giovedì 7 ottobre 2010

BORGOGNA. CHABLIS. HÔSTELLERIE DES CLOS. UN STELLA MICHELIN.
















Una tappa verso nord. Ma anche una tappa in quel nord della Borgogna dove non andiamo mai. E dopo un po' ricompaiono i vigneti, più ampiamente distesi, su colline vaste come è vasto l'orizzonte di Francia. Li incontriamo al tramonto, mentre ci avviciniamo alla cittadina di cui non vedremo nulla se non che è fatta con la pietra chiara e dorata di Borgogna.

Quella di cui si fa bello anche il nostro Hotel, vivo di una vita cittadina e provinciale, con un'eleganza confortevole e qua e là di pessimo gusto che però rallegra nella moquette rossa dei corridoi, nel velluto grigio e viola delle poltrone soffici dove subito sprofondo con gusto per un aperitivo, nelle grandi finestre del ristorante che danno su piccoli cortili e giardini molto fioriti.

Il ristorante, pieno, animato, decorato da una stella Michelin (chef Michel Vignaud), è abbastanza buono e ben lontano dall' essere ottimo; confermando che le stelle - forse soprattutto le singole - possono cadere qua e là illuminando ciò che davvero merita e ciò che può andare.

Con l'aperitivo vengono servite tre cose tanto per dartele: sfoglia con semi di papavero, crostini con mousse di tonno, gougere tiepide senza verve (qui si vede che il cuoco non si diverte).

Come amuse bouche al tavolo, una bisque fredda di crostacei con un cucchiaino di panna montata, buona.

Io prendo le lumache con coulis di prezzemolo e aglio, buone. Mi accorgo che mangio lumache che servite così senza guscio vengono chiamate fricassée: fine dell'ultimo ostracismo. Per nulla callose. Un piatto che ricorda quello mangiato a Igè, dove però le lumache sono chiuse entro un raviolo di pasta e un cuoco non stellato cucina meglio di questo.

E poi delle oeuf meurette allo chablis, quindi con un bianco invece dell'abituale rosso. Troppo liquido, troppe uova (tre), poche verdure: l'uovo si rompe in un eccesso di salsa e si disperde instupidendo, sciaquandosi e raffreddandosi dentro una salsa tiepida che lo prevarica con la sapidità forte dello chablis condensato. Si finisce col mangiare una sorta di brodo al rosso d'uovo crudo che non trovo seducente.

Nunchesto prende il suo amato ris de veau poelé en fines tranches, dés des céleri sauté à cru, jus de veau truffé ed è contento (abbastanza, non quanto lo sarà col tristellato chef di Joigny, successivamente).

Come dolce un pain perdu aux apricots che prometteva molto e poteva essere meglio (troppo molle, non resta nulla del croccante-dorato), mentre il Nunche mangia un soufflé au Grand Marnier del tipo che si trova spesso in Borgogna e che non delude mai.

Ci serve un giovane vampiro cereo con la nera chioma spinosa irta di gel, le scarpe a punta, che pensa a tutt'altro mentre ci versa vino con un ritmo che non appaga Nunchesto, o ci porta piatti di cui svagatamente recita l'essenziale a mezza bocca, gli occhi sempre volti verso un cielo privato e lontano. Assai più cerimonioso un suo compagno con la bassa e robusta stazza di un vigneron e soprattutto le sue guance rosse, anche lui fresco di barbiere alla moda ma con uno stile meno acuminato del nostro amico pallido. Anche qui fanciulle; in tono con una certa rusticità del luogo, colorite e profumate di campagna, infilate a forza in livree non cucite per loro.

4 commenti:

isolina ha detto...

Noto con piacere che c'è qualcuno che ama i ris de veau! Mannaggia, qui sono in un isolamento completo e tanto non si trovano, neanche a cercarli col lumicino

papavero di campo ha detto...

il look però è bello!
(quel bicchiere a scanalature rouge lo conosco! celo!aussi-moi è di Villeroy & Boch, mi piace tanto)

artemisia comina ha detto...

vetro rosso, spesso bello e prezioso.

artemisia comina ha detto...

ris de veau, animelle qui a Roma, una volta molto popolari, per esempio con i carciofi (le feci anch'io immemorabile tempo fa).

debbo chiedere al macellaio....

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