domenica 24 gennaio 2010

SIRIA. PALMIRA. TEMPIO DEL SOLE.






























































I profondi fori nelle pareti da cui sono state strappate le placche metalliche, i capitelli delle colonne una volta corinzie oggi lisci perché le foglie di bronzo dorato non ci sono più, ricordano che nel primo, secondo secolo dopo Cristo il tempio risplendeva "come un faro nel deserto", come ci dice con gli occhi che rilucono Ayam, la guida.

Questi rimebrati lucori ci dicono pure che il gigante di pietra rosarancio, che comunque morbidamente risplende al tramonto come un ciambellone appena sfornato, è romano, è ellenistico, ma anche siriano e orientale. Questo ci suggeriscono anche dei merli a scaletta di tipo assiro e l'immenso portale fuori asse collocato su uno dei lati lunghi, a sottolineare con il suo spostamento l'importanza di una delle due nicchie - altra anomalia orientale - che si affrontano dentro la grandissima cella, quella che conteneva le triade divina di Bel, Yarhibol e Aglibol. Bel o Baal, dio semitico, composito come tutti gli dei ed evocante popoli e divinità varie, ma comunque massimo nemico del vicino Javè, tanto da diventare Belzebù.

Il soffitto dei nicchioni è profondamente macchiato della neritudine di vecchi fumi, ricordando come queste mura siano state nei secoli irresistibile richiamo e ricovero di molti a vario titolo, e come dentro le mura del tempio si siano rifugiate e ammucchiate e consolate fitte casette della popolazione locale fino allo sfratto avvenuto negli anni trenta del secolo passato.

Altre tracce si sovrappongono: nella cella un segno e un fitto intrecciarsi di caratteri arabi, belli come sempre, indicano dove era il mirab di una moschea dell'VIII secolo, mentre una pallidissima faccia, un occhio, un gruppo di pieghe dipinte su una parete parlano di un uso cristiano; il resto di una torre costruita sul perimetro esterno con colonne affettate testimonia di un tardo uso militare, nel XII secolo.

Un crudele passaggio, un basso arco indicano dove frotte di innumerevoli animali venivano condotti al sacrificio: un foro nel pavimento che ha sotto un vano vuoto dice come venisse raccolto il loro sangue; per fortuna qui si ignorava l'olocausto, la completa carbonizzazione dell'animale propria della cultura ebraica, e c'era una sala per banchetti dove i sacrificati venivano mangiati. Il tetto era piatto e accessibile, altro uso orientale, per compiervi, in massima vicinanza del cielo, rituali. Qualcuno ha detto che l'uso dei merli assiri sottolinea come si volesse infrangere la netta separazione tra terra e cielo, introducendo un segno che graficamente la frantumasse. Vengono alla mente i cappelli a clilindro dei sarcerdoti palmireni, le loro braghe drappeggiate, le passamanerie, i ricami che orlavano le loro toghe.

Frutta e pampini, giri e girali, cassettoni e ruote stellate, architravi, colonne furono disegnati nel corso della cosidetta spedizione Wood, quando tre inglesi e un italiano, o per meglio dire un piemontese arrivarono qui dopo anni di lontananze da questi luoghi dall'occidente; il mondo antico faceva ancora una volta irruzione nel moderno, l'Inghilterra del XVIII lo adottò, lo tradusse, se ne ornò.

2 commenti:

equipaje ha detto...

Ultimamente colta da asociale mutangheria voglio almeno segnalare che mi sto leggendo della Siria, e del Krac, e di Hester, e soprattutto di Palmira -luoghi dove ho girovagato una dozzina di anni fa, amandoli moltissimo- parola per parola e con grandissimi cenni di assenso del capino. Hai il grandissimo dono di saper raccontare, Artemisia. E la visione del Tempio del Sole come "ciambellone appena sfornato", devo dire, mi apre nuovi e sino ad ora del tutto inesplorati orizzonti :)
Bisous *

artemisia comina ha detto...

cara equipaje, eh no, e me lo devi far sapere che ci sei, che quando mi perdo dentro queste fisime archeoviaggianti corro sempre il rischio di sentirmi di nuovo una bambina che lavorava di fantasia senza amichette.

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