mercoledì 14 marzo 2007

TORINO. ERBORISTERIA ROSA SERAFINO








Da Rosa Serafino, che dio la conservi, l’impressione è che si troverà di tutto. Ma anche che bisognerà meritarselo. Non si sa bene come.
E’ un’erboristeria dai molteplici scaffali e innumerevoli vasi con diciture che un po’ si capiscono e molto no, proprio come deve essere un’erboristeria. E’ presidiata da una signorina dagli occhi, la voce, le pallide guance, i gesti molto severi; alla quale bisogna sbrigarsi a dire che vuoi, mentre il tuo desiderio più intenso sarebbe scorrere ogni ripiano, leggere tutte le etichette; perfino – oddio oddio – infilare dita nei barattoli, stropicciare foglie, annusare, assaggiare.

Dunque, dopo uno smarrimento che certamente è stato disapprovato, ho detto: “MACIS!”. Una parola che non supponevo fosse nella mia mente, e che da qualche precordio smuovendosi, è venuta agile in soccorso della mia incerta lingua. Quindi, oramai librata altre l’ostacolo, ho aggiunto: “100 grammi!”. E troppo presto, fulmineamente – la signorina mi stava di fronte come la sfinge pronta a divorarmi dopo il primo, troppo facile quesito risolto, che era stato solo tanto per dire, e arrotava i denti - mi sono ritrovata con un frusciante, crocchiante pacchetto bianco in mano.

Fattami audace, lancio il test che mi dirà se Serafino ha tutto: “Avete i grani del paradiso?” (Adesso non ve la faccio la storia dei grani del paradiso; ve la farò. Dico solo che a Roma non li ho trovati). E quella: “Grana paradisi?”. M’è parso un latinorum, ma ciò che era chiaro è che mi correggeva; ho ciancischiato cincischiando: “Aframomum meleguetta?”. Ma questo era troppo. “Grana paradisi? - ha ripetuto dura - abbiamo tutto”. Basta, mi ha convinto.

Ho capito che era ora di perdere la faccia, e ho chiesto: “Posso fare qualche foto?”. Non ricordo la risposta, diciamo che so che mi è stato rivolto qualche suono di sufficienza. Ho fatto le foto con gli occhi di un coniglio in fuga, e difatti sono così, un po’ abbacinate.

Nel frattempo è entrata una signora secca che ha fatto da subito assai meno storie di me. Perché lei aveva l’apriti sesamo. Ha detto, lagnosa: “Non riesco a dormire; mi dà quella dell’altra volta?”. Subito la signorina severa è diventata fluidamente attiva, quasi affabile, ha chiamato qualcuno dal retrobottega, uno che sapeva. Uno che maneggia erbe e tisane, e si è messo a calibrare la purga per lo stecco. Con lampi e tuoni nella mente sconvolta ho intuito che quello è un posto per ipocondriaci e non per cuochi.

Infine, mi è toccato uscire. Ma tornerò.

Erboristeria Rosa Serafino,
piazza della Consolata 5
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