venerdì 18 gennaio 2008

Tiepolo. Il banchetto di Cleopatra. Ingoiare dissipando.


Tra tardo rinascimento ed età barocca si apre una delle poche epoche che abbia rappresentato esplicitamente l'imbarazzante atto del mangiare. Attribuendolo tuttavia a persone di "basso rango", popolani, poveri.

Mettendolo in scena come un divorare inebetente nel caso dei popolani di Vincenzo Campi, che ingurgitano ricotta in preda a una sorta di ebrezza scervellata, o come per l'uomo di Luca Giordano che si ingozza di lattarini fritti con gli occhi offuscati dal delirio dell'abbuffarsi.

Quanto ai poveri di La Tour, mangiano afflitti, aggiogati al destino della necessità di nutrirsi e sotto l'urgenza di farlo quando si può.

Trasgredisce la retorica della bestialità o della necessità il bel tipo di Annibale Carracci, che mangia di gusto i suoi fagioli mentre gli occhi intelligenti e vispi si volgono allo spettatore interrogativamente, come uno che mentre mangia in pace sia stato sorpreso da un paparazzo.

Giordano, Carracci, Campi li trovate in Divorare.




Un pittore che barocco non è ma che del barocco aveva prolifica nostalgia, Tiepolo, fu sedotto da un banchetto di ricchi e ci rappresentò come quelli avrebbero pasteggiato. Qui non si divora ma si dissipa scostumatamente. E per dissipare si ingoia l'incommestibile, si manda giù danaro come fosse una purga. La storia è raccontata da Plinio, che non doveva pensare bene della coppia. Comunque, è nota: Cleopatra in conflitto seduttivo e competitivo con Antonio nel corso di un banchetto in cui già stava ostendando ingentissime spese, dissolve una delle assai preziose perle che aveva all'orecchio nell'aceto e manda giù il beverone. Quando sta per fare la stessa cosa con l'altra, Antonio imprevedibilmente sensato la ferma. Quando si mangia denaro si evacua già nel momento in cui si ingoia.

Cleopatra è fredda come una gelida assassina, Antonio ingrugnato come una bella scimmia senza sguardo. Non c'è ironia né divertimento.

Il primo dipinto è ora a Melbourne. Segue l'affresco di palazzo Labia, dove Tiepolo torna sul tema sempre senza sorriso alcuno, e che potete vedere a Venezia. Immagini da wikipedia.


Quando Marchesi distese una foglia d'oro sul risotto seguì una tradizione, meno scema dell'atto di Cleopatra per altro, poiché almeno l'oro non solo spaventa (e lo spavento lo potete considerare come una spezia) ma anche luccica e seduce lo sguardo. Lo si ritrova in alcuni piatti Mogul, che riprendevano la ricca tradizione persiana, forse la prima cucina di corte ad influenzare le successive e le nostre.

Viene alla mente che anche i Magi - personaggi di estremo fascino - venivano dalla Persia, portando l'omaggio di quell'antico mondo al nuovo che si inaugurava con il Bambino, e che i loro doni includevano l'oro. Ci siamo chiesti tutti cosa mai ci fece la Santa Famiglia col prezioso metallo, visto che già all'epoca della fuga in Egitto erano di nuovo poveri in canna. Forse la pastina peperina del Bambinello fu mescolata con granelli d'oro.

3 commenti:

la belle auberge ha detto...

artemisia, ma sei sicura che il buon uomo del dipinto di A. Carracci stesse mangiando pasta e fagioli? A me sembrano solo fagioli con l'occhio, accompagnati da qualche cipollotto, un po' di pane e un calice di vino. Piuttosto, non ho mai capito cosa ci sia nel piatto in primo piano.
una pizza di scarole?
Il dipinto è impresso sulla copertina del Talismano della Felicità, di Ada Boni, e ce l'ho spesso sotto gli occhi.
eu

artemisia comina ha detto...

d'accordo sui fagioli senza pasta; e anche sulla scarola. Anch'io ho pensato le stessa cosa quando ho meditato su quella pizza.

papavero di campo ha detto...

l'oro nel piatto vuole abbagliare (sedurre al massimo) ma pure intimidire, forse umiliare perché ad una siffatta ostentazione con che cosa puoi restituire? con l'argento?! non basta, ci vogliono le perle forse!!

ps: il risotto del Marchesi mi ha sempre incuriosito circa la commestibilità dell'oro
del resto oro=bocca!!

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