Suor Juana Inés de la Cruz (1651–1695). Miguel Cabrera
da museopalaciodebellasartes.gob.mx
Una poetessa molto importante per la storia della letteratura messicana. Qualcuno, collocandolo molto al margine della sua produzione, che era di tutt’altro tipo, le attribuisce anche un libro di cucina. Libro manoscritto nel XVIII secolo nel Convento de San Jerònimo a Ciudad de Mexico, ma che forse riprende ricette di un secolo prima, quando in quel convento visse suor Juana. Ricette, ad esempio, come queste.
Stufato di pollo.
Fa’ un trito di pollo, fallo bollire e insaporiscilo con tutte le spezie. Quindi, disporrai di una casseruola imburrata uno strato di fette di pane tostate, su cui verserai un po’ di vino, e un altro strato di panna spolverata di cannella, chiodi di garofano e pepe. Procederai in questo modo fin quando la casseruola non sarà piena, badando che l’ultimo strato sia di fette di pane. Allora verserai il brodo rimasto, aggiungendo sopra il tutto uno strato di tuorli d’uovo sbattuti.
Dolce di burro e zucchero.
Preparato lo sciroppo con 2 libbre di zucchero, gli si aggiungono 3 bei panetti di burro. Si prendono 4 scudi di pan di Spagna, tagliato a fette, e si alternano sul vassoio uno strato di pan di Spagna e un altro di composto a base di sciroppo, fino a riempirlo. Poi si sbattono i tuorli d’uovo e acqua di fiori d’arancio, si versa il tutto sopra una pentola piena d’acqua calda, finché i tuorli non si saranno rassodati. Si lascia raffreddare e si mettono sopra uva passa, pinoli, mandorle e confettini colorati.
Dolce alla panna.
In parti uguali, panna e uova i cui tuorli siano stati sbattuti con l’aggiunta di zucchero a piacere, sale e cannella pestata. Si imburra una casseruola e vi si versa il composto sbattuto, per poi metterlo sul fuoco finché non si sia asciugato.
Dolce alle noci.
Per un piatto di media grandezza, mezza libra di noci, due scudi di mandorle, uova, ma solo i tuorli. Una volta che sia stato portato a mezza cottura uno sciroppo di due libbre di zucchero, vi si aggiunge tutto il resto ben pestato, mentre le uova vanno aggiunte sbattute quando si sta raggiungendo la prima cottura. Si versa sopra strati di pan di Spagna e si guarnisce con uva passa, mandorle e pinoli.
Il traduttore, Angelo Morino, ci dice che in realtà le ricette non parlano di pan di Spagna, ma di mamon, un dolce messicano che per altro afferma essere molto simile al pan di Spagna.
La meravigliosa cucina del Monastero di Santa Rosa di Puebla, dove si inventò il mole poblano, una salsa a base di tutto più cioccolato e peperoncino, che potemmo assaggiare in Messico solo perché chiedemmo che ci facessero mangiare almeno una volta quello che mangiavano in cucina invece di ciò che preparavano per noi.
Mole poblano in versione semplificata di Vittorio Castellani, aka chef Kumalè.
Private i peperoncini dei semi e scottateli in un tegame antiaderente finché cambieranno colore. Metteteli quindi a bagno in acqua calda per 30 minuti per ammorbidirli. Spolpate il pollo eliminando la pelle e le ossa, sfillettate la polpa e conservatela a parte. Fate dorare la cipolla tritata con l'aglio e i chiodi di garofano, aggiungete i peperoncini scolati dall'acqua e tritati, il sesamo tostato, le mandorle e le arachidi (dopo averle tostate), l'uvetta sultanina e la banana platano tagliata a rondelle e fritta. Insaporite con le spezie. Completate con la salsa di pomodoro, il cioccolato sbriciolato e fate restringere la salsa per circa un'ora. Poi la frullerete con un mixer per renderla omogenea. Servite la polpa di pollo su un letto di riso lesso e condite con la salsa al cioccolato.
L'antico Libro de Cocina viene preceduto e introdotto da un poemetto a sua volta attribuito a Juana, questo:
Obbedendo, sorella, al mio amor proprio,
ho voluto dar forma alla scrittura
di un Libro di Cucina e, che sciagura,
solo ho mostrato quanto male copio.
