domenica 8 maggio 2011

TREVISO. ALLE BECCHERIE E L'INVENZIONE DEL TIRAMISU'.











Alcuni luoghi, se pur fatti di mattoni e di umani, sembrano invece piante e come quelle dotati di una vita organica che quando giunge a termine, non c'é nulla da fare se non contemplarne il tramonto, che sia bello come quello delle rose che maestosamente sfioriscono o misero come quello di un prezzemolo lasciato ad appassire sul fondo di una dispensa.

Portati dall'onda di un ricordo - inverno, cercare un luogo che ci accogliesse, temere, sperare, trovare un posto nelle affollate, calde Beccherie, gustare la sopa coada, magnifico piatto nel quale come vedrete se seguite il link poi mi provai, essere tutti contenti fu tutt'uno - siamo tornati alle Beccherie dopo molti anni, in una giornata primaverile in cui le rapide acque di Treviso scorrevano vivamente chiacchieranti sotto roseti rossi e piangenti salici.

La sala di mezzogiorno ci ha accolto dapprima tutta vuota e silente poi timidamente appena popolandosi di teste bianche e bianchissime nella semioscurità di una quiete tra calma e malinconia, mentre un cameriere anni sessanta - giovane però e pieno di energia, seppure regolata dal suo rigoroso rituale di servizio - nel suo abito nero, camicia bianca, cravatta a farfalla, andava squillando sorridente: Comandi! E poi, ricevuta l'ordinazione: Volentieri! E infine tentando questi stomaci timorosi, evidentemente spintisi fin lì proprio perché certi di non avere sorprese, e offrendo fluide creme al mascarpone come tentazione finale: Dài, dài!

E così tra Comandi! e Volentieri! abbiamo mangiato il radicchio primaverile, verde e tosto, piccolo, dalle foglie tondette, con su la fumante pasta e fagioli, il tutto riccamente condito a tavola con aceto, sale e olio dal cameriere, che aveva l'aria di farci una bella sorpresa un po' trasgressiva. Questo è un piatto che consiglio e che ho provato anch'io, per esempio in questa versione, ma anche con il solo radicchio tardivo e i fagioli bollenti su, come tra l'altro viene offerto anche a La Zucca, una delle nostre osterie veneziane preferite. Un piatto contadino del trevigiano geniale e ottimo.

Poi uno stinco di maiale arrosto gustoso quel tanto che basta, un baccalà alla vicentina con polenta e dei fiori di zucca fritti cui dare lo stesso grado di apprezzamento.

Alla fine il tiramisù, che qui effettivamente non si può evitare, visto che Alle Beccherie hanno di recente vinto la causa che li dichiara inventori dell'onnipresente dolce, che servono nella versione originaria, ovvero nel modo in cui al tempo dei tempi degli anni sessanta del secolo scorso lo allestirono: tondo e basso, sottile. Viene poi arricchito dalla pioggia abbondante della citata crema di mascarpone. La storia dice che l'ovetto sbattuto con lo zucchero e i savoiardi erano la nota consolazione di tutte i bimbi e le bimbe trevigiani, che la patronne signora Alba, ora ottantenne e più, allora giovinetta incinta, aveva bisogno di sostegno e consolazione, che la suocera le portò zabaione e savoiardi, che lei poi vogliosa di un nuovo dolce se ne sovvenne e aggiunse il mascarpone, che con il cuoco Paolo Linguanotto si pensò questo dolce corroborante.

Insieme a quelli l'accudente cameriere ci ha portato degli zaleti, i biscotti di farina gialla, davvero più che ottimi e friabili. Imprevedibilmente, la cosa più buona che ci sia stata offerta.

Due parole sul decoro. Pareti giallicce catturano, insieme con lambris scuri, la luce, facendola ristagnare esitante. Al centro della sala un immenso vaso di vetro nero poggiato su un tavolo circolare assediato dai carrelli stipa nelle sue fauci fiori finti dall'aria secca e dura, alle pareti e attaccati al soffitto rilucono molti rami lucidati con cura e quelli sì mantenuti in affettuosa vita, evidentemente la ricchezza del locale. Mi sono fatta raccontare la storia dei grandi ruoti pieni di bozze, di cupolette, che facevano pensare alla cottura delle uova. E quelle di fatti vi si cuocevano, ma anche le lumache, sotto la cenere. Infatti qui, terra d'acque, si mangiano o mangiavano rane e lumache, e dall'ottima gastronomia Fermi ovvero nella Bottega del Baccalà (che aveva il ragno delle Lofoten, per dire) ho poi comperato un paté di lumache, chiamate con un nome che non ricordo, sciosci o qualcosa di altrettanto scivoloso.

