martedì 14 settembre 2010
FRANCIA. BORGOGNA. CHAGNY. LAMELOISE, TRE STELLE MERITATE.
Decidiamo di tornare da Lameloise dopo molti anni. I prezzi non sono folli come da un tre stelle italico, si può fare.
Di Lameloise ricordavo una perfetta atmosfera, e - cosa strana - molto cose sono cambiate, ma quella è rimasta. Atmosfera, servizio, ospitalità "vecchio stile" (dove si suppone ci siano ancora avventori capaci di stare al gioco), rito messo in atto benissimo. Con piacere, direi. E - inoltre - una cucina squisita. Altro che: "ciò che conta è quanto mi mettono nel piatto" e grande concentrazione sulle pirotecnie che in quello possono prodursi disattenti a tutto il resto come fossero non essenziali accessori.
Ricordo nel passato un maître elegante, olivastro come un conte di El Greco che pur dirigendo uno staff numeroso e concorde era sempre accanto al tavolo a tessere il tuo benessere e una patronne che si aggirava in abito rosso con l'aria di voler trafiggere le mosche con lo sguardo. Il ricordo ha colori bianchi e neri, con il tocco rosso di madame. L'attuale impressione ha il colore della pietra color miele di Borgogna, è tutto dorato. E madame non c'è più, come pure quel bel corvo del maître. Quindi garbo, luce dorata, ronzio e movimenti da arnia felice, modestia ed eleganza della campagna, un'atmosfera da marginalità eccellente, di essere fortunatamente fuori dal giro di tutto ciò che fa chiasso e moda, ma al centro di un mondo privilegiato. In entrambi i casi però, lo stesso armonico tessersi dei movimenti di sala.
Quanto al cibo, un ricordo eccelle su tutto. Sono un po' stupita, un po' no. Un pane di campagna caldo e un burro salato di eccellenza massima. Mettiamo che io dovessi campare come sant'Onofrio nel deserto, ed essere nutrita come lui dall'angelo che gli portava un tozzo di pane al giorno: mi basterebbero questo pane e questo burro, e me ne starei tranquilla tra i rovi. Crosta delicatamente croccante, la mollica aerea e morbida ma non molle, bruno, sapido ottimamente. Cremoso, ricco, salato a cristalli croccanti il burro giallo. Avevo assaggiato anche una buona brioche e c'era dell'altro, ma dopo aver messo in bocca il pane di campagna non ho voluto considerarlo.
Al vertice opposto, l'unica cosa non ottima della cena, un piccolo babà che precedeva il dolce vero e proprio, un po' spugnoso, non male, ma inutile.
Qualche nota sull'arredo: ho giò detto del biondo della pietra, aggiungo delle volte bianche piccole e basse (tutto è piccolo), insisto sulle luci ottimamente concertate (essenzialissime, cari osti: la luce è quasi tutto, e quasi sempre sbagliata). Né il buio dove tutte le vacche sono nere, né una luce da sala d'attesa. Mai negli occhi, e sempre in modo che ciò che è in tavola si veda, finalmente, e in modo avvolgente e dorato. Dico pure delle tovaglia, di un santo cotone bianco opaco con le L intessute come nei corredi di una volta, dei piatti con un giro di foglioline verdi sottolineate d'oro, delle posate rococò alquanto consunte (essenziale).
Sul nero e bianco dei camerieri, cravatte rosa e celesti. Abbiamo cercato di decifrarne la gerarchia. Con grembiule lungo e nero, senza grambiule, senza cravatta ma con camicia nera senza collo, con targhetta con il nome, senza targhetta. Una sola fanciulla, tendenzialmente invisibile. Alta, esile, con piccola crocchia bruna, pallore olivastro. Passava flessibile e veloce come una spada lanciata da un capo all'altro della sala, con il vassoio del caffè. Sparendo rapida in nascosti, ombrosi recessi. Era l'unica linea retta. Mentre gli altri, i maschi, erano tutta una circonvoluzione, un ronzio concentrico intorno ai clienti. Ronzanti api che offrivano il loro miele in un'arnia aperta a un pubblico di beati covati, la cui chioccia si illuminasse negli occhi solo se quelli fossero felici fino alla stupidità.
Un giovine biondo in cravatta rosa e senza grembiule era propenso a lanciarsi, ad accendersi di subitanei empiti nel proporre un piatto, inseguendo nella foga il suo bel naso a punta che lo precedeva in questi slanci, seguito dalla morbida onda dei capelli chiari. Un collega più anziano, cravatta celeste, con un viso abbronzato e rubizzo da vigneron, esprimeva la sua gioia, nel dirti che lo chef aveva aggiunto un piatto di homard per scusarsi del ritardo delle escargots, nella moltiplicazione delle già numerose piccole rughe agli angoli degli occhi turchini, che investiti da questa spinta, rilucevano di felicità (io, persa in tali contemplazioni, non mi ero accorta del passare del tempo e ancora adesso mi chiedo se il ritardo c'è stato). Il giovanissimo versatore di vini, in grembiule, dalla testa del tutto tonda, era invece chiuso in una prudente ottusità priva di espressione, in attesa, suppongo, di capire molto di più di quanto andava accadendo intorno a lui prima di sbilanciarsi, di assumere un suo proprio consono stile di ospitalità.
Scompiglio quasi fatale creato dal Nunche quando, come chi interrompesse in piena rappresentazione l'assolo della Regina della Notte per chiedere dov'era finito il drago, domanda proprio a lui cosa fossero le deliziose macchie rosse che costellavano il piatto di agneau. Rapida e concitata risalita della gerarchia e arrivo solerte, con volo radente, del naso del biondo: Borgogna concentrato! Tutto torna a girare come deve dopo la rottura momentanea delle circonvoluzioni e qualche veloce, imprevisto zig zag. Su tutti volava con ampi, severi e alti giri un signore in grigio scuro, come l'occhio di Dio che sorvegli il paradiso terrestre temendo la caduta.
