martedì 15 luglio 2008

Patate ripiene di Maria

 
Da Mentuccia Fibrena.

Un giorno Maria, che parla solo in un dialetto stretto di tipo antico, tant’è che non tutti, anche quasi locali come Artemisia, la capiscono al volo, mi ha detto – traduco – che mi faceva una sorpresa, una cosa buona. Dopo un po’ si è presentata, sorrisetto trattenuto agli angoli della bocca, con un piatto di patate ripiene, delle piccole patate rotonde scavate e riempite di carne, profumate di rosmarino. Maria ha due cucine; tutte e due più che essenziali, ma una è molto grande, luminosa, con un gran camino, dà su un giardino, l'altra è piccola e nera, un antro di strega; quando penso a Maria, la penso lì, credo che quello lo sentisse un posto suo. In realtà quest'altra cucina si chiama Forno, poichè quella era la sua funzione: ci sono due forni, uno ancora funzionante, ricordo ancora quando ci si faceva il pane; una volta nel forno c'era anche un pozzo; prima ancora, c'era un vicolo, e una piccola casa; infatti a guardar bene, la parete dei due forni è una facciata, ci sono ancora una porticina con una scaletta che non porta più da nessuna parte e una finestrella. Insomma, la nostra casa nel tempo si allargò,  mangiò un vicoletto e una casuccia. Ecco Maria ai suoi 83 anni, e la sua cucina nera. Le ho fatte, tali patate, e rifatte poi nel menu di Luglio 2016. Tenere duro e far girare i piatti. Da Papavero, un haiku per Maria:

avere tempo
per assedio ai silenzi
un solo motto

 
Patate ripiene di Maria

Da Artemisia

Pensando a Maria, ho lessato delle piccole patate lasciandole alquanto al dente.

Le ho poi sbucciate, tagliate a metà e scavate tenendo da parte i ritagli, che ho messo in una ciotola.

Ho poi schiacciato i ritagli con una forchetta.

Ho aggiunto alle patate schiacciate, oltre a un poco di carne di manzo macinata, olio d’oliva abbondante, pepe nero di mulinello, sale, una ricca dose di origano essiccato, un nonnulla di aglio ridotto in crema.

Ho farcito con ciò metà delle mezze patate.

Ho messo le mezze patate in una teglia ben strette tra di loro, e l'altra metà l’ho fatta a pezzie e sacrificata per riempire i vuoti; anche qui olio d'oliva abbondante e un pizzico di sale.

Quindi, sempre prodiga, cipollina fresca in pezzi, salvia, rosmarino, tutti i profumi della Valle di Comino e ancora un filo d’olio d'oliva, con il quale in questo piatto si tiene la manica larga e che nella Valle è ottimo.











8 commenti:

a.o. ha detto...

Sì, la traduzione è indispensabile, ma come l'ha detto Maria "ti faccio una sorpresa, una cosa buona"?
Curiosità filologiche di a.o.
:)

artemisia comina ha detto...

confesso - anche Mentuccia, del resto, quindi è inutile chiedere a lei - che non so parlare nel dialetto della Valle, anche se lo capisco, perfino quello di Maria.

Conosco Maria, quindi provo a descrivere.

Tradurre ciò che dice non è solo tradurre parole. E' tutto un insieme, parole e danza.

Bisogna immaginare un lungo fantasma allampanato - Maria - che entra in una grande casa e attraversa gli spazi puntando sui luoghi ove presume una presenza umana, preannunciandosi con grida del tipo: signo' (signora) e dirigendosi verso la cucina, stanza elettiva degli umani a lui cari. Se ha fortuna, trova una qualche signo' locale, e allora con scintillio di occhi furtivi borbotta qualcosa del tipo: ti trovo all'ora di pranzo? (è lo scintillio che dice "ti porto una cosa buona, ti faccio una sorpresa"); la signo', che ha capito tutto, dice di sì; all'ora stabilita, il fantasma si presenta con le patate e un altro tipo di scintillio, soddisfatto, trionfante.

A questo punto si apre un altro capitolo: la restituzione del piatto, che è importantissima. In piatto in genere è sbeccato, quindi unico e raro. Restituire il piatto, lavato e trattato come la saliera di Cellini sarà il ringraziamento.

A questo ringraziamento si coniugherà dopo un po' uno scambio, sotto forma di un assaggio di qualcosa cucinato dalla signo' che quest'ultima darà a Maria.

a.o. ha detto...

Cara Artemisia,
come sempre rendi bene l'idea, il verbale ma soprattutto il non verbale. Riconosco quello scintillio ammiccante come per dire "lascia fare a me" e "ti sorprenderò ancora", proprio di certe donne ermetiche che però hanno detto di tutto, e di più, attraverso il linguaggio del cibo e della sua preparazione.
Convengo che la restituzione del piatto è f-o-n-d-a-m-e-n-t-a-l-e: cerimonia irrinunciabile.
Grazie di questo ritratto.
a.o.

papavero di campo ha detto...

haiku per Maria:

avere tempo
per assedio ai silenzi
un solo motto

papavero di campo ha detto...

gli occhi di Maria hanno la vispezza di chi sa,
il sorriso è accennato contenuto,
lei sa più di quanto voglia dare a intendere,
certe figure contadine sagge e ottuse non hanno erudizione scolastica sanno però in compenso ampiamente maneggiarere stati energetici avanzati che le acculturate devono apprendere e non è detto ci riescano, tramite terapie bioenergetiche o indiane tibetane o frulli e rifrulli di tecniche corporee e psicologiche,
ma il femminino quello selvaggio è altra cosa, duro apprendistato sulla pelle di bambine cui non è stata data in dote emancipazione e facilitazione evolutiva, che ahanno dovuto giocare l'esistenza in domestichitudine emrginazione passività e sottomissioni..il lampo degli occhi talvolta dice di fierezza e di animo libero
(hai letto la mennulara, ecco donne di quel tipo)

artemisia comina ha detto...

maria, signorina scontrosa, si è abbassata gli anni fino agli 85.

simoff ha detto...

post pieno di profumi di casa, amicizia, intese silenzione, poesia condivisa e affetti muti ma sinceri... grazie.

artemisia comina ha detto...

e, simoff, la tradizione antica dello scambio.

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