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Gotico fiammeggiante, si dice per raccontare di questo gotico ricco di pinnacoli che si attarda prima di essere spinto fuori gioco da rinascimento che arriva dal sud con i suoi archi arrotondati e la memoria dell'antico. Margherita, la rosea, venticinquenne arciduchessa di sangue e cultura internazionale che fa erigere la chiesa e il monastero di Brou per seppellirvi se stessa, il marito e la suocera conosce bene gli architetti e gli artisti fiamminghi, ed è in grado di scegliere tra loro quelli che meglio sanno tirar su una grande chiesa luminosa dai vasti finestroni, sorretta da alti pilastri, dotata di portali ricchi di girali e fiocchi di pietra, elaborate chiavi di volta, di un coro amplissimo in cui vanno le ricche tombe e di ben tre chiostri, fatto abbastanza eccezionale.
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Ha visto in Spagna, dove è stata per un breve sfortunato matrimonio che dopo pochi mesi l'ha lasciata vedova di una vedovanza che precede quella che adesso va celebrando a Brou, gli immensi e ricchi conventi che sono al tempo stesso palazzi reali e ne fa fare uno per sè, anche se la vita non la porterà mai ad abitavi. Il primo chiostro, il più esterno e il più piccolo, quello dove adesso fiorisce una bianca magnolia è quello dei suoi appartamenti.
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Da quello si vede risplendere, sotto raggi di sole che irrompono dopo parecchie ore di nubi e un'aria velata di piovo - non piovo, la distesa dei tetti a punta dalle tegole orientali e colorate, bizzarramente simili a un tartan, che il restauro della fine degli anni novanta del secolo scorso ha restituito alla chiesa dopo un paio di secoli di carpenterie raccorciate alla Mansart e di tegole buie, dovute prima alla tirchieria o all'effettiva povertà dei frati che abitavano il convento, poi all'incuria che anche qui aveva seguito la Rivoluzione. E già gli era andata bene, alla chiesa, di essere stato presto dichiarato monumento di interesse nazionale, cosa che non aveva impedito la distruzione di alcune capelle e un'uso mortificante del convento, ma che aveva complessivamente salvato l'opera.
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Accanto a questo, in una posizione più interna rispetto all'ingresso, il chiostro più grande, quello dei monaci Agostiniani chiamati a occuparsi del convento e della chiesa, destinato a un uso meno pubblico.
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Più defilato ancora, il chiostro di servizio, con il pozzo, su cui danno le cucine, le latrine, la prigione, la biblioteca, l'infermeria. Vi invito a riflettere su tale assemblaggio, funzionale e concettuale. Qui lo stile cambia, da nobile si fa domestico, e l'architettura viene affidata a maestranze locali, che diminuiscono l'uso degli archi e con loro quello della costosa pietra. Il pavimento è acciottolato, antico e venato d'erba, l'aria improvvisamente remota. Se qui ancora ci sono fantasmi, certo scelgono questo chiostro.
Al piano superiore le celle dei monaci, molto ampie e ricche, che fanno pensare che finchè ci fu il denaro ci fu una vita assai agevole e in cui oggi c'è il museo di Brou, e un corridoio illuminato da una magnifica lanterna di pietra.
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