da Artemisia Comina.
Perché cimentarsi con la sopa coada? Pare sia molto difficile ottenerne una, a meno che non te la faccia da te. Si favoleggia su lunghezza e complessità di preparazione, ma al di là del mito, è più comoda a farsi di una frittura all'ultimo momento. Tra varie versioni, ho scelto una delle più lineari e classiche. Ci sono anche zuppe con polli, fagianelle, sedano, radicchio. Nel dicembre 2015, a Treviso, da Toni del spin, mangio zuppa coada con piccioni. Ho potuto studiare da vicino la loro versione, dove la fetta di sopa giace nel suo ottimo brodo piccionico. Soluzione sbrigativa ma completa da osteria (vedi foto con tovaglia a quadretti). Nel menu Febbraio 2004. La cena della sopa coada. Ottima. Alcuni la servono con una tazza di brodo di accompagnamento, che si beve insieme, o si versa sulla zuppa. Nel dicembre 2016 ne ho fatta una versione rinascimentale: Zuppa di cappone alla Messisbugo, antenata della sopa coada.
Per sei.
Far stufare con un po' di olio d'oliva e burro, su fuoco debolissimo, due piccioni puliti e tagliati in quarti (tenere da parte fegati e cuori) conditi con sale e pepe nero, su una dadolata fatta con due coste di sedano rapidamente soffritta all'inizio.
Circa tre ore. Ho usato una pentola di coccio a misura, sigillata con foglio di alluminio.
Quando i piccioni sono cotti e disossabili, disossarli, riducendone la
carne a filetti. Tenere da parte le ossa. Tagliare cuori e fegati a
pezzetti, e aggiungere ai filetti di piccione.
Fare un brodo con circa un kg di carne, odori, chiodo di garofano.
Ho usato campanello e punta di petto, di manzo. La carne bollita va
usata per altro pasto. Dopo averla tolta, aggiungere al brodo le ossa di
piccione e far andare ancora per un quarto d'ora. Filtrarlo.
Affettare un po' meno di un terzo di un filone di pane (ho usato il casereccio di Lariano, al quale non ho tolto la rustica crosta), a fette di circa un cm.
In una teglia da forno che vada in tavola, dai bordi alquanto alti -
bene un plat sabot - fare uno strato di pane, uno di carne di piccione, grana (150g in tutto) e montasio
(200g in tutto), uno di pane etc. In conclusione, si avranno tre strati
di pane e due di carne e formaggio. Sull'ultimo strato di pane, ancora
grana e poco montasio.
Bagnare con il brodo, che arriverà a filo delle ultime fette di pane.
Versare ancora un po' di brodo dopo che il liquido si sarà assestato,
assorbito dal pane, e versare qualche ultimo mestolino sulle fette
superficiali, senza sommergerle.
Due ore, forno già caldo, 100°.
Controllare, di quando in quando, se è necessario rimboccare il brodo. A me non è servito. Alla fine, importante: la zuppa sarà bagnata, ma non liquida; in altri termini, il cucchiaio non è necessario. L'ultimo strato di pane è abbrustolito e croccantino.
Va servita bollente, spolverata di pepe nero appena macinato.
Una nota di possibile storia.
Maffioli, in Cucina trevigiana Muzzio Ed., 1988,
dedica ben undici pagine a questa zuppa, alle sue varianti, ai vari modi
nei quali i più attendibili ristoranti trevigiani di allora la
declinavano. Ne dà versioni con la trippa, con i funghi, con il
radicchio, con le cipolle, con gli spinaci, con il pollo... ma ci dà
anche quella che chiama "versione originale"; versione che attraverso
amiche che se la passavano nella discrezione e nel segreto arriverebbe
dritta dalla ricetta della Trattoria Boschiero, una delle due trattorie
di Treviso, insieme a quella della Gobba dele sciatiche, storicamente
più note per tale zuppa. Maffioli è stato la mia maggiore fonte di
ispirazione e studio.
Abbandonandosi a una di quelle divagazioni storiche che rendono tanto
piacevole la lettura dei suoi testi, ci dice che senz'altro zuppe di
piccioni trovano le loro radici nei ricettari della rinascenza che tanto
passarono e ripassarono dalle parti di Venezia, non fosse che per
venirvi editati. Tuttavia, suggerisce che almeno nel nome la sopa coada
potrebbe avere parentele con le zuppe sarde. In Veneto non ci sono
documentazioni di zuppa coada prima dell'Ottocento; mentre il nome
rimanda alla zuppa quatta o quata (nascosta) gallurese, ma anche a una
zuppa con le grive, ovvero con i tordi o con i merli del cagliaritano e
dell'ogliastra. Maffioli ipotizza il passaggio in Sardegna, dopo
l'unità, di un soladato sardo esperto di zuppe. In Veneto la sarda
coatta sarebbe diventata coada. Un'ottima zuppa sarda di agnello e
finocchiella segue questo tipo di traccia.
Inoltre trovo un post di Giampietro Rorato del 2012
che pure riprende Maffioli e le sue ipotesi sarde, ma aggiunge una
ricerca all'indietro fino a Messisbugo, cuoco medioevale che propone una
Ur sopa coada con pizzoni o pollastri; l'ipotesi di Rorato è che gli
estensi ne avessero una versione con piccioni per la reggia di città e
una con polli per le residenze di campagna. Ricordiamoci che mangiar
piccioni torraioli fu cosa da aristocratici possidenti, basti pensare
alle piccionaie dei castelli francesi e alla normativa che imponeva ai
contadini di rispettare tali predatori di sementi nelle loro razzie e di
non toccarli. Scopro pure che esiste una versione di sopa coada di
Motta di Livenza con polli.
Messisbugo fu cortigiano degli Este con molteplici importanti funzioni
tra cui il presidiare i conviti - una sorta di Vatel - scrisse pure un
importante manuale, Banchetti composizione di vivande e apparecchio generale, per gli specialisti del pasto principesco, pubblicato nel 1459, un anno dopo la sua morte (cenni biografici da wikipedia).
Questa la proto - ricetta di Messisbugo:
A fare una suppa di pizzoni o pollastri.
Piglia fette di pane
brustellate, poi piglia pollastrelli in quarti cotti arrosto e habbi una tiella
[teglia] di pietra e mettili un solaro di fette di pane nel forno, con
formaggio e zuccaro e cannella, e poi fa un altro suolo con detti quarti di
pollastri sopra, con zuccaio e formaggio grattato e cannella, e poi piglia buon
brodo grasso e ponilo sopra tanto che stia sotto e poi dalli un’altra mano di
sopra di zuccaio e cannella e formaggio grattato dalli una caldetta nel testo e
serà fatta.
4 commenti:
e un madrigale per sottofondo sonoro, Monteverdi sì
Grande personaggio, Giuseppe Maffioli (buonanima)!
sai che ogni volta che lo nomini, mi viene in mente quella sua apparizione nel film con U.Tognazzi "Il Commissario Pepe"?.
Interpretava la parte del bast...o così bene, che ha fatto di Nicola Parigi un personaggio indimenticabile. Peccato che molti suoi libri non siano più disponibili. Speriamo in una ristampa, come per la "Cucina Padovana".
la Cucina Veneziana e la Cucina Trevigiana (ancor più, forse) sono imperdibili. Non li hai?
purtroppo no. Pare non siano più sul mercato.
vediamo se ho imparato la lezione:
Maffioli-Parigi
grazie!
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