giovedì 13 maggio 2010
FRANCIA. DIGIONE. LE CHAPEAU ROUGE. CHEF WILLIAM FRANCHOT. UNA STELLA.
Siamo allo Chapeau Rouge di Digione, dove abbiamo anche una stanza, che ha un ristorante con una stella Michelin. Arrivano degli amuse bouche, con oggettini dalla decisa allure orientale e presenza di curry - buone le cipolle fritte, ma gli altri commestibili oggettini non sono abbastanza seducenti e - orrore - non ci vengono presentati. Come è possibile? Il cameriere ci schiaffa il piatto sotto il naso e se la squaglia. E' come vedere un prete rinunciare a dire messa. Ciò incide sull'atmosfera della serata.
Nella perplessità di questo esordio, inzio a inseguire la consolatoria ciotola del burro. Guardate a destra del sottopiatto, quel rettangolo nero con due bolli chiari; quello più grande in alto è una ciotolina di vetro con dentro il burro. Ora pensate di prendere un coltellino e di volercelo infilare dentro, e immaginate il vetro che inizia a schizzare sulla pietra nera come un slittino sul ghiaccio; allora voi con una mano brandite il coltello, con l'altra afferrate la ciotola e con la terza tenete il per grazia di dio ottimo pane su cui spalmate il burro. Ebbene sì. Il menu senza prezzo, il silenzio del cameriere, lo slittino del burro mi stavano facendo affliggere per il cuoco, e mi concentravo tutta sulle cipolle e sul pane alla segale.
Arriva un altro amuse bouche: un pain perdu con lumache, una fritta in tempura, con un coulis di prezzemolo e dadolini di sedano. Buono, ma senza verve.
Nuncheasto prende il suo amato ris de veau, che qui è dorato nel burro e accompagnato da spaghetti vietnamiti, brodo di scampi e latte di cocco. Sembra contento. Io ammiro parecchio la bolla di vetro in cui si compie il rito della forchetta che cala e lavora.
Sempre per il Nunche questa supréme di pollo di Bresse con salsa meurette – vino rosso, pancetta, cipollotti, funghi - cotta a bassa temperatura e tutta croustillant, dorata e croccante.
Io mi dò al piccione: petto arrosto e cosce confit, chutney di datteri medjoul e arance maltesi, sughetto al ras el hanout. Al sapore forte del piccione, che resta alquanto aggressivo, occorrono in tutta fretta il dolce dei datteri e di quella tegolina zuccherata che si intravede appoggiata sul tutto.
Il carrello dei formaggi è alquanto belloccio. Ma, anche qui, sorpresa: la giovine cameriera non conosce i formaggi e non regge l'urto delle nostre domande. Arriva in suo soccorso un cameriere che sembrava, dalla camicia grigia senza mostrine, bassa forza, e invece si rivela l'uomo di fiducia che rammenda i buchi di un personale non perfettamente preparato arrivando sul posto al momento opportuno, e che quindi può togliere un piatto e cambiare un coperto come pure soccorerre l'improvvida. Una nota su quest'ultima. Anche qui, come altrove, servono al tavolo giovanissime fanciulle monacali dalla pelle di latte e miele. Dopo che fanno? Le uccidono? Quanto ai formaggi, Assaggiamo l'epoisse in varie versioni: affinato al marc, allo chablis, senza nulla. C'è anche un brin d'amour e un st. maure troppo tosto. I formaggi sono ottimamente accompagnati dal pain d'épices.
Io non rinuncio a un soufflé al Grand Marnier su dadolata di ananas; la quenelle di gelato sta su una cialda un po' gommosa. Niente da fare. mi sembra che questo chef sia in un momento di stufìo, di disattenzione.
Vino: Gevrey Chambertin Domaine Perrot - Minot 2005
William Frachot, anche lui, come altri tre mono stella incontrati in questo viaggio, è uno chef allevato in una famiglia che ha il cappello da cuoco in testa da molte generazioni: William nasce 100 anni esatti dopo il capofamiglia che ha inziato quella tradizione di albergatore e ristoratore a Digione, che William riprenderà.
