lunedì 28 maggio 2007

VENEZIA. LA CANTINA









































Le peggio lavate le ho prese a Venezia. Se per caso vien giù una pioggia che scroscia e non avete l’ombrello, e qualche volta anche quando lo avete, vi bagnerete fino all’anima. Perché molto spesso non ci sono porte aperte o androni, né ricoveri; perché il vento può tirare da sotto in su, e a volte attorciglia gli ombrelli e li lancia verso le nubi.

Era dalla mattina che covava un certo non so che di ampia macchia grigia dentro il luminoso cielo, anzi dal giorno prima. La sera precedente aveva avuto veloci, silenziosi lampi azzurro verdi nel buio dell’orizzonte. Qualcuno aveva detto che sulle montagne pioveva. E’ uno dei fascini della città, il clima critico. Un giorno può essere diverso dall’altro, dalla calma azzurra di ieri alle trombe d’aria di oggi, che rovesciano angeli a capofitto giù dai campanili.

Insomma, eravamo usciti senza ombrello, per andare incontro a Cucurbita e Imothep, e per conoscere finalmente in carne ed ossa Caponcina Altrotempica e Picauzzo suo. Tutti davanti al Teatro Italia, già tra umidi grigiori incombenti e raffiche foriere di sgrullate, per andare poi insieme a prendere un aperitivo alla Cantina.

Sono le sette di sera; la Cantina è già piena di avventori ai tavoli e al banco. Francesco è all’opera dietro il banco dell’affettatrice, un’affettatrice monumentale e rotante, rilucente di bagliori rossi e acciaio, da cui escono piccole soavi fette di tutto un po’, fresche e perfette. Davanti a lui ciotoline con foglie di questo e di quello, boccette di olii e aceti e balsami, un fornelletto dove l’ho visto cuocere lesto uova di quaglia, stipi con pesci riposti. Rapido assemblando fa perfetti panini.

Riusciamo a mercanteggiare una seduta a un tavolone imprevedibilmente vuoto in mezzo al bailamme, promettendo che alle otto e mezza andremo via. Fuori cominciano scrosci di pioggia e aperture di ombrelli; dalla porta aperta arriva il profumo dell’acqua; niente rende così felici di un riparo.
Una giovane madama con grembiule ci chiede: panini con formaggi, con salumi, con pesce? E’ l’apriti sesamo al quale bisogna rispondere. Dopo un certo ondeggiare, si chiede il pesce. Che vino? Cucurbita prende la guida: Soave! Arriva una pioggia di bicchieri e una sfilza di squisiti doppi panini: con gamberi crudi e asparagi selvatici – apprezzo la freschezza profumata e molle del gambero a contrasto con il crostino e gli asparagi croccanti – e tartare di salmone con olivella sapida.

La compagnia chiacchiera e si capisce che potrebbe tornare a chiacchierare volentieri. Ci lasciamo con la prospettiva di una cena insieme, in una futura serata veneziana. Mi baluginano alla mente i panini croccanti della Caponcina, i biscotti speziati di Cucurbita, che sembrano così semplici e so che non saprò mai rifare. Quando usciamo nella pioggia, dalle borse di Capona e Picauzzo escono come per incanto mantelle e cappucci, e in un batter d’occhio si vestono da elfi: come per incanto viene alla luce il loro spirito montano e boschivo.


La Cantina
Cannaregio
Campo S. Felice 3689
tel. 0415228258

Dove sta La Cantina? Guardate questa mappa di Venezia.

2 commenti:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
artemisia comina ha detto...

il precedente commento è stato eliminato perchè più che critico verso persone di cui si conosce nome, cognome e indirizzo, è stato scorrettamente proposto in forma del tutto anonima.

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