martedì 9 settembre 2008

CENA IN MAREMMA. UNA SERATA SBAGLIATA. OVVERO, PERCHE' E' RISCHIOSO NON FIDARSI DEGLI ASTRI.



di Sulphur.

21 agosto 2008. Il segno c’era stato. Chiaro ed inequivocabile. Una nostra cara amica, per un improvviso ed inopinato malessere, aveva dato forfait. Così una delle nostre esplorazioni gastronomiche estive, da tempo programmata e fantasticata, avrebbe perso un’importante unità, per altro una delle più attive. Perdita affettiva, sicuramente. Ma anche, come avremmo in seguito realizzato, preciso monito astrale. Doveva bastarci. Come dire: “Rinunciate. Rimanete in casa”. Con il conforto, magari, di una tisana depurativa a ritemprare dagli eccessi dell’ozio agostano; con il regalo di una sosta di rilassata rilettura – di una delle “Nine stories” di Salinger ad esempio – così essenziali nella loro cruda bellezza; con l’opportunità di sospingere di tanto in tanto lo sguardo, dalla nostra finestra preferita, sulle colline toscane che ci attorniano, sulla loro tenera linea mossa che scurisce nella sera. E, invece, no: li abbiamo sfidati. Gli astri, intendiamo. E mal ce ne incolse.

La nostra meta: quella Trattoria Toscana, una stella Michelin, che sotto l’understatement del nome, cela il sofisticato e ampiamente pubblicizzato connubio tra la fascinazione della cucina francese, con la benedizione di un celebre chef come Alain Ducasse, e la ruvida, ma sapida semplicità dei sapori di Maremma. Quello, per intenderci, che ha prodotto la ricercatezza della Maison d’hôte “L’Andana”, che la “Trattoria Toscana” affianca nella maremma grossetana, per l’appunto.

La strada che corre stretta e buia, il nostro “impegno” era per la cena, tra Castiglione della Pescaia e Grosseto, non consente distrazioni. Può capitare infatti, come è accaduto a noi, di superare, senza scorgerla, la bassa e non illuminata insegna del ristorante, ostentatamente négligé, e di essere costretti a pericolose manovre di conversione per raggiungere l’agognato obiettivo. Discrezione, si dirà: tanto più apprezzabile in tempi di pubblicità aggressiva e gridata. In questo caso, però, ci è sembrato si rasentasse il vacuo snobismo del “vieni a cercarmi”.

Comunque, la nostra difficoltà a trovare la “Trattoria Toscana” doveva essere interpretata (lo diciamo con il senno di poi) come un secondo ammonimento degli astri: ma non ce ne demmo per intesi.

Accolti da un’elegante giovane hostess dall’accento francese, rigorosamente in nero, che ci prega cortesemente di attendere il nostro turno per essere accompagnati al tavolo, veniamo però scortesemente superati da un gruppo di vocianti e sgangherati ospiti, entrati dopo di noi e prontamente rilevati da un disattento (speriamo!) e altrettanto sgangherato cameriere, che ci ignora del tutto. Finalmente, la giovane donna in nero, dopo aver compulsato il suo taccuino, anche se con aria di dubbio e incertezza, ci conduce con sicuro e determinato incedere al nostro tavolo da tempo prenotato. Ma, sorpresa, il nostro tavolo sembra non esserci (o meglio non essere libero), come ipotizziamo dallo smarrimento che in principio la coglie e dall’imbarazzato sorriso che poi ci rivolge. E siamo al terzo, forse quarto “segno” da noi sfrontatamente ignorato.

Quando riusciamo a trovare posto – l’assetto, nel vecchio granaio che ospita il ristorante, è sofisticato e non privo di un qualche esibito sussiego – maître, anche lui dall’accento francese e dall’aria volutamente dégagé, sommelier e camerieri ci circondano delle consuete ed attese premure. Ci rilassiamo e pensiamo di aver avuto noi la meglio, in fine, sugli astri ostili. Ma ...

Affrontare lo stoccafisso con passata fredda di fagioli dall’occhio si rivela ardua impresa. Pescare le tre, quattro sottili scaglie di pesce, il cui esangue pallore le rivela come semplicemente passate in acqua bollente, nella gelida (d’accordo l’estate, ma qui si rischia la congestione) liquidità dei legumi che le sommerge e le cancella non riserva alcuna soddisfazione. Così come non la riservano i totani ripieni, gommosi e scipiti, farciti di algidi ed inespressivi spinaci, ancora una volta a malapena lessati. La carta ce li proponeva, per altro, accompagnati da ricotta (una citazione del celebre tortello maremmano?): di quest’ultima, però, non riusciamo a scorgere la benché minima presenza. Ma il vertice (di disperazione) si raggiunge con le code di rana pescatrice all’acqua pazza, con le quali ingaggiamo un forsennato corpo a corpo per cercare di intaccarne la polpa, talmente tenace e coriacea da farci pensare ad un transito diretto, senza alcuna elaborazione o cottura, dal mare (speriamo!) al nostro piatto. In tanta avventura, non siamo neanche assistiti dal supporto delle consuete posate da pesce, che l’abborracciata mise en place non contempla e che invano attendiamo dal nostro disattento (speriamo ancora, solo disattento!) cameriere.

Lo charme di Francia si perde allora nell’assoluta disattenzione ai particolari essenziali, dietro la facciata degli accenti francesi del personale sparsi a profusione, che da soli, tuttavia, possono forse creare atmosfera, magari épater le bourgeois, ma non fanno cucina, né tanto meno alta cucina o alta qualità d’accoglienza.

