La Vanità della ricchezza o L'Avaro malinconico. In prestito permenente dalla Fondazione Benetton alle Collezioni Civiche di Treviso.
Ludovico Pozzoserrato, italianizzazione di Lodewijk Toeput, è stato un pittore, incisore e poeta fiammingo, attivo in Veneto e in particolar modo a Treviso. Vi giunse nel 1582 dopo aver girato l'Italia passando da Anversa a Venezia nella bottega del Tintoretto, Firenze, Roma, Venezia.
Influenzato dal manierismo veneto, che rielabora come un fiammingo.
Il detto popolare sarebbe: chi mangia da solo, si strozza. Il ricco signore rappresentato siede, tutto solo, a una tavola riccamente imbandita. Solo, perché la fanciullona rosea che sta con lui non è per nulla commensale, ma pura appendice dello strumento musicale che suona, e forse complemento dei dolci che stanno sulla tavola, ricca di frutta, pani, confetti, formaggio. Sbircio curiosa certi piccoli attraenti pasticci in un paio di piatti, ma non sono in grado di decifrarli. Fantastico che siano, come certi ripieni siciliani arrivati fino ai nostri tempi, fatti di carne, cioccolato, spezie.
Il turbante indica che il signore è un peccatore, preso in una cultura deviata e da correggere, emblematicamente rappresentata dal dannato turbante mussulmano. Suppongo che l’angelo ammonitore, apparso in opportuno fulgore, gli stia facendo una predica. La faccia del malinconico, appena un po' sorpresa, è debitamente afflitta, chissà se per i suoi peccati, o per la predica.
La cosa interessante è che il peccato consiste nel mangiar da solo, nel non offrire ad alcuno. La cultura della convivialità è profondamente, intensamente connessa a quella del cibo. E, alla faccia dell’angelo, le Mille e una notte, per esempio, sono assai felicemente intrise di questa cultura.
Certo la densità iconologica del quadro va assai oltre le mie approssimative impressioni, di sicuro c'è qualche predica più solenne di quella che ho abbozzato. Aspetto che un Panofsky lo dica.
Il pittore, un fiammingo italianizzato, celebra in molti dipinti le ville della campagna veneta, i loro giardini, i ricchi banchetti che vi venivano allestiti. Nel Cinquecento la terraferma veneziana diventa centrale, e con essa la villa di campagna che ne regola la produttività, mentre si rievoca il mito della villa della Roma antica, ove nell’otium ci si dedica alla filosofia, alla letteratura, ai trattati di agricoltura, ma anche alla convivialità.
Oggi vedo una cultura del mangiar da soli, del gourmet non distratto dalla compagnia, concentrato sul cibo nel suo piatto; gli altri sono ammessi come la fanciullona: a curarli, spupazzarli. Lo stesso chef non è più in cucina, ma accanto al tavolo, a chiedere se tutto va bene (è una cultura di ristorante). E' un po’ neonatale, da nursery. Centrando tutto su di essa, si trascurano gli avventori che cercano anche la convivialità, relazioni felici.
Vale la pena buttare lo sguardo sui suoi banchetti nei bellissimi giardini formali che i veneziani avevano in terraferma.
Banquet in a Formal Palace Garden, collezione privata. Il banchetto è sullo sfondo, sotto una pergola; in primo piano, il servizio. E' un banchetto di fine estate, ci sono anche i fichi.
Allegoria dell'Estate(attr.) In vendita qualche tempo fa. Ammirevoli i contadini, in livrea azzurra e rosa.
Immagini da:
letrevenezie.net
wga
starlightmasquerade.com
bjws.blogspot.it (con altri banchetti)
the-saleroom.com
3 commenti:
Quanto c'è sempre da imparare a venirti a trovare(rima estemporanea non voluta...)
bellissimo post grazie
grazie fanciulle, mi consolate assai.
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