venerdì 5 dicembre 2008

ROMA. SALA DA TE’. BABINGTON.













Da sempre lì. Di quando in quando, ci sono andata, negli anni. Tempo fa abbastanza di frequente, tanto da cominciare ad essere riconosciuta dalle care sacrestane che servono ai tavoli; a quel punto ci spaventammo, Nunchesto ed io, e smettemmo di andarci. Non eravamo in grado, per una quantità di motivi, di diventare degli habitué.

Poche storie, il tè è pessimo. Buttate in acqua senza variazioni di temperatura tra un tè e l’altro e ad libitum, le disgraziate foglioline non possono far altro che liberare tannini e l’acqua calda aggiunta non potrà contrastare l’amaro che avanza. Intendo dire che le ho provate tutte, e non sono mai riuscita ad andare oltre la prima tazza. Del resto ve lo ricorderete ciò che dice Agata: una bella tazza di tè nero, forte e bollente. E questo è quanto. Se avete altri capricci, ve li tenete.

L’ambiente è suggestivo e conservato nel suo stile ottocentesco, d’inverno c’è perfino un prezioso camino acceso, le finestre danno su piazza di Spagna e le sale vi danno protetto ricovero dalla sua confusione. Le museali sedie sono tuttavia infernalmente scomode e ti si conficcano nelle scapole, i sottili cuscini non ti proteggono dai duri sedili, le ginocchia battono contro i tavoli che hanno un comodo doppio piano, che permette di riporre oggetti, ma che contrasta ogni desiderio di accavallamento di gambe.

Allora, perché ci sono tornata tante volte e ancora ci ho trascinato Nunchesto sabato scorso?

Perché le sacrestane mi piacciono, per esempio. Alcune sono lì da anni, con quell’aria da tata cattivissima ma propensa a viziare i suoi cocchi; ed infatti possono trattarti bruscamente come pure cedere a improvvise complicità che evocano confidenza. La mezza età, una certa stazza si addicono al loro stile, come pure la crocchia, e se qualche giovinetta si mescola alle veterane si resta stupiti dal vedere che per quanto rosea certamente diverrà come loro, e già oggi ogni femminilità esibita è vietata dallo stile della casa.

I muffin sono buoni, anzi per me buonissimi. Soffici, burrosi, sia l’integrale servito senza nulla se non il burro appunto, sia quello di farina bianca con prosciutto e formaggio. Ne mangerei quantità, ci andrei apposta. Gli scones invece non sia mai; vero è che li ordinai solo una volta, ma giunsero come non dovrebbero comparire mai, non freschissimi, quindi adatti a essere lanciati nell’occhio di un nemico.

E poi mi piace la cucina angloindiana, quelle invenzioni di curry e spezie adattate alle cucine vittoriane, ai servizi di porcellana con le rose.

Questa volta ho ordinato un certo cosiddetto Canarino, che mette due uova in camicia su un letto di riso pilaf e una coltre di formaggio fuso. Nunchesto invece ha ordinato un Negrino, ovvero un beefburgher su pilaf croccante, cipolle soffritte e strato di formaggio fuso e grigliato. Che dire di questi piatti? Che l’idea mi piace, queste mollezze calde in cui la forchetta affonda cremosamente mi seducono. Temo però che una fisima dopo l’altra, gli avventori di Babington debbono aver minacciato la saporosità di queste preparazioni, appiattendole nel gusto mentre le privavano di ogni supposta pericolosità. Tanto per dire, la nostra sacrestana ha chiesto compunta, con il tono di chi chiede di prendere una decisione capitale di cui poi si terrà ogni debito conto: “Con cipolle?” (come avesse detto: ci metto la bomba?). Grazie a dio Nunchesto a detto un sì del tipo “ci mancherebbe altro”, ma chissà quanti gridano no.

Nei tavoli accanto al nostro (un po’ troppo vicini, in verità) si sentiva: curry poco piccante anzi non ce lo metta, mi raccomando niente soffritto, l’insalata senza uovo eccetera.

E’ vero, da Babington ci va anche una certa Roma bene con aria papalina, e se proprio non la si sopporta bisogna astenersi, ma è anche divertente; a un certo punto una sacrestana ha gridato all’altra, da un capo all’altro della sala: “E X dove la mettiamo?”. Alludendo al successivo arrivo di una importante dama romana che infatti di lì a poco è apparsa con tutta la debita aria di importanza, e lo ammetto, anche con una certa eleganza che mi è piaciuto ammirare (una volta tanto, visto che è moglie di un noto architetto). Notate lo stile: qui da Babington il privilegio, se c’è, è dato non dal fatto che potete accedere a una formalità tutto sommato democratica, ma dell’essere ammessi in questa sorta di cucina di casa, o se volete di Casa. È per questo che le sacrestane sono essenziali.

Insomma, chi lo sa se ci tornerò…boh, infine mi sa di sì, come faccio da tanti anni. Di nuovo c’è che mi è venuta voglia di farmeli da me, questi piatti morbidi e cremosi, finalmente speziati come mi pare.

E poi mi sono comperata un bel librettino, Dolci, Sandwiches…e Tè. Le ricette di Miss Babington che non mi pare per nulla male. Per dirvene una, c’è una Orange Spread che mi sembra tanto simpatica: del formaggio fresco viene mescolato con succo, buccia d’arancia e zucchero e spalmato su pane tostato.

Dimenticavo: la cosa che mi piace forse di più è la porta, con i suoi vetri colorati.

