mercoledì 5 settembre 2007

UMBRIA. ORVIETO. ETRUSCHI. IL MUSEO CLAUDIO FAINA.

























Embe’, sì. Ho una vera passione per i musei. Quale migliore sosta dalla luce eccessiva, dal caldo, dalla pioggia, dalla folla, dai rumori, dall’attualità? Spesso si tratta di luoghi pieni di silenzi, ombrosi, solitari, estranianti, pieni di oggetti che sollecitano pensieri e fantasie.

Il Museo Claudio Faina ha una quantità di motivi per una visita. Li elenco disordinatamente.


La facciata del Duomo, che sta proprio di fronte alle sue finestre e che potete vedere come se foste assunti in cielo.

Le pitture ottocentesche che decorano molte stanze, in particolare gli infantili paesaggi frondosi e fluviali della piccola stanza scrigno che contiene i più famosi vasi greci della collezione, paesaggi che mi vedrei volentieri intorno quando, mettiamo, me ne stessi a letto prima di addormentarmi; paesaggi domestici, teneri, familiari, che non potrebbero essere più distanti dalla pittura divina, crudele, ierofanica dei vasi.

Questi vasi, tre anfore, grandi, monumentali, sui quali un graffito che sembra tracciato da una zampa di capacità sovrumana, di ragno, delinea figure impossibili e del tutto vere e vive di cavalli, guerrieri, dee, in un mondo rosso, nero e viola. Un viola sorprendente che la foto traditrice non ha per niente catturato. I vasi sono di Exekias, VI secolo a.C.

Ancora: il garbo con cui il museo è tenuto, che include un piccolo vano, con una finestrella aperta sui tetti di Orvieto, con tavolini, sedie, una macchina per i caffé, giornali (!), per una sosta.

Peccato che i numerosi vasi che custodisce – il suo principale bottino – non siano illustrati e commentati in nessuna pubblicazione in vendita. Vasi difficili da conquistare. Seducono, promettono, ma non ti riesce di afferrarli, chiusi come sono in vetrine riflettenti; vasi sfuggenti nelle curve che dissolvono i disegni, ne sottraggono le conclusioni. Vasi con un iconografia di cui sappiamo poco. Penso a tutto un mondo di opere oggi quasi irraggiungibili, quelle fatte per la fruizione di un singolo, per essere viste mentre le rigiri nelle mani, le tocchi.

La collezione nasce come privata, nello stesso periodo, i decenni successivi all’unità di Italia privi di leggi e cultura a tutela di un patrimonio pubblico, della collezione Barracco. Viene raccolta dai conti Faina per il proprio piacere e per la propria gloria, quindi, mutata la sensibilità, donata da loro allo stato.

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