Gli altri ospiti? Fine della giacca e cravatta, sappiatelo, definitiva. Ma non mancava una giacca maschile azzurro chiaro con ampli ramage celesti di un tale che a un certo punto è uscito in modo composto e teatrale (tipo madre nobile) seguito solo dopo un po' da un altro in maglietta rosa intenso.
Gli amuse bouche sono stati presentati, ma ricordo solo - scrivo dopo parecchi giorni, direi più di un mese - che c'erano due palline di merluzzo colorate col nero di seppia.
Poi un bicchiere con vellutata crema di melone, fresche palline di cocomero, spuma alla menta: squisito. Un quadratino di pane soffiato che faceva subito crak rompendosi come vetro, un po' di chevre.
Poi delle escargot con emulsione di champignon e gocce di coulis di prezzemolo e rape rosse, dentro una fascia di spaghetti che fungeva da nido. Mi soffermo su quest'ultima: non amo l'uso francese di proporre la pasta con sugosi secondi, come si farebbe con la polenta. Ma questi spaghetti mi hanno sorpreso. Erano uno sull'altro come fossero un nastro in piedi. Appena li ho toccati si sono sciolti mostrando la loro verve di pasta flessibile. Quanto alle escargot con la loro veste spumosa, ottime.
Nunchesto ha preso l'agnello - squisitamente cotto - con verdure: peperone, patate, carciofi (e quelle 'macchie rosse' che hanno sconvolto il ritmo del servizio). I piccolissimi carciofi sono stati oggetto di uno strano rituale da parte di un signore che aveva fatto la medesima ordinazione, che li ha confusi con delle ciliegie. Infatti se li è ficcati in bocca prendendoli per il gambo, ne ha strappato la testa con i denti e ha deposto il gambo sul piatto. Non smetterò mai di temere quante bizzarrie si possano fare con il cibo, e mi chiedo come facciano gli osti a sopportarle.
Qui è arrivata l'homard in più, con spuma di patate, tartufo bianco e crostini ridotti a dadolini. Squisita anch'essa. La boule era bella grossa, ma per fortuna il piatto era lievissimo grazie alla spuma di patate (mi preoccupavo di arrivare fino in fondo sentendo quel che mettevo in bocca).
Infine abbiamo assaggiato i formaggi; il carrello non ha deluso. Ovvio, si direbbe, ma non è poi così scontato - e nella scelta spiccavano più tipi del genere epoisse. Accompagnamento di pain d'épices (siamo in Borgogna o no?) e pane con l'uvetta.
Infine ho scelto un dolce ed è arrivata una leggerissima boule di meringa che aprendosi ha rivelato un cremoso interno di pesca. Buona come sembra. Nunchesto ha chiesto il cioccolato in tutte le sue metamorfosi (per dire, quel cilindro in piedi è un velo di cioccolato duro con dentro una crema molto fluida di cioccolato).
No ricordo cosa ci fosse in quel bicchierino, e con il caffè sono arrivate le madeleine, squisite.
Notate le caramelline. Sono di morbido caramello al burro salato, una squisitezza che in Borgogna ti viene offerta sovente, e che poi ho ritrovato anche in Bretagna da Roellinger. Il caramello al burro salato esige di essere appreso nella sua fattura.
Chassagne Montrachet come vino, non chiedetemi di più.
Piccola nota sulle foto. All'inizio non le ho fatte per capire i costumi locali (e non ho fotografato il menu, per cui ora la memoria non ha quell'aiuto) ma poi ho visto che si fotografava a destra e manca: un signore in estasi davanti al suo dolce perfino con il flash, e una giapponese dietro di me coscenziosamente tutto. Non avevano neppure la faccia da blogger, erano clienti che fotografano così come si fotografa ogni cosa, nell'illusione di catturare le emozioni e il tempo. E nessuno si sognava di bacchettarli sulle dita, perfino a quello con il flash, che faceva pure gridolini, era lasciata la discrezione di accorgersi quando poteva esagerare.
A Lameloise è chiara la filosofia "non rompiamo le scatole con lo chef, questo è prima di tutto un ristorante, ovvero un ambiente da valutare nel suo complesso". Quindi il nome dello chef non è esibito. Qui su, il signor Jaques Lameloise e il suo compare in cucina, Eric Pras.
La locanda esiste dal 1921, siamo nella campagna borgognona, nel villaggio di Chagny, la prima stella è del 1925, la seconda del 1931, quello che ne conquista tre nel 1979 è Jaques, adesso affiancato da Pras. J. Lameloise presenta così la loro storia sul sito dei Relais e Chateaux.
Lameloise.
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4 commenti:
Posso svenire subito?
isolina, ti seguo a ruota.
fame?
Penso che mi piacerebbe moltissimo a cominciare dal nuovo colore. Delle cene francesi si ricorda un susseguirsi di piccole meraviglie fatte di niente, ma che lasciano una sorpresa di felicità. Il che fa molto Brillat-Savarin. Il volteggiare a volte potrebbe sembrare eccessivo, ma i Francesi hanno un riserbo fascinoso che soccorre anche in questi eccessi.
Sulla pasta ti dò ragione: odio quest’abitudine peraltro diffusa in tutto il nord Europa come oltreatlantico. Per loro pasta o patate lesse, sempre accompagnamento al secondo è. Tanto se non te la servono scotta.
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