Babington
piazza di Spagna 23

Girovangando sul web alla ricerca di commenti su Babington, ho trovato questo, di Acilia.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Che dire, noto che anche a distanza di tempo le cose non sono granché cambiate. Quando ne ho scritto una recensione nel mio blog, nell'aprile 2007, lo stato di conoscenza, preparazione e servizio del tè non era migliore purtroppo.
Tempo dopo fui contattata per email direttamente dalla proprietaria, che si disse molto dispiaciuta per le mie impressioni; stando però a quanto apprendo dal tuo post non ha fatto tesoro dei consigli e delle critiche.
Pazienza. Se i muffin sono buoni e la cucina angloindiana stuzzica il palato dei clienti, potrebbe valutare la possibilità di trasformare il locale in un ristorante. Le vere sale da tè, a mio parere, sono altra cosa.

artemisia comina ha detto...

ben venuta Acilia; ho messo un link al tuo blog, così si capisce meglio.

penso tuttavia che Babington faccia bene a non cambiare nulla, essendo diventato una sorta di istituzione romana; mi sa che il tè per ora a Roma è meglio farselo a casa, non è il territorio adatto per questa bevanda :)

(ho visto con imbarazzo che adesso digitando babington-roma su google dopo il sito di Babington c'è subito AAA; speriamo che vada un po' più giù, mi sento sgarbata a fare un commento ironico così in evidenza)

papavero di campo ha detto...

bel commento!
e pure l'ambivalenza è comprensibile perchè babington è un'istituzione come il caffè greco e rosati dove conta il rito più che la bontà assoluta dei trattamenti,
quando ci andavo qualche volta da studentessa la cioccolata in tazza non era un granché, vi aleggiava fissa quell'aria snob ed era troppo caro! cose per lo più non gradevoli,il luogo e gli arredi però attraenti considerando poi che locali chiccosi a roma non abbondano! allora, ricordo, che preferivo ripiegare sulla pasticceria D'Angelo in via della croce, bigné alla crema al sapore di banana!

a.o. ha detto...

Utile questo post su Babington. Dispiaciuta perché sarebbe stato davvero bello avere una sala da tè, come si deve, qui a Roma. Tante volte mi sono trovata di passaggio, buttando non scialantiche sbirciatine dalle finestre e chiedendomi entro o non entro?
Non sono mai entrata, perché qualcosa - forse come dice Acilia quell'aria curata ma un po' troppo impersonale - non mi ha convinto: sensazioni... a cui spesso mi affido nella scelta di un posto. Perciò devo ammettere che, delusione a parte, il tuo commento va a solleticare e compiacere il presuntuoso concetto del "me lo sentivo".

Cuoche dell'altro mondo ha detto...

Chissà perchè, ma in tutti i miei anni romani non ci sono mai entrata. Sono sempre rimasta fuori a immaginarmela questa "magica sala da thè". Peccato per il tè, ma credo che dopo questo tuo post ci entrerò lo stesso un giorno ... e poi voglio vedere quella porta

Buon WE
Alex

Elena Bruno ha detto...

Non vedo l'ora di "sfogliare" con te il nuovo libricino ... chissà cosa ci proporrai. Per curiosità mi piacere fare un giro, in questo momento sono decisamente solleticata dal profumo del curry (piccante!). Baci

artemisia comina ha detto...

@ alex, secondo me, con tutte le sue imperfezioni, vale la pena di andarci :)

@ twostella, ho una certa voglia di fare almeno un piatto angloindiano tutto profumato di curry.

artemisia comina ha detto...

@ aiuola, vai a mangiarti un muffin ;)

@ papavero, vedo che tu alla curiosità non hai resistito :DDD (mica pap sbircia, pap entra).

Anonimo ha detto...

Che cosa curiosa... sai che invece io adoro il tè di Babington? Il sapore aromatico e vagamente fruttato del "Notturno africano" o la fresca leggerezza di un mate caldissimo.
Si, lo adoro e non cambierei niente di tutta la sala.
E sai quale è la cosa che adoro di più lì dentro?
Il silenzio.
Oggi non riusciamo più ad apprezzarne il valore.
ma quando entri lì dentro, con la testa piena delle grida e degli strepiti di Piazza di Spagna, quel posto è un oasi dalla quale non torneresti mai indietro.
E anche se sembri così grande e goffa in un posto così minuto e composto, basta chiudere gli occhi per un attimo e tutto va nel posto giusto.
A me succede così.
Per questo amo Babington e i suoi muffin burrosi, i toast croccanti, le uova sormontate da formaggio fuso e il riso speziato.
Mi piace esattamente così come è.

Anna

artemisia comina ha detto...

gantile Anna, capisco; soprattutto quella nota sul silenzio, verissima.

del resto, chiuso un occhio (il mio occhio, beninteso) sul tè, non si può dire che non lo apprezzi :)

pulsatilla ha detto...

dopo questa tua recensione alla prima occasione di passaggio a Roma son andata da Babingtons e ... meraviglia! fuori il vociare del mezzogiorno i colori la vita e dentro? il silenzio compunto e la semi oscurità. Ho adorato questo luogo scomodo, son entrata con tosse e mal di gola e son uscita risanata e commossa da una Mulligatawny soup in cui non si era lesinato con il curry.

Non è che tu trovi una buona ricetta per la Mulligatawny? le più disparate si trovano on-line, con manzo oppure no, pollo, o piuttosto carote e io non so decidermi quale provare.

artemisia comina ha detto...

pulsatilla (a proposito, ben venuta) la Mulligatawny soup è una della mie mete, come più in generale la cucina angloindiana; qualcosa succederà su questo blog, circa. ho un libro di una dama inglese dell'inzio del novecento, sorta di bibbia, che profonde ricette. vedrermo, spereremo, assaggeremo.

mi fa piacere che tu abbia apprezzato l'ombroso, silente, rituale ricovero.

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