domenica 16 settembre 2007
VENEZIA. BIENNALE. IL RISTORANTE DELL’ARSENALE.
Dovevamo pur pagare un tributo ai bidoni che Venezia rifila ai turisti. E’ accaduto due volte, e tutte e due alla Biennale. La carne è forte, ma lo spirito è debole. Lo spirito, preso dall’ombroso cortile ancora chiazzato dalle pozze dell’acquazzone, dalle vecchie mura di mattoni dorati, dal selvatico fiore azzurro che spuntava tra le fessure della pietra chinandosi sui tavoli, dall’atmosfera di festa, dal piacere della sosta, ha tacitato la carne, che con profetica sicurezza predicava: “Qui, come sai, mangerai schifezze”.
Schifezze sì, ma c’è schifezza e schifezza. Chiediamo io spaghetti con le vongole, Nunchesto seppie in umido. Quando arrivano le seppie, Nunchesto fa: “Sono pessime. Vuoi assaggiarle?”. “Col cavolo. Prova a descriverle”. “Plastica molle alcune, dura altre. Verniciate con denso sugo rosso, a loro altrimenti del tutto estraneo”.
Passiamo agli spaghetti. Curioso fenomeno. Non sono scotti, eppure non scivolano. Fanno corpo unico. Per dissociarli, devo penetrarli con la forchetta e scuoterli; tuttavia, vengono su come una gomitolosa scultura di fil di ferro. Le vongole poi sembrano morte. Lo so che le vongole cotte sono morte. Sto dicendo che si vede che lo sono. Sono rapprese, secche. Un’ osservazione si infila di sguincio nella mente: sono stati mummificati gatti, coccodrilli, serpenti, ibis, tori. Perché non le vongole?
Ma che li possino. Non è facile capire come si possa ottenere qualcosa di così tanto squisitamente pessimo. Cerco di immaginare, e non mi riesce. Per capire, dovrò interpellare una vera cuoca di ristorante, l’esimia Cucurbita, che mi dirà immediatamente: “Ma certo, ma sicuro: si tratta di cibi pronti. Apri una scatola, ed è fatta. Non ti immagini i cataloghi che mi arrivano. C’è di tutto. Tutto puoi comperare già pronto. Quando vedi i bar che propongono piatti, mica penserai che hanno un cuoco, una cucina”. Ma che li possino.
Conto: 50 euro in due, circa. Con uno spritz e patatine fritte macdonald, indubbiamente il miglior piatto.
Volgiamo ora l’attenzione al cliente. Che faceva? Si alzava, protestava, sputava? Macchè. Ingurgitava. Uno in verità, uno straniero, s’è incazzato nero. Ma per un aspetto a questo punto marginale. Per la vecchia e discussa consuetudine italiana del pane e coperto. Forse, avvelenato, aveva la mente chimicamente confusa, e sapeva di doversi difendere, ma non gli era chiaro da che, perché.
Una bionda camerierina ignara di tutto (non sapeva nemmeno dove fosse Arcimboldo, il ristorante che a suo dire ha avuto questa malaugurata concessione) veniva di quando in quando a chiederci come andava. Nunchesto, per togliersela di torno immediatamente, sparava subito: “Benissimo!”. Quanto a me, al momento del conto, decido che si deve almeno accennare a come stanno le cose. Quindi dico: “Forse non benissimo. Diciamo che il cuoco potrebbe fare di più”. Quella, annebbiata dalla sua fresca giovinezza, si fa scappare uno squillante risolino scintillante di macchinetta per i denti: “Glielo diciamo sempre, noi. Ma quello si offende!”. Fine della customer orientation, pive nel sacco, disfatta totale del cliente e delle sue patetiche rimostranze.
Insomma: che i cibo sono scongelati si deve dichiarare. Che escono morti da una scatola no?
Chi sono i responsabili? Oltre alla soffiata della cameriera, vediamo che lo scontrino recita:
Linea aereoportuale Sole
Spa Biennale Arsenale
Resta da indagare il rapporto tra questa società e Arcimboldo, ma per prudenza girerei al largo da tutt'e due.
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