Non è servito a porvi zelo proprio
a renderlo un esempio di bravura,
perché, mancando a me genio e cultura,
un sol rigo non c’è che non sia improprio.
Così, sorella, è stato, ma qual passo
potrà mai far chi, troppo imprevidente,
fu travolta da zelo sì smargiasso?
Che può far? Supplicarvi che, indulgente,
perdonando un omaggio tanto crasso,
accogliate il suo pegno irriverente.
E’ un poemetto pieno di retorica umiltà, che rovescia a piene mani improperi sulla scrivente: lei non fa che copiare, e per di più lo fa male; manca di cultura e di genio, ogni rigo che scrive è improprio, nello scrivere è spinta dall’amor proprio e travolta da smargiasso zelo, e alla fine non ha prodotto che un crasso, irriverente omaggio, che con questo poemetto consegna a un’anonima “sorella” del convento di San Geronimo.
Il libro di cucina di Juana Inés de la Cruz. Angelo Morino, Sellerio, Palermo 1999.
Certamente la retorica dell’umiltà è nota e praticata anche da Juana – ricordiamo il poemetto in cui dona castagne a un’amica, dove si paragona a un riccio, animaletto spinoso - ma qui è grottesca nella sua accentuazione. Confrontiamo questa umiltà con il fatto che Juana Inès fu nella sua epoca definita “fenice del Messico”, “decima musa”, “unica poetessa americana”. Fu autrice dei primi testi di letteratura coloniale spagnola che arrivarono in Spagna e vi si imposero.
La sua storia fu alquanto particolare e drammatica: bimba e fanciulla prodigio, letterata e studiosa nonostante un’epoca che non prevedeva per niente donne con questa identità, rifugiatasi in convento per studiare in pace, finì la sua vita tra pentimenti di aver tanto osato e aggressioni di vescovi. Può darsi fosse per questa fine drammatica, accompagnata dalla dispersione della sua biblioteca e dalla pubblica rinuncia agli studi, ma dopo morta venne rapidamente dimenticata. Un secolo dopo, quando il Libro de Cocina venne scritto, forse copiando un testo di un secolo prima, chissà se si ricordavano di lei solo nel suo convento. Certo che nel poemetto tutto quel fustigare l’arroganza di chi lo scriveva sembra alquanto irriverente verso Juana, la superba scrittrice che i vescovi avevano dovuto piegare. E che qui si presenta come una copiatrice di ricette scritte alla bell’e meglio, di cui ho dato un piccolo saggio in un altro post.
Sor Juana de la Cruz, en un retrato anónimo del siglo XVIII. Da it.pinterest.com
Ecco un suo ritratto meno conosciuto dei soliti nei quali appare nel proprio studio tra i libri, e dove appare abbigliata di sete e trapunta di perle come una Madonna barocca, con accluso bambinello in mano. E' il ritratto che celebra l'ingresso in convento (ce ne sono vari di monache messicane dell'epoca, sono tutti una delizia, e visti insieme ancora di più). Tutto questo fasto ricamato mi ricorda uno dei più bei luoghi di Madrid, il convento delle Descalzas Real, che rigurgita ancora oggi di questo mondo conventuale femminile e barocco, dove tra dolci, giocattoli e santi (anche belli e bellissimi nel loro essere raffigurati in legno dipinto dai magnifici scultori spagnoli) il confine è lieve e incerto.
Circa Juana, su AAA si possono leggere questi post:
Il Libro de cocina di un convento messicano del XVIII secolo
e suor Juana Inés de la Cruz.
1 commento:
sullo sfondo dello specchio-lanterna:
una percezione dà un teschio e una sembianza a sx
un'altra percezione dà due figure una delle quali(a dx) ha il tipico gesto da angelo, l'altra un martire? una martire? un Cristo iconografico?
ritratto che parla a più livelli,con simboli e segni della cabala da decriptare,
ritratto di melanconia
sguardo che va oltre
i libri in mano:ancoraggio al pensiero, al reale della conoscenza terrena, questa donna nella veste monacale ha un'essenza laica, la rivendicazione del piacere del pensare, del leggere, dello scrivere e del comunicare le più intime emozioni nello scambio con l'altrui
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