lunedì 19 dicembre 2011

VENEZIA. CORRADO FASOLATO IN CONGEDO DAL MET


Corrado Fasolato ci ha fatto mangiare un dolce veramente molto molto buono. Un bicchierozzo morbidamente e spumosamente giallino a più strati, come i materassi della principessa sul pisello, morbidi e fondenti, da fendere con il cucchiaio per arrivare al fondo di creme brulée, risalire verso la gelatina di rum, poi su verso il cioccolato bianco al pepe che pizzica sulla lingua poi su su verso la spuma al tabacco. Accanto al bicchierone un sottile sigaro di scura cialda con farcia di mascarpone e verso la punta una cenere di squisito cioccolato che ho raccolto con la punta del dito. Insieme il Nunche ci bevve un brandy che non la finiva di celebrare, un certo Villa Zeri al sentore di tabacco.

Eppure ce n'è voluto per convincere il Nunche a varcare la soglia del Metropolitan; e pensare che ci sono anche nostalgici ricordi legati al suo ingresso seducentemente demodé di tessere d'oro, di quando tanti anni fa, avendoci un'amica ceduto la casa perché la nostra andava ancora facendosi, lui, arrivato in città treno, venne lì gentilmente ricoverato all'una di notte, senza prenotazione, perché io e le chiavi di quella casa ospitale che ci attendeva invano volavamo in cieli nebbiosi e lontani,  non essendoci vista per atterrare a Venezia. Ma niente da fare: benchè fossero anni che proponevo una visita al Met, con una scusa o un'altra si rimandava; e in effetti quando si vive Venezia da una casa, non si ha voglia di entrare nel mondo straniante degli alberghi.

E poi, mò questa la dico: gli alberghi cinque stelle con il loro lusso artefatto mi piacciono assai raramente, poichè sono una snob incarognita. Ho passato un po' di tempo, tra un piatto e l'altro, a pensare come si poteva migliorare il tristanzuolo arredo del Met, che forse per la luce invernale che entrava dalle finestre, per le pareti di lastroni di una sorta di pietra ruvida e grigia, per il basso soffitto, per certe sgraziate linee squadrate della struttura che rivelano la goffaggine delle armature destinate e tener su l'edificio, per il colore beige che stagna ovunque senza decidersi, come spesso capita a questo colore, a tramutarsi in un preciso sentimento, ma restando con quell'aria casta e mortificata, insomma per tutte qeuste cose, sembrava la tomba di un faraone; Radames, ha precisato il Nunche, che non gli ha concesso più della messa in scena di un'opera. Fatto sta che non sono neppure riuscita ad abbozzare un migliormento, anche dopo aver consumato nella mia fantasia metri e metri di velluto testa di moro; del resto, dopo aver saputo che lo chef andrà presto via, non so nemmeno più se valga la pena che io mi dia tanto da fare.

Difficile tenere memoria di tutto, anche perchè al Met proibiscono - con una certa perentorietà sgarbata del tutto disadatta a pretese di eleganza e lì sì che avrei un suggerimento, di dirlo con molta più cortesia, perché tra persone costumate è assai più vincolante suggerire che proibire - di fare fotografie. Ho passato il tempo a prendere ostentati appunti, con soddisfazione sapendo che ne uccide più la lingua che la foto; il che non vuol dire che io stia per uccidere, ma che mi consola sapere di poterlo fare contro quell'ingiunzione fuori luogo. 

Cosa ho apprezzato di più? L'inimitabile perfezione della cottura della carne di capriolo: un consistente cilindretto di fondente polpa adagiato in un cestello per la cottura al vapore su un odoroso letto di fieno ed erbette. Qualcosa di essenziale; non so nemmeno più quante altre cose c'erano in accompagnamento, perchè ciò che mi ha colpito è stato appunto questo perfetto, semplice cilindretto.

Grande garbo nel servizio, sì. E la sorpresa di un monumentale carrello di formaggi italiani, che in effetti doveva sostenere l'ingombro delle nostre grandi forme di cacio articolandosi su ben due piani. Veneto, Lombardia, Piemonte, Toscana, una puntatina in Sardegna. Una qualche assenza del fresco e del molle, necessaria nell'arpeggiar formaggi. No, non ho potuto assaggiare nulla, ma non ho mancato di guardare e farmi dire.

Infatti dopo 8 portate non ne potevo più, e ho mangiato quel che potevo della ricca distesa di piccola pasticceria; quel che non potevo l'ho infilato in borsa. Sì, l'ho fatto.

Ecco l'elenco dei piatti, nel menu scelto, 120 euro senza vini, quello dove compaiono i piatti che hanno fatto nel tempo la gloria dello chef, tra memoria e camposanto con quelle date accanto. Tutti buoni e molto buoni, molto costruiti sia nelle tecniche che nei sapori, spesso con note dolci e profumate alquanto sorprendenti. Avremmo voluto il menu a sorpresa, ma le undici portate "vere", come ci hanno detto, ci hanno spaventato.

Triglia con cocco e aperol  (2002) bella la sorpresa dell'amara laccatura di aperol sulla rossa veste della triglia che in testa aveva una cosiddetta "aria" ovvero spuma di lemongrass e accanto una meringa verdina alla menta. Con questa è arrivato un bicchiere do rosè vicentino, un pinot nero Montecchio.

Capesante lardellate e iniettate del loro corallo, finferli, croccante di violetta, emulsione di acqua di pistacchio (2007).

