lunedì 6 giugno 2011

IL DIAVOLO INNAMORATO DI CAZOTTE. UNO SPUNTINO DA MILLE E UNA NOTTE.






Mi piace del racconto settecentesco il passo svelto, la strada polverosa e ricca di sorprese, il viaggio lungo e curioso, il mondo pericoloso e grande, il protagonista al tempo stesso sprovveduto, coraggioso per ignoranza ma poi anche per cuore, e a rischio perpetuo di vita e anche di più. Candido fu così. Ma forse il primo, molti secoli prima, fu Lucio, e tra gli ultimi ci sono Paperino e più ancora Vilcoyote: entrambi questi ultimi sono in grado di camminare nel vuoto prima che li catturi la forza di gravità e le esperienze solo apparentemente non li educano, mentre di fatto contribuiscono ad alimentarne la mente affettuosa e non conformista.

Ricordavo del Diavolo innamorato solo la testa di cammello e l'atmosfera vaporosa, piena di lampi e abbagli; sapevo per certo che era uno di quei racconti da rileggere volentieri più volte. Ma non sono riuscita a ritrovare il mio smilzo, elegantissimo, grigio libretto BUR, quello che avevo scoperto nel luogo privilegiato della biblioteca della casa di campagna, dove giacciono libri oggi in ordine sparsissimo, dal settecento (appunto, appunto)  con pochi sopravvissuti tra Metastasio e tomi di legge, all'ottocento con gruppi compatti per autori, rilegati e con il nome di quello che fu il loro proprietario in lettere d'oro sulla copertina, per arrivare al secolo scorso con edizioni economiche, scompagnate e mescolate alle riviste. In questa congerie senza fondo, nascosti in seconda fila - cosa rara in questa collezione e non dovuta allo spazio - molti anni fa, all'epoca della mia giovanile e incantata esplorazione della lettura, trovai un piccolo tesoro BUR: Le relazioni pericolose, I gioielli indiscreti, L'Aminta, L'Asino d'Oro, Il Diavolo (e dove se no?). Ora quel diavolo non lo trovo più, e me ne sono procurata uno nuovo curato (allevato, spupazzato) da Isabella Mattazzi.  Isabella è una lettrice di AAA; abbiamo così il piacere, Artè ed io, di dedicarle questo post.

Novella di iniziazione alla vita come tutte le precedentemente evocate, e proprio come la novella di esordio della Bibbia, c'è sempre il diavolo a fare da pedagogo (come sempre accade ai formatori,  usato e poi abbandonato, ma mai veramente dimenticato);  in questo caso, quello di Cazotte, non si apprende a distinguere il bene dal male, ma il vero dal falso, ovvero siamo nella piena modernità: è lo stesso affare che riguarda anche noi.

Il protagonista inizia come conformista e scervellato al massimo (congiunzione classica); preso dall'urgenza di agire (conformisticamente e scervellatamente) non gli resta che trasgredire (anche questo, un classico modo di coniungare conformità e scervellaggine). Ma per sua fortuna approda su un sentiero molto più scivoloso del previsto, e finisce con non poter più porre altro rimedio all'esperienza se non imparare qualcosa (benché recalcitri quanto può): il vero e il falso sono confusi e si passa il tempo a dipanar la loro matassa, non c'è ortodossa mamma che alla fine della novella rimedi con il suo abbraccio consolatorio, nella culla dei fatti chiari e del pane al pane non si torna mai più.

Quanto al diavolo in questione, ho capito che veniva dritto da Le Mille e una Notte non appena l'eroe (tal Alvaro, capitano delle guardie del re di Napoli), subito dopo averlo evocato, gli fa immantinente, come prima impellente richiesta, la lista della spesa, e la fa proprio con lo stile e il tono di snocciolarla con la pedanteria della padrona di casa che dia ordini alla servetta che appartiene alle Notti. Ecco svelato il mistero di un diavolo che in prima battuta prende la forma di una testa di cammello con eloquio italiano, visto che da Napoli, ove risiede l'eroe - e abbiamo così sullo sfondo il brulichio vivace di quella che allora era la più popolosa e importante città d'Italia - per trovare il diavolo si va agli scavi di  Portici: la Bestia viene dritta dai deserti del Medio Oriente ed è un jinn. Le Mille infatti più che racconto erotico, come sempre si spaccia, sono grande abbuffata: si fa continuamente la spesa. E' la prima cosa che si chiede a ogni mezzana che stia lì a tessere rapporti seduttivi, sempre si imbandisce tavola, e a volte per l'irresistibile felicità di ingozzarsi di prelibatezze ci si addormenta e si salta addirittura l'occasione amorosa. Insomma è l'apoteosi dei morti di fame che immaginano il loro paradiso (per questo ci piace così tanto).