Sulla tavola rilucono posate e sottopiatti di argentone, e la consunzione annosa li ha resi fluidi e smussati e lucenti in modo disuguale e morbido, così che lucono come rilucerebbe stagno o rivo ombroso, e se l'occhio si perde lì, immagina appunto rane e anatre e canne. In altri termini, il locale va forte sui metalli.

Una sorta di grande veranda non faceva entrare gran che di luce, per avere case prossime e per essere velata di un pizzo grumoso, di quelli che annidano polvere nel più intimo di sé stessi, diventando da bianchi per sempre grigetti, checché si lavino.

Il cestino del pane, poi, con il fascio dei grissini in busta appresso, fa tenerezza e ricorda la ristorazione familiare di prima dell'avanzata delle competenze e delle fisime e delle pretese dei gastroqualcosa, che ai cestini del pane dedicano così tanta (anche condivisibile) attenzione.

Teste bianche, dicevo, incluse le nostre. E alcune bianchissime, tremolanti e abitué. Difatti un tavolo, quando una molto anziana coppia é giunta, già aveva la sua acqua e il suo vino pronti, e dopo poco la proprietaria è andata a sedersi con loro e a chiacchierare con i due, con un'aria molto familiare, quotidiana. Baccalà con polenta tutti i giorni, mezza pensione? Rifugio confortante, approdo tranquillo.

Per quanto catturata e sedotta da questa malinconia, andavo nel frattempo rifacendo arredo e modi di cucina, ma posso garantire che ho tenuto rami, sottopiatti e cameriere. Infatti niente mi piace come non avere carta bianca, ma essere in conversazione con un posto, che mi dica tutto il suo meglio perché io lo possa cavar fuori con l'immaginazione, che si mette al lavoro e mi fa assumere un'aria persa mentre mangio fiori di zucca e insieme provo la nuova tinta delle pareti.

Antico Ristorante Beccherie

Piazza Giannino Ancilotto, 11
Tel. 0422540871



Maffioli - La cucina trevigiana, Muzzio, 1988, bibbia della cucina locale - quando parla di tiramisù inzia proprio con il Tiramesù legittimo delle Beccherie. Eccolo:

Montare a spuma 12 tuorli d'uova con mezzo chilo di zucchero e incorporarvi 1kg di mascarpone, ottenendone una crema morbida. Bagnare uno strato di 30 savoiardi con caffè zuccherato, quanto basta. Spalmare sui savoiardi metà della crema, sovrapporre un altro strato di 30 savoiardi che si bagnerà con altro caffè, spalmando la superficie col rimanente mascarpone. Cospargere il mascarpone con del cacao amaro, e passare in frigo sino al momento di servire.

Maffio indica poi variazioni: pandispagna invece che savoiardi, metà mascarpone e metà crema pasticcera o metà mascarpone e metà panna montata. Aggiunta di rum al caffè, fare lo zabaione con liquori aromatici tipo kirsc, sostituire lo zabaione con panna montata e rapatura di cioccolato, aggiungere canditi a filetto, specie cedro e arancio, o polvere di praline di mandorla o nocciola, o di mandorlato o di torrone, o di amaretti.

Indica quindi due dolci trevigiani come parenti stretti del Tiramesù. Se ne deduce che tutta Treviso era un fervore di mascarpone, panna, savoiardi. Ve li passo con le sue parole, che sembrano inseguire ricordi.

La zuppa inglese al caffè per nonno Giuseppe
Alla base c'era uno strato di savoiardi bagnati al caffè ristretto e sciroppo di rum. Poi c'era uno strato di mascarpone setacciato con tuorli di uova sode, diluito di Cordial Campari, altro strato di savoiardi al caffè e rum. Altro strato di mascarpone, come sopra. Poi altri savoiardi al caffè e, per finire, due dita di panna montata, cosparsa di cacao dolce, pettinata con la forchetta, e decorata di pignoli infilzati sulla panna, e di ciliegine candite, oppure di minutissimi confettini argentati.

Bavarese al caffè di zia Teresa
Era una variante migliorativa del dolce precedente, solo che i savoiardi erano imbevuti di composto del tipo bavarese, e gli strati di mascarpone erano variati, il primo con l'aggiunta di cioccolato fondente grattugiato, ed il secondo con polvere di amaretto. Non si presentava come una zuppa inglese, ma data la sua maggior consistenza, veniva capovolto da un bello stampo turrito, e dopo questo capovolgimento la si impennacchiava di panna montata. Dessert bellissimo, che talvolta la zia Teresa variava sostituendo gli amaretti con pistacchi tritati e aggiungendo uno strato di mascarpone, con ciliegine tritate e colore di alkermes, sviluppando il dolce in altezza, e il risultato era di un "bianco, rosso e verde" che induceva all'amor di patria. Chi fosse tentato di riprodurre un tal dolce, veda ricetta precedente di "bavarese al caffè".

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