venerdì 30 luglio 2010

EBRIDI ESTERNE. LEWIS. GEARRANNAN BLACK HOUSE VILLAGE.



















Dopo il broch, proseguendo verso nord, un intero, piccolo villaggio di black houses. Abbandonato all’inizio degli anni ’70 del novecento, alla fine dello stesso secolo diventa, restaurato e svuotato, un museo e altro.

Una sola casa è restata “com’era”. Tre stanze, due per soli umani, una per umani e animali. Mucche. Mentre le pecore e i maiali avevano una dependance per loro. Insieme alle mucche si tesseva, con un “moderno” telaio pieno di ingranaggi. C’era anche un generatore (mi pare di aver capito).
Le due stanze per soli umani sono separate da quella condivisa con le mucche da un piccolo fresco vano, (in inverno invero assai fresco) aperto sull’esterno – infatti è lì l’ingresso alla casa – dove si conservava il latte e in un piccolo catino – brrrr- ci si lavava. Una delle stanze solo umane è con camino (e già, non c’erano le mucche), tavolo, credenza e letto matrimoniale; l’altra pure con camino e due letti-armadio. Nessuna traccia di wc.

Il resto delle case è caffeteria, self catering houses, ostello. Il villaggio è appoggiato, obliquamente, al mare, a una baia. Si immaginano le onde, se irate, arrivare alla porta di casa. Pare fosse abitato da un’unica, grande famiglia allargata. Nel “museo”, foto, ricordi, piccoli oggetti. Molti fantasmi e qualche stretta al cuore.

Perché sono finite le black houses? Più a nord se ne conserva una più “antica”, senza tutte queste migliorie anni ’70 come il generatore o il rivestimento di legno alle pareti e - soprattutto - il camino invece che il fuoco a terra, centrale, con il fumo che filtrava dall'intero tetto di paglia. Anche quella metà per gli umani, metà per gli animali. Abbandonata dalla vecchia proprietaria, recalcitrante e non di sua volontà, negli anni ’60 e solo quando il governo le ha promesso che le costruiva una withe house (così si chiamano le case nuove) con una metà per i suoi animali.

Il governo? Recalcitrante? Ma perché? Haimé, quando si è poveri, senza potere, si è spesso vittime di “progetti” e di “interventi”. Se entra in campo l’igiene, poi, siamo perduti. Questo agli abitanti delle Ebridi è capitato spesso. Prima o poi, in queste note, dovrò parlar male dei lord inglesi. Che non parlavano gaelico. Quanto al prence Charles, l’attuale, è stato fotografato a cavar patate con uno del posto, e viene detto grande amante della cultura gaelica.

Dalle foto di Nunchesto si vede molto bene come il tetto di paglia sfidasse le nordiche tempeste atlantiche poiché trattenuto saldamente in capo alla casa da una salda rete da pesca tenuta giù da grandi sassi. Il tetto andava rifatto ogni anno e all'opera collaborava tutto il villaggio. Appena cessa la manutenzione del tetto, la casa inizia rapidamente a rovinare. E' per ciò che molti sono i ruderi in avanzato stato di disfacimento, anche se l'esempio del restauro di Gearrannan viene seguito da alcuni che affittano poi la black house, restaurata e mutata all'interno da un confort "moderno", ai turisti. Si vede bene anche il grande spessore delle mura, al vertice delle quali cresce un praticello di verde erbetta. Sono mura a secco, doppie, con un vano in mezzo riempito di torba. La pianta della casa è sempre allungata; quando veniva ampliata, una nuova stuttura, del tutto analoga, veniva affiancata alla prima.

Il sito del villaggio.

Foto di Nunchesto.

5 commenti:

acquaviva ha detto...

Mi incuriosiscono i pavimenti. Dalla foto non capisco se coperti dall'onnipresente moquette inglese o lasciati al loro materiale d'origine. Che era... cosa?

papavero di campo ha detto...

i trulli del nord
condanna alle spire del
vento gaelico

artemisia comina ha detto...

moquette, mi pare di ricordare e intravvedere.

pap, non ho mai messo piede in un trullo. lì il tetto di pietra deve cambiare parecchio la situazione. certo il vento gaelico si confronta meglio con una bella montagna di paglia imbrigliata e con dei doppi muri imbottiti di torba. qui impressionava la vicinanza a un oceano molto vispo.

dede leoncedis ha detto...

Paesaggi antropizzati affascinanti e meravigliosi che però vanno guardati con l'occhio dell'antropologo, senza mal riposte nostalgie per una realtà che ha esaurito la sua ragion d'essere. Sono magnifici musei da mantenere e preservare, e forse qualcuno di questi insediamenti in giro per il mondo potrà ancora andare avanti per inerzia fino alla morte degli ultimi abitanti.
Mi chiedo sovente se riconvertirli in luoghi per il turismo sia un'operazione culturalmente meritoria o meno, e di solito non mi riesce di rispondere. Non ho ancora capito se, a parte il vantaggio economico per l'investitore, ci sia davvero senso nel tenere in piedi dei simulacri che non hanno più nulla in comune con l'edificio originario e che per questo finiscono per comprometterne anche la comprensione. Il problema é spinoso e forse una soluzione non c'è.

artemisia comina ha detto...

dede, sei estremamente sollecitante. ti rimando a questo link entro AAA castello di Grignan

penso che sia impossibile fermare il tempo; ma anche che si possa non ridurlo a un presente limpido, coerente, senza stratificazioni, "moderno". per me questi sassi sono stati di grande suggestione immaginativa.

PS: mi piace l'edifico che sa mutare col tempo. non solo nell'uso, ma anche nei materiali che sanno invecchiare, trasformarsi.

PPS: si avverte ancora - io ho avvertito - la violenza di chi con in mente un Progetto ha spazzato via le black houses senza lasciarle evolvere con più continuità e morbidezza, direi con più rispetto della cultura locale.

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