Cerchiamo di far raccapezzare qualcosa anche chi del racconto non sa nulla. Un giovine scervellato e conformista si annoia e non vede l'ora di fare qualcosa anche senza sapere che: trova un mezzano che lo avvicina agli spiriti visti come strada per raggiungere un magico ovvero incompetente e arraffante potere sulle cose, si misura nell'impresa di catturarli e domarli, quindi a Portici, ovvero entro le appena scoperte rovine di Ercolano (e certamente attingendo anche al formidabile potere del risorgente mondo antico), incontra un diavolo che dopo la prima apparizione gibbuta e cammelluta si muta in un essere seducente, diciamo tendenzialmente una fanciulla, ma forse più esattamente un androgino. 

In tutta una prima fase la "fanciulla", detta Biondetta, serve, obbedisce, langue e attende; non appena l'improvvido si lascia avvicinare con confidenza, il diavolo diventa - come è giusto - legione, e il sirenico essere moltiplica le sue nature, in una ridda di umori e pareri e pretese a malapena giustificata con la solita scusa dell'essere femmina, ridda che fa ulteriormente rimbecillire il ragazzo, la cui sola difesa è l'intignare con il conformismo, per altro sempre più sfilacciato, tanto che presto non arriva più a coprirgli nemmeno le pudenda, in senso sia letterale che figurato.

Quando l'eroe è definitivamente confuso e consegnato alla necessità di interpretare la realtà e di fare delle scelte e non più di constatarla ed arraffarla, viene abbandonato dal suo precettore che ha oramai compiuto la gran parte dell'opera, non senza la promessa di qualche richiamo in un futuro caso di bisogno.

Ci sono due o tre scene conviviali. Cazotte non è buongustaio: solo nella prima, già evocata, in cui Alvaro fa ammannire il desco al diavolo, accenna a cosa si porta in tavola. Ci accontentiamo: è questa scena ad essere cruciale. Ve ne trascrivo alcuni brani.

Avanziamo tra i ruderi, e finalmente arriviamo, quasi a tentoni attraverso le macerie, in un luogo talmente immerso nell'oscurità che nessuna luce esterna poteva penetrarvi.

Siamo tra le rovine di Ercolano; Alvaro vi arriva con il suo mentore, tal Soberano, che lo introduce alle tecniche con cui contattare gli spiriti, e un altro par di compagni d'avventura. In questo luogo massimamente denso di simboli e per ciò oscurissimo Alvaro viene lasciato solo, munito di una ricetta di evocazione del diavolo, che mette in atto tra sbruffoneria e paura. Dal buio iniziatico che azzera tutto ciò che c'era prima si torna, piano, alla luce: viene accesa una candela, si intravede una volta cavernosa.

 (.....) Avevo appena finito che proprio di fonte a me, si apre una finestra a due battenti, in alto sulla volta: un torrente di luce più abbagliante di quella del giorno si riversa dall'apertura: una testa di cammello, di forma e dimensioni mostruose, si presenta alla finestra; soprattutto aveva due orecchie davvero smisurate.

Ecco la scena che di tutto il racconto mi era rimasta in mente: questa grande, irrompente testaccia di cammello. Subito dopo il diavolo diverrà spaniel saltellante, poi Biondetta, seducente fanciulla. Ma già qui questa strana finestra ricorda le innumerevoli finestre delle serenate alle belle, quelle che prima ritrose poi lusingate al canto si affacciano: viene alla mente don Giovanni, e si preannuncia l'andamento che prenderà l'affare.

Mentre il diavolo su richiesta di Alvaro ha preso forma di spaniel ed è sdraiato a terra ai suoi piedi, quello gli chiede:

(....) "Tirati su" dico, "ti perdono; vedi che sono in compagnia; quei signori aspettano poco lontano da qui; la camminata probabilmente li ha affaticati; voglio offrire loro un rinfresco; mi occorrono frutta, marmellate, gelati, vini di Grecia. Ascoltami bene; illumina e decora la sala senza sfarzo, ma dignitosamente. Verso la fine del rinfresco ti presentarai come una cantante di prim'ordine e porterai con te un'arpa, ti avviserò io quando dovrai fare la tua entrata. e bada di recitare bene la tua parte, con una voce piena di espressione e un contegno distinto e riservato..."

Frutta, marmellate, gelati, vini di Grecia: ogni epoca ha le sue rarità e squisitezze. Ecco quelle della Francia prerivoluzionaria, ove le ghiacciaie erano confort aristocratico, la frutta non veniva dal Cile (Proust, molti anni dopo, offrirà ancora frutta come regalo pregiato, inviandone cesti a chi voleva sedurre) e le conserve dolci troneggiavano su ogni tavola dall'inizio alla fine, specie nel bel servizio alla francese dove la natura morta e le alzate prevalevano sulla girandola di piatti introdotta poi dal servizio alla russa abbondante di camerieri. Quanto al vino di Grecia, che poi si scoprirà essere il dolce, passito, anchissimo vino di Cipro, evidentemente Alvaro lo considera pregiatezza, in un'epoca nella quale nasce il vino "moderno" e in cui i vini francesi andavano già per la maggiore. E' esotismo ricercato, al diavolo non si chiede vino sfuso della casa (per quanto...).

