sabato 5 maggio 2007

FRANCIA. UN GIRO NELLA BORGOGNA SUD. CORMATIN



Tra le mete della Borgogna del sud, una primeggia: CORMATIN.
Ciò che resta di un castello Luigi XIII, in particolare di una decorazione Luigi XIII. La famiglia del luogo, intima di Maria de’ Medici, la imitò – quella aveva appena tirato su il palazzo di Lussemburgo - e si fece consigliare sull’arredamento. Oggi pare che nulla, di quelle decorazioni e di quella moda, sia restato così integro in Francia. Moda e decorazioni che si occupavano di tutto, dal soffitto al pavimento alle pareti, senza nulla risparmiare, inondandoli di simboli, di araldica, enigmatiche facce e soprattutto di stupefacenti, scostumati colori. Cormatin in cui fummo anni fa, e che tanto ricordammo da tornarvi.



A Cormatin lambris e soffitti sono rimasti in alcun stanze tal quali, poiché il signore del luogo, un giovane dai rossi capelli, il marchese d’Huxelles, lasciata l’ancor più giovane moglie a occuparsi della decorazione del castello (1628), se ne andò in guerra e, pare ahimé per farsi bello con la regina, si espose troppo e morì sparato. Quella, la sposa, lasciò le cose a metà, sigillò le stanze così accuratamente allestite e si ritirò in appartamenti da vedova.

Nel castello passò, dopo di loro, di tutto, inclusa una scriteriata signora, amante di Lamartine – che, per inciso, era veramente mascalzone – un magniloquente direttore del teatro dell’opera di Montecarlo, un barbaro fabbricante di stoffe. Tuttavia, pare che di quelle specifiche stanze decorate nessuno avesse bisogno, e si salvarono. Il che non è così scontato, perché, tanto per dire, uno dei proprietari del XIX secolo avendo bisogno di danaro, affitta un’ala del castello al fabbricante di stoffe; quello per attrezzarla ai suoi fini demolisce qualcosa che non doveva demolire, e l’ala gli casca in testa. Oggi al posto dell’ala sud c’è un bel terrazzo.

Quanto al direttore, “salva” il castello così come si faceva nell’ottocento: lo si acquista leggendo l’annuncio sul giornale: “magnifico nobile castello a quattro soldi”, si rivendono le terre rifacendosi della spesa iniziale che nei castelli è sempre il minimo, quindi ci si rovina riarredando le stanze con altari barocchi trasformati in camini, si allestiscono ampie biblioteche molto “cosy” con divani di velluto e pelli di leopardo buttate qua e là, e si invita tutto il bel mondo a fare festa in campagna e una soprano a stare da te dentro un letto veneziano molto dorato pieno di volute.



Gli ultimi acquirenti sono stati quattro amici senza denaro – parlar di castelli e parlar di soldi è tutt’uno – che lo comperano, di nuovo fatiscente, per l’equivalente – così dice la leggenda – di quattro studiò nel centro di Parigi. Certo, la spesa del restauro era ben più alta, e qui arriva un’impresa da un lato, contributi statali dall’altro. L’impresa è il castello stesso, molto visitato soprattutto dopo che gli amici scoprono le decorazioni, dimenticate dietro le porte chiuse e sepolte sotto coltri e coltri di polvere. Decorazioni che basta spazzolare, e resuscitano nei loro vivi colori. E badate che questa storia dei vivi colori a Cormatin la si apprezza senza retorica, perché il direttore d’opera, nei suoi ottocenteschi restauri, chiama uno scenografo a dipingere uno stanzino che la vedovanza aveva lasciato senza colori e dorature, ed oggi si può comparare questo con gli originali. Niente oro vero, niente lapislazzuli nel blu, niente luce, niente trasparenza, solo opacità e vecchiume che si scrosta.

Lo stato interviene per lo stesso motivo per il quale accorre il pubblico: le decorazioni sono eccezionali. E’ interessante dire che gli amici erano poveri di danaro, ma ricchi di cultura. Sono infatti archivisti e storici. Questo non solo garantisce una attuale manutenzione del luogo colta e accurata, ma fa supporre che qualche traccia di ciò che avrebbero trovato dovevano pur averla. Fatto sta, che qualche anno dopo, due di loro acquistano un altro castello, lo château de Fléchères a Fareins e di nuovo scoprono affreschi, questa volta del XVII secolo, sepolti sotto vernici e oblii.
Che dire?

Queste sono pareti e soffitto dell’ anticamera degli appartamenti della marchesa.




Qui siamo, invece, nella camera della marchesa, assai decorata di fiori, perché, dice la garbata guida, auguranti prosperità, floridità alla giovane, che doveva il più sollecitamente possibile divenire prolifica madre.



