cubicolo o cunicolo.

Praticamente non fotografabile; accontentatevi. Dirò che la mia foto non è peggio delle reperibili su web.

Per il resto, suggestioni barocche. Patetiche, colorate, seducenti.

AUSTRIA. SALZKAMMERGUT. ST. GILGEN. HOTEL GASTOF ZUR POST.











Puntiamo su un altare gotico che se ne sta in un paesino su un lago. Ci fermiamo per dormire a St. Gilgen, sul Wolfgansee, il lago in questione, su cui affaccia anche St. Wolfgang, luogo dell’ambito altare. A St. Gilgen ci concediamo un confortevole quattro stelle che ci spupazza con un antipasto della casa, un caprino avvolto nella pancetta, un goulash (notate lo spruzzo di yogurt), uno obstknödel, uno gnocco dolce e caldo con dentro l’albicocca, che nel viaggio avrò modo di assaggiare in varie versioni.

Hotel Gasthof zur Post
St. Gilgen
Mozartplatz 8
tel.: +43 / 6227 / 2157

Riso nero e riso selvaggio con pecorino bottarga e vongole



di Artemisia Comina

Riso nero Venere: un riso integrale con il pericarpo nero. Va bollito per 40’ circa. Riso selvaggio: non è un riso; viene prodotto dalla Zizzania Sativa, graminacea spontanea delle paludi dell’America settentrionale. Gli indiani lo conoscevano. Viene raccolto a mano, il che lo rende alquanto caro. Metterli insieme è piacevole er sapore e forma, si introduce discontinuità nel tessuto del composto. Questo piatto è parente stretto di Riso nero e selvaggio con bottarga e pecorino. Ho imparato ad apprezzare questo attrezzuccio, il coppapasta cilindrico, per creare piccoli timballi fatti con quasi nulla; siamo perciò nella raccolta Monografie. Procedure. Timballini nel coppapasta.

Per due.

I due risi, nero e selvaggio, 250g complessivi, metà dell'uno e metà dell'altro, vanno lessati insieme nel doppio del volume di acqua salata per 40', opportuni per entrambi.

Poi vanno conditi con una tazzina da caffé di pecorino stagionato e grattugiato, una tazzina di bottarga di muggine grattugiata, olio e.v. d’oliva, un ciuffo di prezzemolo triturato, un limone (buccia grattugiata e succo).

Per condire il riso, mettere tutti gli ingredienti in una ciotola, e versare il riso un po' per volta, mescolando, per impedire che la massa bollente faccia assemblare il formaggio.

Una manciata di vongole veraci (prima spurgate in acqua salata per alcune ore) va fatta aprire in padella con un sorso di vino bianco.

Mettere da parte le vongole, filtrare il sugo, riunire vongole e sugo.

Aggiungere alle vongole un cucchiaino di pinoli tostati in padella a secco.

Pressare il riso nel piatto dentro un coppapasta metallico cilindrico (8m per 5 cm) - uno a persona. 

Circondarlo con le vongole e il loro sughetto.

Impennacchiarlo con un rametto di timo, un filo d'erba cipollina.





mercoledì 28 novembre 2007

Crostatine tuttaltre ciocconocciole e marmellata di cedro.





Papavero

solleticante
sontuosamente afferra
le papille

di Artemisia Comina

Per fare le tuttaltre si deve voler fare una ricetta con 300g di cioccolata amara e scoprire che ce ne sono solo 100g. Poi, facendo girare l'occhio, si deve trovare un pezzo di cioccolato al latte zeppo di nocciole che ti fa cambiare del tutto idea.

Si uniscono 100g di cioccolata amara a pezzetti e 200g di cioccolato al latte con nocciole triturata finemente e si fanno fondere a bagnomaria; si aggiungono 150g di panna fresca, mescolando bene. Si fa raffreddare questa ganache.

Con 200g di farina, un cucchiaio di acqua di fiori d'arancio, un uovo, 80g di zucchero, 70g di burro si fa una pasta frolla.

Si foderano con la pasta 9 stampini da crostatina di alluminio (la scoperta che gli stampini di alluminio non vanno imburrati e infarinati ancora mi rallegra e consola). Gli stampini hanno 9,50 di diametro. Bucherellare i fondi dei gusci di pasta con i rebbi di una forchetta. Metterli a raffreddare in freezer per mezz'ora.

Forno caldo a 200°, 15-20' di cottura. Far raffreddare i gusci.

Qui ci si chiede: che ci metto con il cioccolato al latte perchè non sia stucchevole? La marmellata di cedro, che ha una punta di amarognolo.

Versare nei gusci una cucchiaiata di marmellata di cedro, poi coprire con due o tre di ganache al cioccolato con le nocciole.

Mettere al fresco.

Marmellata di cedro: un grosso cedro affettato molto finemente, altrettanto zucchero, cuocere finché la goccia non rapprende. Altrimenti, droghiere di fiducia.




Crostata con frolla al pepe nero e ripieno di cioccolato e marzapane


Entro la raccolta Crostate ci sono le Crostate al cioccolato.

Di Artemisia Comina

Ho da ridire su questa crostata fatta con quel che avevo in casa, all'impronta: le nocciole intere erano invadenti; la metto perciò in Officina riparazioni, tag con cui raduno ricette provate più volte, tentativi, ricicli, caso mai mi venisse in mente di migliorarla.

