giovedì 17 gennaio 2008

INDIA. TAMIL NADU. THIKKAKKUDY, KUMBAKONAM, TANJORE. STERLING SWAMIMALAI HOTEL.




















L’unico albergo e ristorante dell’India del sud che vi segnalerò come interessante. Perché solo questo, sarebbe meglio argomentabile entro un commento generale sui viaggi di gruppo come è stato il nostro in India. Per ora me la cavo con un paradosso: quando si va sul sicuro non si possono che avere risultati poco raccomandabili. Gli altri quindi non erano male quanto a confort, ma non vedo perché non potreste cercarvi qualcosa di meglio, di più vicino alla vita locale, di un Trident Hilton piazzato nella zona moderna e soprattutto industriale di Cochin. Questo invece pareva appunto godere delle condizioni desiderabili: indiano, confortevole, attraente, entro un villaggio.

Bene, dopo la concisa premessa vi dico che a un certo punto nel corso del viaggio tra Tanjore e Madurai ci siamo fermati per pranzo in questo albergo tra bananeti e altre innumerevoli esotiche verzure, dentro il villaggio dei bronzisti.
E’ una casa dell’ottocento trasformata in albergo ecologico e centro ayurvedico, con cottage per gli ospiti entro un giardino con parecchi deer a spasso e altre suggestioni qua e là, come i costumi da ballerini-cavallo con cui concludo la serie di foto.

Il ristorante era molto piacevolmente vecchio stile e assai indiano ovviamente, ma nell’apparecchiatura all’occidentale c’è stata l’apparizione imprevista e sconcertante dei piatti di porcellana con il rigo d’oro che invidiavo alle mie due nonne. Colpiva alquanto, questa commistione occidente-oriente dove riemergeva il recente passato indiano e che era al tempo stesso così intimamente vicina alla mia storia. Un’apparizione solo apparentemente innocente e domestica e in effetti conturbante e dislocante. Quanto a loro, gli indiani, qui nel sud se fanno un pranzo tradizionale mangiano seduti a terra col cibo disposto a mucchietti su foglie di banano; l’albergo propone infatti questa modalità per i banchetti di nozze.

Il buffet si presentava come in tutta la durata del viaggio in una sequenza di contenitori che permettevano assemblaggi di risi, pani, fluidi cibi variamente speziati; qui tutti rigorosamente vegetariani e finalmente senza penne o spaghetti ammanniti agli italiani in genere supposti, forse a ragione, prigionieri della fisima che senza cucina italiana forse si muore e certamente ci si rimette. L’aiuto proposto al forestiero era di mettere, simpaticamente, gli ingredienti base dell’intingolo in un piattino davanti a lui. Ciò non toglieva che l’unica questione del foresto fosse: è piccante?

La cucina indiana del sud non ha una sequenza di piatti prevista, tutto si porta a tavola nello stesso momento. Il piatto è, come dicevo, una foglia di banano su cui disporre gli assemblaggi che si preferiscono di cibo e riso, con ciotoline per gli alimenti più liquidi, e il cibo si porta alla bocca con le mani, usando il riso o il pane come supporto. La compresenza di tutto sul tavolo e l’assenza di primi secondi e contorni è singolarmente vicina alle mie fantasie su un buon pasto. Ma la strutturazione delle sequenze e delle congiunzioni tutta affidata al commensale richiede in quest’ultimo una competenza gastronomica e un’inventiva maggiori di quelle che ha un fruitore di menu previsti e di assemblaggi già precisamente organizzati in cucina.

Figuratevi cosa potevamo fare noi che arrivavamo trasognati da Marte con la fantasia grondante rigatoni, e con l’idea alquanto ferma che alla fin fine ogni cibo che ci stavano rifilando fosse singolarmente uguale all’altro e pericolosamente piccante. E’ stato interessante vedere la funzione di mediazione che in questa collisione hanno assunto i pacifici vermicelli cinesi conditi con verdure; la cucina cinese è infatti più vicina all’India dell’italiana, off corse, e tali vermicelli vengono cucinati con maggiore perizia e confidenza degli spaghetti. Gli italici piatti si sono così spesso riempiti dei consolatori vermicelli.

Sterling Swamimalai Hotel

2 commenti:

papavero di campo ha detto...

Affabulatrice Arte! dalle incidentali larghe come foglie di banano -l'accostamento è inevitabile-
la tua cronaca ha del flusso di coscienza e assieme della lucidità affilata del reporter: mi piace un sacco! il tuo stile letterario dice molte cose a volerlo leggere e tradurre!
alla fine forse non è male il viaggio organizzato se va a calmierare ansie (che mi conosco mi verrebbero!)e che fuga senz'altro certi rischi di gastroenterite.. L'ipocondria con l'India ci incastra niente, una terra così dove Inconscio è Sovrano vuole vederti in faccia e poche storie! forse il viaggio organizzato ti pianifica e ti contiene..

assemblaggio dei cibi che bella cosa! accontenta pure certe pulsioncine di orali avidità! a me mi (rafforzativo!) mi sconfinferebbe assai!

artemisia comina ha detto...

il viaggio organizzato ti impacchetta e ti porta; hai l'indirizzo scritto addosso, e basta che funzionino le poste. niente divagazioni. comunque, tante grazie; sennò in India non ci andavo certo con poco più di dieci giorni a disposizione e una vaga idea del Deccan, di qualche sepente Naga e del caradamomo.

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