Nove anni fa acquista una vecchia istituzione di Digione, l'albergo ristorante Le Chapeau Rouge, in un vecchio edificio che risale al XVI secolo e che sta ai piedi degli aguzzi tetti della cattedrale di San Benigno e della chiesa di San Filiberto, e nel 2008 ne cambia in modo radicale il ristorante, che pare fosse uno dei ritrovi dei notabili locali, intervenendo non solo nella cucina ma anche nell'arredo, affermando che voleva consoni l'una all'altro. Il luogo si trasforma così con l'ingresso di tronchi d'albero, trasparenze di vetri e piogge di luci che evochino atmosfere tra giugla e oriente. La sua formazione di cuoco si fa in Francia, in Inghilterra, a Montréal, e la cucina è francese, ma anche alquanto melting pot. Tanto per dire, Franchot ritiene che sciroppo d'acero e foie gras siano magnifica coppia, o che i germogli di felce possono benissimo essere proposti alla tradizionalista Digione. Se dapprima fu accolto con scetticismo, poi ebbe successo, e la sua stella Michelin è del 2003, quando lo chef aveva 32 anni.
Io sono stata divisa tra il vispissimo urto di nervi che sempre mi prende quando mi viene consegnato il menu senza prezzi delle signore e l'ammansimento che mi dà il mordere un ottimo pane alle cipolle, alle olive, alla segale, bianco. Il locale era singolarmente vuoto, in una Digione alquanto sonnolenta - ci verrà detto, nella nostra visita a un altro stellato della città, che la vicinanza al periodo pasquale ha portato molti digionesi in vacanza - e con noi hanno cenato solo cinque allegri yakuza, un paio a un certo punto perfino scamiciati, che sedevano a un tavolo dalla curiosa forma a ferro di cavallo come quelli di certe ultime cene affrescati in alcune abbazie romaniche. Più tardi si sono aggiunte un par di coppie e - nascosto sotto il tavolo - un cagnolino barboncino pettinato tale e quale alla sua padrona.
Le Chapeau Rouge (William Frachot)
5, rue Michelet.
Tel. 03-80-50-88-88.
La foto da qui
Trovate lo chef che esegue qualche sua ricetta sul bel sito francechef.tv, pieno di cuochi.
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2 commenti:
cara Artè,sarò come sempre sincera ...non mi piace l'atmosfera di questo posto,la trovo fredda ed impersonale e , a parte il magnifico carrello dei formaggi, non mi attira niente....Non posso di certo giudicare i sapori ma la presentazione è talmente "da quadro" da tenermi lontana...sarà di certo un ristorante raffinatissimo,stellato e ben frequentato ma io avrei scelto di certo un piccolo bistrot con altra atmosfera,cibi semplici, porzioni di certo adatte a camionisti e forse avrei trovato un cameriere chiacchierone che i piatti , oltre che a servirli, ama raccontarli....Spero che tu non mi tolga il saluto per questo,sono una ribelle, lo so....ti abbraccio forte
be', forse è Franchot che potrebbe aversela a male, ma mi sa che non legge questo post :DD
quanto al cibo, io amo andare un po' dapertutto, e provo a esplorare vari stili e proposte, sempre speranzosa di poter apprezzare anche l'imprevisto, anche ciò che è lontano da quanto avevo finora immaginato, dalla trattoria dove la proprietaria è sia in cucina che ai tavoli, al pluristellato in cui il servizio è sacerdotale (unica remora per questi ultimi, i costi ;)).
L'importante è che ci sia una riuscita delle premesse, che tutto trovi coerenza e senso. Anche se ogni volta può essere un "racconto" diverso.
questo ristorante, come si capisce, è stato al disotto delle mie speranze, non per l'arredo, ma per il servizio un po' disattento, per una certa aria di giornata no espressa anche dall'assenza di clienti, per il cibo a volte non abbastanza curato. come spesso mi capita quando è così, faccio fantasie su cosa si potrebbe migliorare.
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