domenica 21 settembre 2014

Vestirsi da Santa. Palermo, oaratorio di Santa Cita





Palermo, nell’anti - oratorio di Santa Cita, un piccolo manichino senza testa espone una vestarella ricca, di fine tela bianca spessamente ricamata, come una girovoluta griglia che imprigionasse il busto, in oro o argento. Sembrerebbe oro; oggi ne resta l’anima: tali ricami richiedevano un’imbottitura su cui venivano tesi i fili metallici.

Chissà di chi era.

Mi è venuta in mente Cita e con lei una piccola, santa scimmia; l’Africa e Tarzan dopo un recente viaggio in Tanzania rispuntano in me da tutte le parti; la nostra testa tesse, tesse, tesse, mettendo insieme le cose più strane; mente aracnoidea.

Esploro e scopro che Cita vale per Zita, e che Zita è nome persiano (!)  che significa vergine. Eccomi dunque scaraventata dall’Africa alla Persia, che pure recentemente ho incontrato qua e là, anche in Africa: la cultura araba di Zanzibar era anche persiana, e persiana una delle mogli dello Sceicco ottocentesco  che la ripudiò perché se ne andava a cavallo da sola, lo tradiva e spargeva dappertutto, senza curarsi di raccoglierle, le perle con cui i suoi abiti erano ricamati dalla testa i piedi.

Viaggiamo ancora: santa Zita era di Lucca, lì è veneratissima ancora oggi; dicono fosse servetta, nel XII secolo; che fosse buonissima (sovrammercato: la madre Buonissima si chiamava); che fosse invisa alle altre serventi, che l’accusarono di portare ai poveri il pane dei padroni; questi la intercettarono con il grembiule gonfio, e quella aprendolo sparse fiori (quante volte, con quante sante accade questo! Una studiosa del digiuno la connette alla sacrificalità femminile che fa come se campasse d’aria mentre dà tutto agli altri).

Comunque ciò le vale un mercato dei fiori dedicato, a Lucca, e di essere patrona delle domestiche e dei panettieri. Il corpo naturalmente mummificato (alcuni dicono: miracolosamente), giacente in una chiesa lucchese, è stato analizzato molto seriamente, con tanto di rapporto scientifico;  e – sorpresa! – scopriamo che pur avendo sofferto di storiche carestie, cui corrispondono specifici segni di crisi nel suo corpo, si nutriva esclusivamente di alimenti di origine animale, carni, pesci, formaggi, come gli altolocati della sua epoca, e che presenta un intossicazione da piombo che fa pensare all’uso di piatti metallici o all’assunzione di vino corretto con ingredienti che lo contengono (insomma, roba da ricchi). Dante la cita a trent’anni dalla sua morte, prima della canonizzazione. Era un personaggio.

Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...