mercoledì 9 maggio 2007

LAZIO. FROSINONE.






















Basta con questi stucchevoli bei posti, fiori, arte, zefiri, pastarelle squisite, nettari, ambrosie, e chi più ne ha più ne metta.

Adesso ci vuole un posto davvero brutto, dove se ci capiti soffri ogni pena, e ti chiedi a che ora passa la corriera.

Eccolo: Frosinone. Mi succede di passarci due ore, un sabato mattina di maggio. Be’, di questo invadente mese, che sparge novelli fiori e foglie ovunque, non c’è traccia. Sì, qualche rosa, ma certo le signore di Frosinone non hanno arte e passione come quelle dei paesi umbri e toscani ove ogni gradino di porta ha il suo vaso. Forse le signore di Frosinone non hanno gradini; e se ce li hanno, sono troppo confusi con porte, balconi, finestre, troppo stravolti per poter sostenere un vaso. A Frosinone infatti c’è di tutto, disordinatamente. Nessuna struttura prevale sull’altra, ma tutte confliggono tra loro nel rimescolamento. Vicoli stretti e piccole case fatte di aggiunte, alti grattacieli fatiscenti prima di essere finiti, palazzi dell’amministrazione provinciale incongrui in grandezza ed opulenza, tutto si ammucchia e soffre. Soffre su per salite ripide di un crinale su cui Frosinone si aggrappa, con aperture su una valle nella quale, correndo giù a precipizio per i ripidi declivi, sono scesi palazzi e costruzioni, alla rinfusa.

Sabato mattina, dico! Eppure i bar sono vuoti, i loro scaffali deserti. Ecco il bar sul corso, entro per un bicchier d’acqua, poi chi lo sa... magari c'è qualcosa di invitante. Sono le dieci e mezzo. Ai tavoli un vecchio signore che legge il giornale senza consumare nulla, gli altri vuoti; dopo un po’ due signore con la spesa, meno male. In due ordinano un caffé. Nella vetrina ci sono un piatto di biscotti secchi, una fetta di triste torta, una ciotola di arance. E basta.

Entro queste assenze di confort e accoglienze spicca un locale chiuso con un cartello sul cancello serrato: il locale si riserva il diritto di selezione. Hai capito, magari se aprono nemmeno ti vogliono.

Pasticcerie manco a parlarne. Domani mattina dio solo sa dove compreranno le pastarelle della domenica. Che dico pastarelle! Così vicino alla campagna le paste in genere sono torte, le pasticcerie le ammucchiano, giganti e sbuffanti creme e panne, in immensi vassoi. Qui vedo una pasticceria sola, con buia stanza, senza apparente pasticcera in vita, in cui solinga e picciola vetrina sta.

Un servizio di piatti in offerta in stile Star Trek mi fa immaginare le frusinati tavole della domenica. Con i fini fini, una sorta di spaghetti, le sagne (maltagliati), le patacche (tagliatelle), le sagne pelose (con farina integrale), gli strozzapreti (spaghettoni)… Mah, chi lo sa cosa resta di queste tradizioni. Temo presenze di cappelletti Buitoni.

Ritrovo un mercato fatto di signore che vengono con i loro cesti dalla campagna. Anni fa vi comperai agli giovanissimi, con cui venne splendente frittata, e rose rosse a grappoli. Questa volta niente e di niente, e le signore sono di meno e meno sorridenti.

Mi infilo nel museo archeologico: chi cavolo sono, chi cavolo erano questi qui? Cocci a pezzi in vetrina e una classe di piccoli tenuta a lungo davanti ad essi, mentre una giovane guida illustra lungamente, dottamente, con voce squillante e senza interruzioni. I piccoli assembrati tacciono. O archeologi futuri, o per sempre scocciati.
Il museo è in due stanze, altre due sono dedicate a restauratori che hanno lasciato lì i loro vasi, i loro pennelli, i loro scaffali pieni di cocci, ancora.
Volsci, pare. E poi tracce di etruschi, vaghi bagliori etruschi in un’erma dal sorriso e dagli occhi ionici. E qualche resto romano. In particolare, un bel pupo di marmo.
All’uscita un custode mi chiede la firma come fosse cosa preziosa: il 2007 è sistemato. C’è stato un visitatore.

Soprattutto, Frosinone fu un gran luogo di traffici, passaggi, distruzioni, saraceni, lanzichenecchi, terremoti, pesti, bombardamenti. Che fanno di un sito con una storia millenaria un luogo senza attuale identità riconoscibile.

Non vedo librerie. Ce n'è una grande, chiusa, defunta, vuota, le saracinesche polverose. Un’altra, piccola, buia ma ancora in vita, in vetrina ha giochi elettronici. Mi infilo in un microscopico punto vendita Einaudi (che accidenti ci fa qui?) e chiedo se ci sono pubblicazioni su Frosinone (audacia senza rete). Il venditore sghignazza contratto con ogni parte di sé, dal naso alle orecchie. Insisto: qui c’è un’università? Sì, fa quello. Ingegneria e Beni Culturali. (Beni Culturali??). Io: gli studenti non chiedono libri? Lui, sadico: ci sono le fotocopie.

Molti negozi chiusi, le vetrine impolverate. Frosinone soffre. Nel palazzo della provincia, di cui colpisce la faraonica incongruità, è in corso un convegno promosso da vivaci giovani, sul problema della droga. Auguri, ragazzi!

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