giovedì 11 agosto 2016

Salmì di piccioni selvatici, o starne


Mentuccia la campagnola consulta gli appunti di Aida, la madre.

La ricetta è tra quelle scritte in minuta bella grafia e buona retorica su un quaderno anni Trenta che come una rosa sfiorita ha la copertina staccata e va perdendo fogli; dopo le prime pagine scritte e un certo intento di indice, compariranno pagine bianche e gli appunti passeranno su improvvisati foglietti volanti, virando verso ricette anni Cinquanta e Sessanta (i Quaranta furono pasta, ceci e guerra). Questa ricetta è ancora più vecchia, sarà inizio del secolo; la famiglia di Giovanni, marito di Aida e padre di Mentuccia, aveva una torre per i piccioni e questa è una ricetta di piccioni; la torre aveva ancora piccioni prima della guerra.

In fondo al giardino della casa di campagna c'è una casetta di pietra a due piani che va disfacendosi sotto verzure inselvatichite; la chiamiamo Villa Ghiro, poiché si dice ve ne abiti uno; accanto c'è un pozzo, una cisterna da cui ancora si prende acqua per innaffiare (quando raramente si innaffia) e quel che resta di un pollaio che ricordo un tempo vivamente abitato, sempre in lotta con il bambù dai ghiotti germogli; ricordo anche vellutate ghirlande di iris viola e bianchi con cui bambina mi guardavo negli occhi, e ci sono ancora allori molto prolifici, sui più adulti dei quali si poteva andare a stare, e qualche resto di una piccola pergola con un'uva che si favoleggiava ottima. Ma i topi che già nell'infanzia di allora abitavano la casetta, in cui erano accatastati oscuri oggetti, pezzi di casa, dimenticati attrezzi ricordo dell'attività agricola di un tempo che fu, erano sempre assai più lesti degli umani, e l'uva restava favolosa e incognita.
Se da lì alzavi lo sguardo, vedevi la torre dei piccioni; la casa sta in un luogo che si chiama Portella, poiché è sul terzo giro di mura del grande castello diruto che incorona il colle; la torre è sul secondo, dentro è costellata di nicchie, ricordo degli antichi abitanti. Da bambina mi attraeva moltissimo e volevo andare a abitarvi - pensavo si vedesse ancor meglio la valle, come se si volasse veramente, e che tutte quelle nicchie mi avrebbero fatto riporre in bellezza proprio ogni cosa;  raccoglievo i miei averi per trasferirmi quando fui denunciata da Angeliglio (che nome, che bellezza: un angeletto; eravamo molto amici, ma mi fece questo; lo perdonai abbastanza) a cui avevo chiesto in prestito l'asino per il trasporto; fui bloccata (anche il pollaio mi piaceva moltissimo, anche la casa del sorcio, quello dell'uva; volevo andare ad abitare in ognuno di questi posti, ma sono rimasti tutti sogni). Oggi ci regala bellezza autunnale un'ospite inattesa, la scilla marittima.
  
Traduzione di Mentuccia

In un tegame, molti odori tritati, poco di ognuno (cipolla, aglio, gambi di prezzemolo, carote, alloro, salvia, rosmarino, maggiorana e altro che passi di lì) con poco olio d'oliva.

In un altro, rosolare i piccioni prima massaggiati con olio d'oliva e sale, a fuoco vivo.

Unire i piccioni agli odori.

Bagnarli con due dita di aceto e mezzo bicchiere di vino.

Coprire e cuocere dolcemente per un'ora aggiungendo acqua se occorre.

Togliere i piccioni e tenerli in caldo; staccare il fondo con un po' di acqua, passarlo allo chinois.

Pesto: due acciughe, un pezzetto d'aglio, un dito di aceto buono.

Riunire salsa, pesto, piccioni in casserula e scaldare senza far bollire.

Servire spolverati di prezzemolo.

La ricetta alla lettera

Spezzate e mettete in casseruola con poco olio, sale, pepe e molti odori: cipolla, aglio, prezzemolo, sedano, carote gialle, alloro, salvia, rosmarino, maggiorana e chi più me ha più ne metta, ma basta un pizzico per specie. Fate cuocere i piccioni a fuoco vivo e quando saranno ben rosolati bagnateli con due dita di aceto, diluite con mezzo bicchiere di vino. Coprite la casseruola e lasciate cuocere dolcemente, aggiungendo, se occorre un po' d'acqua. Dopo circa un'ora, levate i piccioni, staccate con un po' d'acqua il fondo della cottura e passatelo da un setaccio. Rimettete questo sugo nella casseruola e unitevi una salsetta fatta pestando nel mortaio una o due acciughe lavate e spinate, e un pezzetto d'aglio, sciolto con un dito di buon aceto. Mettete i piccioni di nuovo nella cesseruola, riscaldateli bene senza far bollire e versate in un piatto guarnendo con una cucchiaiata di prezzemolo trito.














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