giovedì 26 luglio 2007

LAZIO. ROMA (O QUASI). OSTERIA DI SAN CESARIO, SAN CESAREO.


















Vogliamo festeggiare il 25 luglio, e abbiamo un giorno di vacanza. Perché non abbandonare Roma e non andarsene a pranzo fuori città? Pensiamo a Vissani, vicino alla bella Orvieto. Chiuso il mercoledì. Pensiamo ad Antonello Colonna. Chiuso all’ora di pranzo. Sai quant’è? Andiamo per osterie. Purché belle e buone. L’Osteria di San Cesario, a San Cesaro, ci dà un tavolo. Ci arriviamo attraverso una guida, il Gamberorosso: speriamo bene.

Siamo solo noi, e in anticipo. Un caldo infernale nella poco bella San Cesareo, che non conserva nulla del luogo di delizie che certo fu all’epoca in cui accoglieva la villa suburbana di Giulio Cesare. Va considerato tuttavia che il figlio della signora Anna Dente, l’ostessa, fa l’archeologo: spiriti e aure antiche debbono certo soffiare vecchi ricordi di gloria nelle orecchie dei fanciulli sancesaresi.

Solo noi nella grazie a dio rinfrescata saletta che dà con ampia vetrata su un piccolo ombroso giardino interno. La signora Anna subito ci accoglie e consola con un fiore di zucca perfettamente fritto, e varie piacevoli chiacchiere. Dopo poco un altro avventore si siede nel tavolo accanto: ci dice che ha fatto una lunga deviazione per venire a mangiare dalla signora. Saremo, nel tempo del pasto, in tre, poi un'altra coppia si aggiungerà verso la fine. La saletta non è piena, eppure è molto calda e animata: presto si chiacchiera tutti, noi due, il terzo avventore, la signora Anna che si siede con noi. Si parla di cucina, ovviamente. Di ristoranti. Si critica l’ostica Roma, si difende Venezia ricca di segreti rifugi, ci si scambia indirizzi. La signora svela che ha scoperto con disapprovazione e raccapriccio che a Roma il guanciale è dimenticato. Io indago sulle farine con cui è fatta la pasta senza uova. Non del tutto raffinate, un po’ brune, ma appena, altrimenti la pasta si spezza. E poi, sia chiaro, niente olio.

Si parla di verdure di campagna, si evocano nomi che mi fanno tornare alla mente memorie dimenticate: i danni; si parla di marmellata di albicocche, di visciole. La signora ha visto un albero di visciole abbandonato e carico di frutti appena un poco appassiti. Che dico? Non ha visto l’albero, ma lo ha puntato; la sua bella faccia si anima: ne parlerà con il marito per andare a vedere se si possono coglierne i frutti. Quando andiamo via amaretti e ciambelle sono appena usciti dal forno; vassoi colmi di code di soreca (la pasta senza uova della campagna italiana, soprattutto nel meridione, che trova nomi diversi sul territorio e forme leggermente variate) aspettano il loro succulento e glorioso destino.

Questa simpatica animazione che fluiva con tanta apparente naturalezza ha trasformato un locale che avrebbe potuto essere triste nel suo essere vuoto in privilegio di incontri ravvicinati e chiacchiere non invadenti ma accoglienti. Ciò ci fa pensare a una recente visita in un nuovo locale romano nel quel speravamo di trovare una cucina non deprimente, e che in effetti non ha cattiva cucina, ma poco seducente come l’atmosfera che vi regna. Eravamo gli unici avventori, e non abbiamo visto altro che una sia pur molto capace, simpatica e carina piccola cameriera; per il resto, silenzio e sedie vuote. Orsù, cuoco, esci da quella cucina, e tu proprietaria, gestrice, vieni fuori, accogli questi unici clienti. Suvvia, un po’ di arte della chiacchiera, dell’accoglienza, del sorriso, del commento sui piatti. Non lasciare gli avventori con l'impressione di aver sbagliato giorno e locale, e forse anche città.

Menu:

- un antipasto misto che dividiamo in due, di cui ricordo soprattutto una trippa verde al prezzemolo ottima e un ottimo salame; Nunchesto spende una parola di encomio anche per i fagioli con le cotiche.

