martedì 19 giugno 2007

UMBRIA. ORVIETO. OSTERIA L'ASINO D'ORO.





















Presto scriverò un post dove dirò peste e corna dei ristoranti e delle trattorie di Roma. Per ora, vi invito ad andare ad Orvieto. Che ci vuole? Un'ora e mezza di autostrada, una cittadina bellissima, una trattoria che vale il viaggio.

Se poi andate a cena, vi consiglio di passare la notte in un posto di preti, un grande palazzo scuro e bello, un imponente rinascimento bugnato vicinissimo al Duomo. Entrerete in un androne immenso e buio dopo aver lasciato la macchina in un comodo cortile ed aver attraversato un suggestivo giardino che dà sulla valle; un prete silenzioso, che presto tornerà a sparire nell'ombra, vi darà la chiave di una grande stanza rigorosa e spartana. Pagate subito una modesta somma, e il giorno dopo vi congederete insalutati e soddisfatti ospiti.

Allora si fa così: un sabato pomeriggio, poniamo, si tirano su mutande e spazzolino, si abbandona Roma per Orvieto, si vanno a ritirare le chiavi dai preti e si va tutti lieti dall' Asino d'oro. Dovete sapere come ci si arriva: è un posto centrale e insieme del tutto nascosto. Cercate la torre del Moro, quella alta, con l'orologio, piena di stemmi di pietra. Appoggiatevi la spalla destra, fate cinquanta passi, sulla destra c'è un tunnel stretto e buio: buttatevici dentro. All'uscita, c'è l'Asino d'oro. Il giorno dopo, restate a Orvieto. Guardate una o due cose delle infinite che ha: palazzi, stradine, chiese, etruschi, panorami, botteghe. E poi certo lui, il Duomo.

L'ultima volta è stata invece una visita breve e all'ultimo momento, ma non per questo meno piacevole. Tornavamo a Roma, era una tarda ora di pranzo. Speranzosi e trepidanti siamo arrivati all'Asino d'oro alle due e mezza. La cucina misericordiosa non ci ha rifiutato.

Lucio Sforza, il mirabile cuoco, è come il suo locale: ombroso ed elegante. Lo vedete in scura siluette sulla porta del locale, contro il rilucente sole orvietano dal quale la trattoria ci ha protetto, fresca e azzurrina.

Elegante il cuoco, elegante l'osteria bianca, celeste, grigia, esemplare; elegante la cucina, amata, studiata, protetta. Seducente. Piatti imprevisti. Viene voglia di assaggiare tutto. Tanto che vi riporterò il menu, perché possiate immaginarli e un po' gustarli. Nel tempo abbiamo assaggiato varie prove e creazioni di Lucio - di qui l'Asino d'oro - sempre da festeggiare.

Cominciamo da quelli ordinati: magnifica trippa. Inzimino di trippa al limone. Aromatici aromi, squisitezza.

Nunchesto aggiunge alla trippa anche l' Insalata di nervetti con salsa agrodolce. Felice.

Chiudiamo con un dolce. Nunchesto la Vellutata di fondente, menta romana e peperoncino. Che dice squisita.

Io Mattonella di pan di spagna con amarene e anice.

All'inizio ci hanno offerto due crostini con purè di fave, uno caldo con il lardo, l'altro con del pecorino. Sempre ottimo l'olio, in questo caso sapido, verde, piccantino. Da farne appassionata scarpetta.

Nunchesto ha preso due calici di Orvieto Classico Superiore, Castagnolo Barberani 2005, e alla fine il caffè Jamaica Blue Mountain. 50 € in due.









Avete letto il menu? Attraente, non vi pare? Se vi chiedete cos'è il baffo: guanciale di maiale messo sotto sale, aglio, pepe, sale, con tutta la cotenna.

L'Asino d'oro
vicolo del Popolo, 9
tel. 0763/344406

Villa Mercede, I Mercedari
Casa religiosa di ospitalità
Via Soriana, 2
tel. 0763 341766
Cell. 347 5793062.

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Aggiornamento del 4 ottobre 2008.

Colpo al cuore. siamo tornati dall'Asino d'oro a settembre e abbiamo scoperto che ha chiuso. Notizie web dicono che Lucio Sforza aprirà un ristorante e Roma. Aspettiamo e speriamo.

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Questa volta da Orvieto mi porto i simboli dei quattro evangelisti, che bronzei e rampanti saltano fuori dai ripidi muri lucenti di tessere e vibranti di colonnine tortili.
Più di tutti amo l'aquila con la sua zampa zompante.

Mi porto le righe bianche e nere del Duomo. Gloria alle cattedrali italiane, alle loro geniali righe. Penso a Verona.
Questa volta, volteggiavano piccolissime ai suoi piedi una varietà di suore, molto in tono.

E poi mi porto un palazzo dalle erme femminili e con le tre età dell'uomo sul sommo del portone. Affittavano uno studio di cinquanta metri quadri. Penso agli innumerevoli palazzi orvietani, a quante stanze mi piacerebbe abitare, scoprire, arredare.








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