venerdì 19 ottobre 2007

LAZIO. ABBAZIA DI CASAMARI.














Da Mentuccia Fibrena

Ogni volta che c’erano ospiti, li si portava a visitare il gioiello della zona: l’ Abbazia di Casamari, assai prossima alla Valle di Comino. Sorta sull’ennesima traccia di insediamenti romani presenti in questo territorio, la città di Ceretae Mariane, il cui nome è dovuto a Cerere, e di un tempio di un altro dio pagano, Marte, le cui pietre furono usate per la prima Abbazia. Casa Mari, da Caio Mario che a quanto pare vi nacque.

Prima vi furono i neri benedettini, che la fondano. Poi, dopo decadenza e smarrimento, nella metà del XII secolo i bianchi cistercensi, ai quali si deve il rigore e l’armonia gotica dell’attuale abbazia.

Alcune vecchie, allarmanti incisioni mostrano le lunghe tavolate del suo refettorio popolate di rumorosi briganti, che nell’ottocento hanno infestato la zona, serviti da monaci non si sa se minacciati o collusi.

Oggi, dopo tali pittoresche e travagliate vicende, se ne sta apparentemente più tranquilla, con il suo convitto, il suo seminario, il suo osservatorio, la sua farmacia. Farmacia che infine, in anni recenti, è stata separata e distinta dalla sua liquoreria, perdendo l’una e l’altra quella seduzione che dava loro la confusiva mescolanza tra farmaci, infusi, elisir, rimedi antichi che rimandavano all’orto dei semplici o al girovagare di monaci sulle sponde del vicino fiume Amaseno e sui monti ricchi di salubri serpi ed erbe.

Tra i liquori acquistavamo chissà per quale tradizione la terrificante Tintura Imperiale, infernale liquido giallo (90°) a metà tra il medicinale e il liquore, di cui D’Annunzio dice così: "Essenza tra il mistrà e l’assenzio con altri succhi medicinali, squisitissima ... poche gocce bastano a trasmutare un bicchiere d’acqua in una specie di opale paradisiaca". Ancora oggi nell’Armadio Grigio, il grande armadio – dispensa dove si conservano cose utili e soprattutto quelle inutili dalle quali per altro non ci separerebbe giammai, come piatti sbreccati, liquori del tempo che fu e utensili che nessuno sa più a cosa servano (ma non si sa mai) c’è una boccetta del bruciante rimedio. Artemisia si è fermamente proposta di ingurgitarne una dose nella prossima visita, la mente fissa all’opale paradisiaca; faccia pure. Vedremo poi.

Nell’attuale visita mattutina, troviamo la chiesa ancora vuota, tranne un piccolo organista appassionatamente aggrappato all’organo, che l’aveva trasformata in un’immensa cassa armonica tutta vibrante e ruggente, nel rilucente buio appena rischiarato dalle dorate finestre di alabastro.

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