Frolla al pepe nero

200g di farina00, 70g di zucchero, 80g di burro, un uovo, essenza di vaniglia, un cucchiaino raso di grani di pepe nero grossolanamente triturato.

Stenderla, foderare una teglia da crostate quadrata a fondo mobile, 22cm.

In forno a 180° per 15' coperta con carta da forno e sassolini, per 10' senza carta.

Farcia

Frullare 200g marzapane e 200g di ganache di cioccolato (fondere 150g di cioccolato amaro con 50g di panna fresca).

Amalgamare qualche cucchiaiata di marmellata.

Unire 100g di nocciole triturate.

Versare la farcia nel guscio di frolla, lisciare.

Disseminare con 100g di nocciole (meglio triturate, sia pure molto grossolanamente).

Cuocere a 180° per 30'.

Quando tiepida, lucidare la superficie della torta con della gelatina di frutta (io d'arancia).



L’ALBERO DI ARANCE.













da Mentuccia Fibrena

Valle di Comino. L’albero si piega sotto il peso delle arance. La zia aspetta i cento nella stanza immobile. La credenza cornuta custodisce silente le sue tazze dormienti. In cucina va il camino in attesa del freddo di dicembre.

Preziose arance, che si scioglieranno, fonderanno in questa marmellata.

Papavero di campo dice:

Devota attesa
dei riconoscimenti
meravigliosi.

Zuppa valdostana, Seupa à la Vapelenentse

Siamo in:

Zuppe e creme di paneZuppe e creme di pane. Carne.

Culture e territoriItalia. Cucina e passeggiate

da Artemisia Comina  

Nel menu Dicembre 2007. Chiacchiere prima di Natale e piatti anni Cinquanta, quella la cui pirofila sta sul piatto viola. A novembre del 2019 Teo ne fa una sua versione (le ultime due foto). 
Seupa, come dicono in patois a Valpelline, dove è il piatto identitario. Pane raffermo, fontina, brodo, variazioni da casa in casa; brodo di cavolo verza, qualche volta di carne. Burro fuso. 
Versione bomba
, per 4, del sito del turismo della Valle d'Aosta: in una pirofila, fare strati il pane bianco casereccio (500g) e fontina (400g), terminando con la fontina. Bollire 1 verza in 1 litro e mezzo di brodo di carne. Versare il brodo sul pane, attendere che tutto si ammorbidisca, poi versarvi 150g di burro fuso caldo. Spolverare con della cannella. In forno (200-220°) per circa 40', fino a fontina dorata. Servirla calda. 
Versione meno bomba
, quella del Ristorante Pizzeria Vecchio Suisse: 500g di cavolo verza (qui la si mette negli strati), 150g di fontina valdostana, pane integrale o di segale raffermo, 1 l di brodo di manzo (o di verdura, in cui ha cotto la verza), 50g di burro, che si versa sulla zuppa cotta. 
Io ne ho fatta la versione che segue:

Saltare mezza verza tagliata a listerelle, privata del torsolo, e una grande cipolla a tagliata a fette sottili in due cucchiai di olio e.v. d'oliva.

Affettare finemente delle fettine di pane nero (circa 500g).

Affettare 200g di fontina valdostana.

Alternare strati di pane, verza e cipolla, fontina, salando e pepando. Finire con la fontina.

Aggiungere nel cuore della zuppa una buona pizzicata di cannella e una bella grattugiata di noce moscata.

Aggiungere del brodo di carne arrivando fino a metà degli strati.

Cospargere di fiocchetti di burro l'ultimo strato.

Nel forno a 180° per circa 50'.







martedì 27 novembre 2007

LA CREDENZA DI UN GRIGIO SVANITO.

















Da Mentuccia Fibrena.

Artemisia è aulica. Va a caccia di porcellane.

Io invece vi mostrerò trippe che sono frutto dell’accumulazione quotidiana che mescola ciò che si usa, ciò che non si ha il coraggio di buttare, ciò che si mette da parte per pensarci un po’ su, ciò che non si sa di chi è, ciò che non si sa che cos’è (ma non si sa mai). Strofinacci che furono lenzuola, asciugamani di una spugna morbida come la corteccia del noce. Attrezzi che illudono promettendo una funzione – stappare, aprire un barattolo, rompere una noce – con cui si dovrà lottare fino alla vescica perché svogliatamente la compiano. Cucchiai di legno con il manico curvato e bruciato da fuochi inopportuni, forchette con i rebbi divaricati e arricciati da infilzamenti troppo nervosi. Mollette custodite in una scatola che sta sempre per aprirsi come un guscio d’uovo spaccato, disseminandole per il giardino che la lavandaia attraverserà per andare a stendere correndo imperterrita il rischio. Coperchi tra i più belli, pieni di botte, di alluminio con i manici di ottone. E farine, e pastine. E ancora, e sempre, le infrangibili ceramiche del mulino bianco, gli inesorabili doni dei punti.

Dove? Una credenza di un prezioso grigio svanito che se ne sta in un angolo illuminato da una porta a vetri crepuscolare. Al di là la cucina. Ovviamente, una cucina della Valle di Comino: se aprite la finestra, c'è la campagna, gli arcobaleni.

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