sabato 30 luglio 2011

A CASA DI AIOLINA










Le case in alto sui tetti dei vecchi palazzi ottocenteschi, quelle cui si accede salendo al sesto piano con l'ascensore per fare poi l'ultima rampa a piedi non sono più nella città, ma altrove. Un altrove prossimo; un po' come vivere sotto i ponti, si è in città ma non si è nella città.

La loro pianta non è la pianta di un appartamento, ma quella di un insieme di baracche assemblate una accanto all'altra, una sull'altra nel tempo, con il crescere delle esigenze, delle opportunità, dei ghiribizzi, dello slancio verso il cielo. Queste case sono un'escrescenza del palazzo, come una capanna che stesse sulla testa di un popolo sotterraneo che abita in un altro mondo; si ricomincia tutto da capo, non si ha nulla in comune con le case "di sotto", ma si sta nell'universo di chi le abita e le segna con la sua impronta. Pare così che si possa essere spazzati via dal vento da un momento all'altro, e restituiti alla realtà del resto della città, e invece negli anni si resiste e si cresce.

Aiolina andava dicendoci: qui c'erano i cassoni dell'acqua, quando li abbiamo buttati giù ci siamo sentiti lanciare in cielo, si è aperto l'orizzonte fino ai castelli romani, ecco le luci di Frascati, di Palestrina; qua il tetto c'era e non c'era, era di plastica ondulata. Le terrazze sono una, due, tre, in una aspetta il nostro tavolo vestito di candido di lino; in un'altra c'è l'orto, dei peperoni magnifici, verdi e lucidi, l'insalatina, le melanzane, e insieme ci sono le pene di Aiolina: questi altri peperoni sono malmostosi, quei cetrioli l'anno scorso magnifici, eccoli ingiallire; rinuncio, ah! rinuncio... Oppure - speranza - chiedo a Isolina, la provetta giardiniera. Sbircio sulla terrazza accanto, ci si potrebbe saltare dentro: ci sono fantasie di Pantelleria, di sud, file di grandi piante grasse, candide tende; lì i casotti dei cassoni sono ancora in fila, come un villaggio misterioso. Più in là campanili, cupole e una gigantesca statua della Madonna che sembra camminare ad altezza di gabbiano dentro il cielo che arrossa. Un telescopio dice di fantasie di andare ancora più su.

La cucina sembra la cabina di un pallone aereostatico, bianca, quadrata, con delle finestrelle che vedono le case sottostanti lontane lontane, e al di là di nuovo l'orizzonte di piccole luci; ti aspetti folate di impetuoso vento, nubi che vengono ad accovacciarsi sulla tua testa come bianca parrucca; dall'altro terrazzo vedo i cortili di alti palazzi precipitare giù nel buio, la terra sembra sparita in qualche abbisso con gli umani che la abitano e mi pare di essere in città mai vista, forse quella della regina delle scimmie.

1 commento:

isolina ha detto...

pura meraviglia!

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