Così, ad esempio, rimaniamo abbandonati al nostro tavolo, con l’impossibilità quasi fisica di raggiungere e sorseggiare il Vermentino di Bolgheri scelto in principio per accompagnare le nostre pietanze che, dopo un primo giro, rimane dimenticato nel cestello da ghiaccio distante da noi, scoraggiandoci, per altro, dall’effettuare altre opzioni. E pensare che il sito web del ristorante lo segnala per la sua “impressionante lista dei vini” (d’accordo la Francia, ma non sarebbe utile una supervisione delle traduzioni? O anche questo “fa” charme?).
Così, ancora, veniamo serviti senza alcun riguardo alle precedenze che obbligherebbero, se non altro, a tenere in conto la presenza delle signore.
Così, i menu richiesti per la scelta del dessert ci arrivano mescolati e le signore (orrore!) si trovano a doversi confrontare con la trivialità dell’indicazione del costo dei vari piatti.
Così, il liquore all’arancia che ci viene offerto dall’imbarazzato maître per scusarsi, come risposta cortese alle nostre pur giuste rimostranze, ci viene scortesemente servito di fretta, sans façon, sia rispetto alle già ricordate precedenze che alle quantità, tanto che qualcuno, come chi scrive, a stento può ricordarne il sapore.

Per finire, accompagna il conto un mini questionario tagliato sulla moderna concezione della customer satisfaction. Ancora una volta, però, con una piccola, ma sostanziale caduta di stile che non ti aspetti, come tutto il resto, in un ristorante del genere: il questionario, collocandosi immediatamente dopo una declinazione di dati personali, richiesti per essere aggiornati sulle future proposte dell’hotel e del ristorante, non è, come dovrebbe essere, anonimo.

La sensazione generale che ne ricaviamo, insomma, è che l’incontro Ducasse-Maremma, sia da considerarsi più un’operazione di facciata, sfrontatamente commerciale, che non un sostanziale tentativo di integrazione tra differenti culture del cibo o di rilettura di umori, odori e sapori diversi. D’altra parte, lo stesso sito web de L’Andana colloca, ad esempio, la maremma in un’area per così dire virtuale “tra il Chianti e Siena”: una collocazione fittizia che richiama due luoghi molto “parlati” soprattutto tra gli stranieri, ma che poco o nulla con la maremma hanno a che fare. E che dire del fatto che lo stesso sito ci informa che L’Andana “è stato nel sedicesimo secolo il palazzo estivo del Duca Leopoldo”? Peccato che il Granduca Leopoldo II, quello che si adoperò per bonificare ampie zone della maremma, abbia governato dal 1824 al 1859 e l’unico Granduca “del sedicesimo secolo” fu Cosimo I dei Medici (1537-1574) … Come stupirsi allora se qualcuno degli ospiti stranieri dell’hotel, nelle sue riflessioni sul soggiorno in maremma (è sempre il web a parlare), la ritenga una regione bellissima, molto più di Toscana (!) e Umbria?

Riprendiamo, mesti, la via di casa, la strada buia e stretta che collega Grosseto a Castiglione della Pescaia, per poi inoltrarci nel cuore più fiero e, un tempo, ostile della Maremma, quella vera, quella per intenderci che “disfece” la dantesca Pia, con la convinzione di aver scelto la serata sbagliata: quella in cui l’hostess non ci ha accolto, il maître ha dimenticato di fare il maître, la brigata di sala era altrove con la mente, lo chef si è rifiutato di cucinare il pesce, di togliere con qualche anticipo la passata di fagioli dal congelatore prima di servirla, ecc. ecc.

Eppure gli astri ci avevano avvertito.
Così, un po’ per celia e un po’ per non morire, ci sforziamo di credere che tutto questo non sia la “normale” routine del ristorante, non è possibile, e come il manzoniano don Ferrante, finiamo per prendercela con le stelle.
Ci conforta il pensiero che sul comodino da notte aspettano le “Nine stories” di Salinger, che abbiamo cominciato a rileggere ignorando la successione proposta dall’autore, ma solo (!) sulla base di precedenze affettive: adesso, però, abbiamo bisogno di ordine, riprenderemo dall’inizio. Ci attende, per rifarci la bocca e soprattutto l’anima, l’asciutto, essenziale, rigoroso “A perfect day for bananafish”. Un giorno ideale, ma per i pescibanana, appunto. Per noi, che gli astri abbiamo ignorato, distratti ed incerti cultori di un’ars divinatoria, dai nostri tempi sempre più trascurata e negletta, una serata sbagliata.


Trattoria Toscana.
L’Andana – Tenuta La Badiola – Località Badiola 58043 Castiglione della Pescaia – Grosseto.


Il pochoir è di George Barbier ed è tratto da Vogue.

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Un amico afflitto da una serata infausta mi ha chiesto se lo ospitavamo per questa recensione; certo che sì, abbiamo risposto, conoscendone l'attendibilità e l'ironia. Per l'occasione, lui, poco blogger - fino ad ora? - si è dato un nikname: Sulphur. Dice che lo ha scelto perché nella farmacopea omeopatica se ne parla come di un rimedio naturale indicato per la profonda azione disintossicante su tutto l'organismo; io penso a sulfureo, e anche a zolfanello, che appicca fiamme. Certo ci ha reso curiosi della Trattoria Toscana; chissà, forse in un'altra visita...

3 commenti:

Anonimo ha detto...

curiosi (?!) della trattoria toscana e di rileggere salinger...
plaudendo alla raffinata ironia di sulphur
(e se lo pronunciassino sulfùr, come burghul?)
bentornata artemisia
pomaurea

Martissima ha detto...

anvediii!!! che ti succede a non ascoltar gli astriiii?? ;-)))
Questa me l'era persa..

artemisia comina ha detto...

cara astro, io ti ascolto sempre :))

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