venerdì 27 marzo 2009

Marzo. La cena del disastro pilaf, con elogio della conversazione.


Marzo 2002. La cena del disastro pilaf, con elogio della conversazione. Un bel disastro, cui parteciparono due amici, una coppia che venne a cena da noi; riassumo sotto il nome di Disatro Pilaf. E' pure l'occasione per tessere l'elogio della conversazione ed evocare un soufflé dolce davvero ben riuscito, ma forse irriproducibile. Menu: Crostini di fegato, Anatra all'anice stellato, Riso pilaf la limone (esploso), Sformato di carciofi e piselli, Soufflé di cioccolato con salsa di arance. Per questi meriti, la cena acquisice il tag  Officina riparazioni

Crostini di fegato 

Anatra all'anice stellato 

Riso pilaf al limone (esploso),  

Sformato carciofi e piselli 

Soufflé al cioccolato

Salsa di arance


Come sempre vado di fretta. Ammannisco un'anatra all'anice stellato agli ospiti solerti, che trasgredendo le cincischianti mollezze romane che sempre inducono al ritardo sono da noi a piatti in corso d'opera. Gli sbatto davanti dei crostini di fegato. Mando al fronte Nunchesto, che comunque non vede l'ora di versare vino. Ficco nel forno ancora fumante un piatto di vetro blu sul quale ho rovesciato in furia il previsto riso pilaf al limone. Avvio il microonde (il mio forno è tradizionale e micronde in tutt'uno) per dare una scaldatina; chiudo, mi giro, sento un clicchete. Poche storie: tutto è fin troppo chiaro. Dò un'occhiata e vedo il piatto trasfomato in acuminati pugnali, come se una banda di feroci saladini ammannisse bocconi di grondante riso su minacciose scimitarre. Richiudo il forno. Estremi rimedi: non faccio una piega. Fronteggio a piè fermo il fatto che il dolce non è concluso e che bisogna temporeggiare: si tratta di un soufflè di cioccolato, che va ficcato nel disastrato forno 20' prima di venir mangiato.

Mi soccorre l'ospite. La foga ardente della sua conversazione si espande in lungo e in largo, riempiendo i vuoti di tempo e di cibo. La sedia viene furiosamente cavalcata, il tappeto tormentato e ritorto, gli animi distesi e distratti. Arpeggia anatemi, sempre nutrienti. La vita universitaria italiana presta così bene il fianco. Sullo sfondo fa baluginare storie di convivialità dotte e lontane, vissute in anfratti nordici dove sverna in sabbatico. Lì consessi di studiosi, buttata la carta stagnola delle Discipline per avventarsi sull'acciaio dei Problemi (splendente metafora haimè non mia: sto parafrasando un tale del quale mi sfugge il nome) avviano fecondi confronti durante austere ma intellettualmente proficue convivialità.

La foga dell'amico era contrappuntata dalla malizia della paziente compagna, che insinuava con accenti toscani aver sentito chiedere che si passasse il sale. L'introduzione di toni sfumati non faceva che accrescere la seduzione di tutti quei temi e situazioni appassionatamente evocati e insieme l'invidia e la partecipazione mia e di Nunchesto. Per gareggiare con quelle iperboree tavole rotonde, noi ci si buttava gioiosamente contro i flutti del discorso dell'amico, tentando a nostra volta qualche spruzzo, o gocciolina.

In breve, io al pilaf non ci pensavo più; si mangiava invece uno sformatino di carciofi e piselli non eccelso che la penuria faceva forse apprezzare, ma chi - tranne il critico Nunchesto, che poscia ha battuto il tasto più volte - osava lamentarsi?

E il soufflé, direte voi, se appena appena state simpatizzando con la cuoca? Be', fu ammannito. Tra un'ondata e l'altra, gridando ancora dalla cucina un parere non so più se sul rapporto tra Harun-el-Rashid, Carlo Magno e Bisanzio, oppure sulle cause della morte dell'elefante che il primo regalò al secondo, oppure sulla questione: l'uomo è in grado di sviluppare le potenzialità del suo cervelluccio alla velocità con la quale modifica l'ambiente? E' apprendista stregone, degno figlio di Gaia, o perfino intelligente? Questo, tanto per darvi l'idea, ma non vi dico cosa siamo stati in grado di accumulare, fino all'ultimo momento, ancora infilando i cappotti e baciandoci sulla porta...

Insomma, per tornare al Disastro, vado in cucina, infilo marzialmente un paio di guanti di gomma, afferro la teglia in cui cosse l'anatra, marcio verso il forno, lo apro, prendo con mano ferma un tagliente frammento via l'altro, li schiaffo nella teglia, abbranco a manciate e schiaffoni il riso, ripulisco, sprofondo la recuperata monnezza nel secchio; mi volgo al soufflè, monto i bianchi d'uovo, mescolo - qui c'è il tocco umano: combatto un cedimento e stringo i denti - verso nello stampo, metto in forno!

Torno alle tempeste intorno al tavolo, che ora mi sembrano tranquillo lago con rispecchiata luna, e mi godo l'accento milanese dell'amico. Che è tanto più accentuato quanto più è determinato il suo esilio da quelle regioni, che tuttavia non manca mai di evocare, come porto che continua a sfiorare con la mente, al quale sempre potrebbe approdare e sempre sfugge. Amico acquatico senz'altro, infatti non ha radici, ma chiglia, e giustamente si tiene la preziosa ancora della sua milanesità. La tosca compagna, con cui ha un bel bambino che forse ancora non si sa se ha chiglia o radici, coltiva anche per lui terreni erbosi e alberati, perchè abbia qualche carota e qualche mela da ficcarsi nella bisaccia quando prende il mare.