Il gioco dei gnocchi (2009) sempre grande il mio amore per tutte le zuppette; qui ti portano un piatto a sorpresa, un brodetto profumato e colorato colmo di oggetti non identificati, chiedendoti di indovinare (agli spagnoli accanto a noi però lo hanno spiegato subito, già facevano abbastanza fatica a raccapazzersi); ancora note dolci e profumate; naturalmente non ho indovinato nulla, rimbambita dalla complessità dei sapori dove sentivo una pravalenza marina; e così ci è stato detto che c'erano gnocchetti di patate e limone, quelli più netti e sodi e individuabili, ma anche lisci gnocchetti di calamari, pezzetti di animelle, stracci di casatella in stato di semifusione e brodo di molluschi.

Qui sono arrivati una buona focaccia calda con olive e un magnifico pane al lardo pure caldo.

Fettuccine di seppia alla carbonara  (1996)  un gomitolo di sottili listerelle di seppia su una gelatina al prosciutto di Parma condito con croccante guanciale e saporiti pepe e pecorino, e accanto una striscia di crema gialla di uovo e una pennellata nera di inchiostro.

Terrina di fegato grasso e pere con miele e caffè (2006) un cubetto di squisito fegato grasso a strati, intervallato da pere e basilico, con accanto salsette al caffè e miele buonissime e cialde e sorbetti di pera e pere caramellate. Servita con una birra prodotta in Belgio da un'italiano, Zago, di grano saraceno, non filtrata.


Lombatina di capriolo cotto al vapore di aromi erbe e spezie (2000) qui è arrivato un sorprendente profumo di camino e di fumo odoroso, e da sotto le campane sono comparsi due pezzi di carbone-meringa nera e delle stille croccanti di boh, e dentro i cestini della cottura al vapore su un letto di fieno ed erbette un nitido, semplice, squisito, fondente, perfetto cilindretto di capriolo. Con un certo barolo Mascarello.

Piccione disossato e cotto alla griglia con lychees, cioccolato e anguilla affumicata (2009) haimé al settimo piatto non ne potevo più e l'ottimo piccione cominciava ad essere di troppo; la mia propensione per l'anguilla mi ha permesso, tuttavia, di apprezzarla ancora e il rotolino di pane avvolto nel lardo e fritto era troppo buono.

Sensazioni di rum tabacco (1998) questo sarebbe il sudetto bicchierone con cremette gialle, che come ho detto ho apprezzato molto, resuscitandomi.

Ho convinto Artè a fare rapidi schizzi di alcuni dei piatti  di cui non posso mostrare foto; li ha fatti di malavoglia, borbottando e in tre minuti, ma ho visto che alla fine aveva una mezza idea che potrebbe prenderci gusto. Comunque, mi sono tolta lo sfizio: niente immagini, ma parole e disegni, tiè.

Tuttavia, qui sotto alcune foto fatte tasgredendo allo sgarbato "non è permesso fotografare"  che torno a suggerire di sostituire con un più ampio giro di frase, un po' meno burbero. Come si vede, non turbo alcuna privacy, ma mostro l'olio in cui far zuppetta con i pani assai buoni - tra cui uno al nero di seppia - potendo usare anche i due sali, uno nero e uno bianco, e il brodo di pollo all'arancia, servito come amuse bouche,  versato dalla moka, attrezzo che l'inventiva del cuoco ha trasformato in strumento per aromatizzare liquidi, dove al posto dell'acqua metti quel che vuoi e al posto della polvere di caffè pure. Qui ho visto nel filtro   foglie di menta e buccia d'arancia, per dire.




Un piccolo stralcio del ristorante ancora vuoto.



Qui sotto il cosidetto Caffè Orientale, dove abbiamo preso un  aperitivo troppo banale - la triade noccoline patatine olive è oramai circonfusa da un'aura di mestitudine  rassegnata - in un ambiente vecchiotto malamente rinnovato con cuscini "marocchini" e tovagliette e vasellame in tono, stridenti con la base anni Cinquanta dove ci sono perfino alcune cose di una certa suggestione come i tavolini di marmi compositi, che non andrebbe così duramente contrastata con approssimative fantasie di mutarne la natura, ma - io sono sempre per il conservare quando si può - fatta rivivere rinnovando le tappezzerie - anche qui ho immaginato rotoli di velluto color castagna - o almeno rammendando la nappa che qualche gesto brusco ha strappato dalla sedia lasciandola penzolare - e togliendo ogni ciarpame e rovinandosi con un solo veramente magnifico mazzo di fiori  che sostitusca i due privi di gioia e fantasia.


Ho saputo solo dopo che avevamo acchiappato Fasolato per il rotto della cuffia e che presto il Met sarà senza stelle; ho visto che lo chef su web si dava in imminente partenza e che per alcuni  era già partito, per cui ora capisco perché aspettava coscenziosamente ciascuno all'uscita del ristorante per farsi vedere e per salutare.
Qualche notizia su Fasolato e i suoi progetti dopo che avrà lasciato il Met il 31 dicembre su Dissapore. Certo che se andrà nella non suggestivissima Schio sarà difficile essere motivati a reincontrarlo.

3 commenti:

franca ha detto...

mammamia che delizie e che raffinatezza.
baci

Anonimo ha detto...

Bla, bla, bla, bla, io, io, io, bla, bla, bla, io, io, io,

artemisia comina ha detto...

due stili di narrazione: quello dove l'autore parla di sè, quello dove parla l'occhio di Dio (anonimo) :)

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