Per prima cosa il diavolo fa bello il luogo (notiamo che Alvaro non è un cafone: senza sfarzo):

(...) I muri della volta, un momento prima neri, umidi, coperti di muschio, prendevano ora tinte morbide, forme gradevoli; era un salone di marmo sceziato. Un arco sorretto da colonne disegnava l'architettura della sala. Otto candelabri di cristallo, con tre candele ciascuno, diffondevano una luce vivida, uniformemente distribuita.
Un momento dopo viene apparecchiata la tavola e il buffet si riempie di tutte le delizie del nostro banchetto; frutta e marmellate erano tra le più rare, le più saporite e le più belle che avessi mai visto. I nostri piatti e quelli da portata, di porcellana giapponese.


Qui Alvaro pensa che più che un cane obbediente (che ha già chiamato Biondetta: è un nome da bestiolina, da pet) ci voglia un paggio obbediente e ordina al diavolo di assumere quelle vesti. Gli ospiti vengono fatti entrare.

(...) Li pregai di mettersi a tavola; il paggio avvicinava loro le sedie con incredibile prontezza. Eravamo seduti, avevo riempito i bicchieri, distribuito la frutta; ma soltanto io ero in grado di mangiare e parlare, gli altri se ne stavano lì, a bocca spalancata, come interdetti. Tuttavia li invitai ad assaggiare la frutta e la mia sicurezza li convinse. (....) Il paggio si fa in quattro e il servizio è rapidissimo, senza interruzioni. Gli lancio un'occhiata furtiva: immaginatevi Amore in costume di paggio. (...) decisi che era tempo di cambiare scena (...)

Si esita a infilare in bocca il cibo diabolico: viene alla mente Proserpina: la convivialità è un legame impegnativo.
Viene chiamata la cantante, e il diavolo muta le vesti di paggio per quelle della signora Fiorentina, celebre cantante in viaggio con la sua arpa.

(...) La dama canta. Non avevo mai sentito una voce più piena, più appassionata ed espressiva: nessuno avrebbe saputo ottenere un maggiore risultato, con così poco sforzo. (...) Il fuoco dei suoi sguardi trapassava il velo con una forza e una docezza inimmaginabili (...)

Nonostante tutte queste seduzioni la compagnia resta sul chi vive.

(...) non vedevo che sguardi imbarazzati; decisi di ricorrre al vino di Cipro. Io l'avevo trovato delizioso; mi aveva ridato le forze, la presenza di spirito; raddoppiai la dose (...)

Tuttavia basta, è ora di finirla: chi è stato catturato, l'eroe designato, resta con il caro diavolo, gli altri si dileguano nell'ambiguità: profani che la scampano, o diavoletti alleati, come poi si potrà sospettare, non importa. E' ora della carozza (pure quella fatata, qui siamo a Cenerentola), si torna in città.

Jaques Cazotte, Il diavolo innamorato, a cura di Isabella Mattazzi, Manni, San Cesario di Lecce 2011

4 commenti:

papavero di campo ha detto...

beh una vera chicca, speciale delizia al palato della mente,
quel giorno che me lo son portata in miontagna a camminare -non posso stare mai senza un viatico libro- poi nell'atto della sosta m'era venuto fuori un haiku immediatissimo zampillante -forse da piede di porco! frizzante come l'aria dei respiri di montagna,

(lo metto anche per mio saluto e omaggio a Isabella Mattazzi, di cui ho molto gustato il saggio introduttivo ed io proprio da Todorov ero arrivata al diavolo -ah la cornucopia della letteratura fantastica! nettare e ambrosia nel nostro eden possibile!-)

sei un diavolo d'un
diavolo innamorato
se fai sul serio

(haiku del tre di maggio 2011)

disegni splendidi, anche l'abbozzo dei tratteggi lascia spazio ad immaginare e pensa cara Artè, nel leggere del banchetto diabolicamnete allestito non ti vò a pensare all'Artemisia? tua ontologica compagna inseparabile diavolessa:-)

e leggerti artemisia è un godimento degno da zibibbo da uve moscardelle e da tutti i giulebbe degustativi immaginari oltre realtà ché degustare immaginativamente -non colmerà le ataviche lacune, ma immette correttivi di un portata eccelsa ...laddove un vino vero passa per scialbetto:-)

ps: doverosa segnalazione, per adeplphi piccola biblioteca, guarda di Alexander Lernet-Holenia, il signore di parigi, c'è cazotte la sua profezia

concetta ha detto...

Gentili e pregevoli signore,vi volevo ringraziare delle vostre preziose indicazioni su Venezia!
Grazie ai vostri suggerimenti ho mangiato splendidamente e senza resse eccessive in giorni(quelli della Biennale..)in cui non era certo facile girare e mangiare bene.
Leggervi è come sempre un piacere!
Grazie
Concetta

artemisia comina ha detto...

Pap, quella testa tagliata, che spreco. Di quanti diavoli ci ha privato?

grazie.

artemisia comina ha detto...

Concetta, grazie e te che ci consoli .))

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