lunedì 17 settembre 2007

VENEZIA. RIVA DEL VIN.













Sono stata catturata, affascinata dalla densità ribollente dell’umanità che popola la Riva del Vin, sotto il ponte di Rialto; dalla inebriante (tenendo ben presente l’emicrania) condivisione di un mito e dai defatiganti riti che incessantemente ne impegnano gli attori.

Presa dalle facce da pirati, ora semplicemente determinati predatori volti allo scopo, ora ironicamente strafottenti in alcuni momenti di sosta in cui rinsaldano la delittuosa complicità tra loro, di camerieri e gondolieri. Da quelle invasate e devastate dal sogno, ma anche spaurite, o disilluse, o infine definitivamente annoiate e consolatoriamente rifugiate nelle proprie fisime dei turisti. I lampioncini, i fiori finti, le cotolette alla milanese, il sea food, gli spaghetti allo scoglio, le lasagne alla bolognese, le french fried, il touristic menù, l’all included. Mi è parso di sfiorare un universo che con la sua coerenza implacabile e piena avrebbe potuto catturarmi, prendermi dentro un’altra Venezia, masticarmi e sputarmi in canale ridotta a pura, estereffatta lisca.

Sull’angolo di un muro vegliavano, ignorati e speriamo protettori, due giovani santi azzimati e martiri.



La folla che percorre e macina Venezia nella seconda metà di agosto vista dalle calli interne alla Riva degli Schiavoni.

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