lunedì 4 ottobre 2010

BORGOGNA. CHÂTEAU DE BUSSY RABUTIN. STANZA DEGLI EMBLEMI. LA PEINTURE PARLANTE.
















Lo château è intriso di embleme e devise, come dicono i francesi. Di che si tratta? In rapidità si può dire che è denso di figure simboliche accompagnate da motti, da brevi sentenze.

L’embleme, emblema, è una figura simbolica spesso accompagnata da un motto. Differisce dallo stemma o dall’impresa perché ha senso generale, non identifica una specifica persona o famiglia. L’uso dell’immagine, la sinteticità evocativa del detto che usa parole ad alta densità emozionale, la congiunzione tra figura e parola sollecita l’immaginazione, desta in chi lo vede idee che vanno oltre quelle che l’emblema propriamente sembra esprimere.

Devise può tradursi con motto. In senso stretto motto vuol dire parola, ma acquisisce il senso di breve insieme di parole pregnanti, stimolanti una reazione emotiva intensa. Ad esempio, un motto di spirito. Ha il significato di detto breve, pungente, arguto, proverbiale. Ma devise rimanda anche alla divisione di colori propria degli stemmi, e in particolare a quella parte dello stemma che includeva un motto. Torniamo così a quella definizione di identità che prima sembrava esclusa dalla generalità dell’emblema. Del resto, la divisa stessa rimanda all’identità, all’identificazione, all’appartenenza a un gruppo.

Il motto rimanda pure all’aforisma, alla verità detta con poche parole, anche queste sollecitanti una risposta emozionale intensa, dove la possibilità di rovesciarne il senso, di cogliere il limite della verità proposta vale più di ciò che viene affermato: il pensiero gioca intorno alla verità.

Emblemi, motti, aforismi sono così verità ironiche, emozionate, aperte, più sollecitanti un pensiero a sua volta emozionato ed ironico che l’adesione a un credo, a una incontrovertibilità.

Il castello con i suoi lambris fittamente dipinti ricostruisce l’identità di Roger Bussy-Rabutin che rivive ogni volta che il visitatore viene irretito in questa rete di sollecitazioni ironiche ed emozionate potenziate dalla loro densa moltiplicazione e al tempo stesso viene lanciato da essa in un luogo di divertimento, di cambiamenti di strada, di pensieri inaspettati.

Il conte di Sarcus, proprietario ottocentesco del castello, posseduto dallo spirito di Roger - non si stenta a credere che una più lunga permanenza nel castello produca questo esito - adotterà a sua volta emblemi e divise, ne produrrà di nuovi che a volte si confondono con quelli del suo predecessore.

Bussy-Rabutin adottava questo linguaggio anche nelle lettere e lo condivideva con i suoi numerosissimi amici di penna. L’epoca di Roger infatti era prolifica di embleme e devise, la cui moda apparve in Italia e Francia nel XIV secolo; grandi teorici della potenza della parola congiunta all’immagine, della peinture parlante e promotori del suo uso erano i gesuiti, tra cui Roger aveva amici e corrispondenti.

Ma guarda un po’, dietro i vini (e i confetti di Flavigny) i benedettini, dietro il diluvio di emblemi e motti di Bussy i gesuiti!

Le pitture in alto rappresentano costruzioni e castelli regali dell'epoca. Sono di interesse documentario, poiché non tutti quei monumenti sono arrivati fino a noi. Alcuni particolari (parti costruite dopo la morte di Roger, ma raffigurate nei dipinti) fanno pensare che il committente fu il figlio, che proseguì l'opera iconografica del padre pur cambiando vissuti ed intento, come queste pitture mostrano.

Guardate il pavimento, di cui il castello va fiero: tipiche piastrelle borgognone dipinte, dove i passi non li cancellarono, di giallo e di nero.

Le notizie sul castello, prevalentemente da Le château de Bussy-Rabutin, Éditions du patrimoine, Paris 2005, dal sito del castello e da quello dedicato al castello dai fan di Roger.

La piantina e una presentazione la trovate in AAA.

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