- gnocchetti a coda de soreca cor sugo a la matricina per tutti e due, buonissimi, con un sugo vellutato e oserei dire leggero;

- poi per me un altro primo, dei maltagliati con dolce sugo di baccalà;

- per Nunchesto un abbacchio al tegame con la menta squisito, fondente, che non ho mancato di assaggiare;

- infine un tiramisù alle more e uno alle fragole. Freschi, soavi, soprattutto quello con le more, ancora poco mature, con un leggero asprigno che donava molto al dolce. Mai lo avrei ordinato, allontanata dal nome, che ricorda un’offerta a tappeto che non seduce, se la signora non fosse venuta al tavolo per dirmi che non era proprio il caso di non assaggiarlo, e subito felicemente le ho creduto.

Fotografo tutto nella penombra; solo per il cosiddetto tiramisù decido di portare il piatto alla luce, presto assecondata dalla signora Anna, che si diverte.

Una buona carta di vini laziali; non mancano apprezzabili vini nazionali in una lista a parte.

Nemesis, Malavasia Bianca del Lazio, Casale Mattia 2005; molto buono, sapido, con sapori di frutta. Con quaranata gradi di temperatura, è stato ritenuto adatto alla bisogna; tuttavia i suoi sentori aromatici hanno accompgnato bene piatti solo in apparenza grevi, di fatto leggeri.

Da notare: tutto questo cibo è sparito come per incanto, senza nessun pesante successivo ricordo, ma solo progetti di tornare ancora.

Osteria di San Cesario
Via F. Corridoni, 60 San Cesareo (Roma)
Telefono ristorante : 06.9587950

Ecco alcune recensioni alquanto puntuali, che potranno aiutarvi a orientarvi in una visita all’osteria.

tigulliovino

viaggi.ciao

romanelpiatto




Prima di pranzo, abbiamo fatto una puntata nella vicina Palestrina, assolata e per fortuna ogni tanto ventosa, arrampicandoci fino al museo che si è installato nel palazzo rinascimentale e barocco che trasformò in dimora signorile la precedente fortezza medioevale che a sua volta si piazzò sopra e dentro un tempio ellenistico. Quest’ultimo senza paragone l’edificio più imponente e scenografico, con le sue molte terrazze degradanti sulla vasta valle ed emicicli e porticati di colonne, di cui resta impianto e memoria. Siamo tornati a vedere il grande mosaico nilotico, bello ed evocativo; ancora di più dopo il viaggio invernale in Egitto. (Piccolo daridire: ma perché cavolo all’ingresso non hanno nemmeno una cartolina, neppure un libretto del museo e di ciò che in esso è contenuto?).

3 commenti:

Tantola ha detto...

Vedere le immagini dei piatti di Anna Dente mi fa venire fame in qualsiasi ora .... evoca in me il ricordo di quando nel tempio dell'osteria di san cesario gusto quel divino cibo. Come ho sentito dire una volta da Anna Dente "quando se magna ce vole devozione" e sono pienamente d'accordo con lei. Anna non smette mai di stupirmi, ultimamente ha arrichito il già perfetto menù con diversi e sublimi pani fatti in casa sia farciti che non e con una più vasta scelta di dolci fatti da Angelo, una new entry notevole, e arricchiti con simpatiche decorazioni. Grazie ad Anna Dente che mi ha fatto scoprire e riscoprire antichi e genuini sapori quazie a tutta la devozione che ha nel preparare quei gustosi piatti.

artemisia comina ha detto...

allora bisogna tornarci anche per provare pani e dolci :)

Anonimo ha detto...

Lasciamo l'hotel a Castel Gandolfo con il tomtom impostato sul percorso più breve verso San Cesario, su e giù per i colli romani lungo stradine di campagna, il posto è molto bello, ad un certo punto si perde anche il tomtom ma vediamo un cartello stradale che ci indica la strada. Troviamo subito l'osteria, molto bella ed invitante anche da fuori.
Per descrivere la bontà dei piatti non saprei quali parole utilizzare, io sono un amante dei bucatini all'amatriciana, ma dopo aver assaggiato i "gnocchetti a coda de soreca cor sugo a la matriciana" della sora Anna ho paura ad ordinarla in qualsiasi altro ristorante, il confronto potrebbe essere improponibile. E che dire della trippa alla romana? Semplicemente spettacolare.
Buon Appetito a tutti, non è un posto economico, ma nemmeno caro, a Milano siamo abituati a questi prezzi, ma se potete fate lo sforzo di andarci almeno una volta.

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