Si, ma il soufflé al cioccolato? Il soufflè ci mise del suo, crescendo con una lentezza che avrebbe turbato un animo meno temprato; ma io quella sera, io stessa, ero passata dalla carta stagnola al duro acciaio, e tutta rilucente me ne fregavo, continuando a chiacchierare perdutamente.

Però alla fine, diciamolo, era parecchio buono; crosticina croccante in superficie, calde e cedevoli mollezze interne, una squisitezza... Perchè non dò la ricetta? Debbo verificare il tempo che stette in forno, non so più quanto: non posso dirvi 20 minuti e farvi aspettare due ore: se non aveste un ospite come il mio, che cavolo fareste? Pensate a quelli che aspettano il piatto successivo come collegiali tristi alla mensa, quelli che quando hanno il cibo davanti, mettono giù la testa e ingollano, e quando hanno finito, tirano su la testa e vi guardano. Cosa fareste? Vi vorrei vedere!






15 commenti:

robertopotito ha detto...

troppo carino...

equipaje ha detto...

equipaje perfidia mode on
qui si ha il fondato sospetto che un accademico sarebbe capace di arpeggiare inveire affabulare ed arditamente teorizzare anche per due giorni e due notti filati, pur di non perdersi un soufflè di cioccolato
/equipaje perfidia mode off

grazie per il bel racconto :)*

marzia ha detto...

c'è sempre qualche battaglia da combattere, in cucina ;-)

Martissima ha detto...

caspitaaa...Arte, io non sarei come la tua ospite, quindi ti prego....se dovessi essere tua ospite, fai in modo di avvere pane e salame a portata di mano......;-)))))bacio.
P.s. povero Nunchesto, si è trasformato in intattenitore a tempo pieno.

Claudia ha detto...

divisa sulla questione se l'uomo sia in grado di sviluppare le potenzialità del suo cervelluccio alla velocità con la quale modifica l'ambiente, sono peraltro moralmente certa del fatto che la donna - purché di tempra - sia senz'altro in grado di sviluppare le potenzialità del suo fornito encefalo quando l'ambiente le modifichi il pilaf.

(noto influsso futurista - saran le discussioni in fragranza di centenario - sulle oficine fabbrili/febbrili, sugli altiforni in cui montano soufflé, crogliolano acciai, mentre esulano, nell'ambiente, vapori della tempra tra lievi e turbinanti lembi di carta stagnola)
O l'Arzana' de' veneziani in versione contemporanea.

Claudia ha detto...

dimenticavo: omaggi al coppiere della Dea ;-)

MarinaV ha detto...

Perfido piatto azzurro!

artemisia comina ha detto...

grazie a tutti, i disastri vanno partecipati, ne sono sempre più convinta.

@ astro, come spesso vai al sodo: quel pane e quel salame non c'erano; però ammira che defunto il pilaf, uno sformatino uscì comunque dalla cucina, per fortuna non avevo fatto conto sul solo pilaf. quando dissi alla coppia ciò che era accaduto nel retroscena, lui non si era accorto di nulla, ma lei qualche sospetto lo aveva avuto.

@ equipaje, mi resta ancora da raccontare come fu che quell'amico - ancora lui - provocò la spaccatura di un sartù, essendomisi appiccicato alle costole in cucina mentre lo sformavo, e mentre io piangevo vere lacrime, lui parlava senza accorgersi du nulla.

@ caponcina, effettivamente potevo portare nella conversazione qualche prova sperimentale di addattamento ai mutamenti. (il nunche ringrazia).

@ marzia, ciò che dici è appunto il cuore, l'essenza del Disastro. la cucina non è un laboratorio, ma un campo di battaglia.

@ marina, così si fa: bisogna prendersela con il piatto!

artemisia comina ha detto...

roberto, chissà se ci troveremo mai insieme in una stessa cucina, a condividere qualche rischio mortale!

chiara ha detto...

è sempre un gran piacere leggerti, anche nei momenti più disastrosi:))!

annamaria ha detto...

Si,veramente un disastro,peccato che non te ne accadano più sovente,come a me,perchè il risultato è una bellissima pagina,come non accadrebbe mai a me!

artemisia comina ha detto...

chiara e annamaria, aggiungo che il racconto fu passato alla coppia; e che il brano più commentato fu quello della chiglia e delle radici.

lui infatti di tanto in tanto se ne va per mare, ma se na va sul serio, in traversate transoceaniche a vela, e magari telefona per dire: c'è bonaccia, non si sa quando la barca ripartirà (e sta nel centro dell'oceano indiano).

così lei, più o meno, porta pazienza.

allora, quel brano sulla chiglia e le radici è stato molto chiosato dai due :)))

marcella candido cianchetti ha detto...

sei uno spasso!

nishanga ha detto...

Di fronte a cotanti talenti, non ultimo un racconto da oscar per il ciofeca day, io stò come sempre ammirata e di poche parole.
Che la forza sia con te, energicissima amica.

artemisia comina ha detto...

marcella e nishanga, se vi siete divertite, mi fa piacere ;)

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