La camera aveva un letto con cortine da un lato perché non ingombrasse, e tavole allestite alla bisogna davanti al camino, essendo dedicata a molti usi, tra cui principalmente i ricevimenti non solo degli intimi, ma di ogni visitatore che non fosse così infimo o nemico da essere confinato in anticamera.




Questo che segue è il gabinetto di Santa Lucia, la stanza più ricca, dedicata alle meditazioni del marchese, alle sue carte, a rappresentarlo. Abbondano ori, il prezioso blu dei lapislazzuli e simboli.



Tutto è un’allegoria e un indovinello. La guida chiude gli scuri e invita a vedere come l’oro moltiplichi la luce di quell’epoca di candele. Tenete presente che rispetto ai coevi palazzi italiani, tutto è gradevolmente più piccolo, più domestico, più provinciale e più colorato. Non spingete troppo in su queste pareti, ma tenetele accostate a voi, intorno a voi. Non immaginate immense porte che imitano archi trionfali, ma piccole porte segrete nascoste nei lambris, che chiuse celano la via d’uscita, creando un mondo separato, a parte. Insomma, ci si può immaginare di abitarvi piacevolmente, in quelle stanze, senza tanti spifferi in inverno e freschi d’estate.



Siete curiosi? Quella con la colonna a tracolla è Minerva.



Adesso passiamo nella wunderkammer, la stanza delle mirabilia. Non manca nemmeno il coccodrillo. Anzi, se non mi sbaglio, ce ne sono due, anche se alquanto ridotti di taglia, insieme ad altri curiosi animali. Qualcuno si intravede anche qui, in compagnia di conchiglie, coralli, porcellane, scheletri, secretaire, gusci di tartaruga, idoli africani. Ovviamente tutto l’attuale parafernalia è un divertimento degli odierni proprietari, pur ammettendo che quello del marchese potesse con questo competere e forse vincere. Si vedono anche degli specchi, non d’epoca. Al tempo di Luigi XIII infatti non c’erano che assai piccoli specchi di Venezia dal costo vertiginoso. E’ solo da suo figlio, Luigi XIV, in poi che si inizia a largheggiare con le riflettenti superfici. In origine quindi, bisogna immaginare al loro posto altri paesaggi dipinti. Tuttavia, queste pareti specchiate donano assai all’oscurità misteriosa della wunderkammer, la camera che sollecita e nutre la fantasia.






Sul soffitto della wunderkammer alcuni putti di sguincio; non un gran sguincio, in verità, chiosava la guida, che si concedeva la civetteria di sottolineare il provincialismo della pittura, mentre godeva l’effetto che su di noi faceva il complessivo fascino del luogo. Ispirata, quella pittura, dagli italiani; in particolare pare che per questi putti ci fossero cartoni di Orazio Gentileschi, arrivati via Maria de’ Medici.



Cormatin va pure orgoglioso della scala di rappresentanza, dall’architettura per l’epoca ardita detta à cage vide, e tutt’ora assai bella.




E adesso un’altra occhiata, dopo il letto della soprano, agli arredi ottocenteschi, quelli del direttore del teatro. Ecco le pareti post-wunderkammer della biblioteca, stanza privata aperta al pubblico; se le pelli di leopardo sono d’epoca come i cuscini ricamati, i libri sono attuali, i vecchi divani morbidi e ci siederebbe volentieri a leggere un po’, senza guida alle costole.





Ora la cucina, piena di rami. In questa cucina s’aggirava, sempre grazie alla guida, un altro fantasma: la nobile signora che nel periodo della Rivoluzione, avendo un marito sospetto e lungi da lei, non so più dove, viveva da sola cercando di non dare nell’occhio e di non farsi tirare il collo, tenendo solo due servitori e abitando con i suoi sette figli in una stanza prossima a questa. La immaginavo cuocere uova alla brace e girare lo spiedo nel camino affumicandosi tutta; infatti il camino è grande ma disadatto a una cucina, non abbastanza profondo. La cucina del castello in effetti in origine non era qui. Le andò bene, alla dama; Cormatin è l’unico castello dei luoghi che non sia stato raso al suolo.





Il castello ha anche un giardino, cui gli archivisti hanno dedicato zelo, senza il successo riscontrato negli interni. I giardini chiedono un genio a parte. Il maggior risultato è un labirinto, di cui si vede un angolo nella prima foto del castello. Quando venimmo qui la prima volta, dieci anni fa, il labirinto era bambino, con piccole piante che aspiravano al futuro. Oggi dei ragazzetti vi correvano dentro, sparendovi e gridando di gioia. Qui dedico qualche foto ai bei trespoli di rami intrecciati che ricordano il passato e all’arte topiaria, per me sempre affascinante.




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