La collezione nasce grazie a un certo Enrico di Borbone, duca di Bardi, ultimo figlio di un duca di Parma restauratore con supporto austriaco e ucciso da ignoti, abitante (in alternanza con un castello tostissimo in bassa Austria, imponente ma certo irriscaldabile, castel Seebenstein) del più morbido palazzo Ca' Vendramin Calergi, ospite di sua zia, (lì fu fu ospitato anche Richard Wagner negli ultimi tempi della sua vita), marito di una che si chiamava Adelgonda di Gesù Maria Francesca d'Assisi e di Paola Adelaide Eulalia Leopoldina Carlotta Michela Raffaella Gabriella Gonzaga Agnese Isabella Avelina Anna Stanislaa Sofia Bernardina di Braganza, pare con unione pare poco felice per via del di lui sembra caratteraccio (per altro irrigidito e non solo metaforicamente anche da ferite di guerra).
I due fanno un
viaggio attorno al mondo, partendo nel
settembre del 1887 e visitando Egitto, coste del Mar Rosso, Sud-est asiatico,
Cina e Giappone; ritornano a Venezia nel 1889, passando per l'America
Settentrionale. Soprattutto in Cina e ancora di più in Giappone (i nuovi
esotismi, dopo i più prossimi paesi islamici e India, più consunti), spendono e
spandono in souvenir – alcune lettere dicono delle ansie di lei sulla spesa, ma
alcune altre subito a seguire dicono quanto ella medesima fosse in preda
all’acquisto di bibelots esotici – del resto il Giappone, appena cessata l’epoca
Edo, sta svuotando le casse di ogni tipo di ricordo, e soprattutto delle
preziose bellissime armature, che si trovavano a due soldi; tutto è acquistato
a man bassa e alla fine l’enorme collezione è costituita da oggetti
dell’Indonesia e Sud Asia al 30%, della Cina al 20%, del Giappone al 50%.
La collezione viene stipata pittorescamente all’ultimo piano
di palazzo Vendramin, aperta alle
visite; poi si cerca un luogo più comodo e il duca lo chiede alla città, che
lungimirante rifiuta; quello si offende e decide di trasferire tutto a Chambord
– di cui nel frattempo ha acquisito l’uso – e per l’intanto chiude al pubblico
e inizia a regalare a parenti e amici. Alla morte di lui, Adelgonda offre
l’acquisto allo stato Italiano, che rifiuta; la collezione va sul mercato
antiquario in Austria; in questi traffici si riduce alla metà.
A quanto mi pare di capire, la collezione – forse 30.000 pezzi,
di cui due terzi a Venezia - non è stata compiutamente catalogata; manca un opuscolo qualsivoglia in vendita la
Museo sul medesimo; i quindici volumi del diario di viaggio, prima scritti di
pugno del duca poi del suo segretario, giacciono presso la Soprintendenza di
Venezia, ben lontani da ogni pubblicazione; si parla da anni di trasferirla in
luogo più idoneo e ampio per esporla più adeguatamente (contemporaneamente
liberando spazi per l’arte moderna ridotta al secondo piano) ma tutto sembra
giacere.
Recentemente sono state restaurate le armature giapponesi, che
nell’allestimento del 1928 organizzato da erano messe in due file, una di qua
una di là lungo le ascendenti scale, tra alabarde (non ne so il nome, con
lacche bellissime, loro ancora sul posto), a fare magnifica figura, indimenticabili
nella mia prima visita, quando erano ancora lì, tante, visibili senza frapposti
vetri, bellissime (e a riempirsi di polvere, per cui oggi poche e sotto vetro,
dopo lunghi restauri).
Kumakura, Kreiner Notes on the Japanese Collection of Count Bourbon Barth at the Museo d'Arte Orientale di Venezia
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