martedì 11 maggio 2010

Che cos’è una caccavella. Con Frédéric Burdel



Caccavella: dal latino caccabus, greco kàkkabos, pentola.

Il termine è passato al napoletano dove nelle caccavelle di terracotta invetriata hanno pippiolato a lungo i ragù; di lì, mutando alquanto senso, è arrivata a significare oggetto, marchingegno che sembrerebbe dover lottare per la sua sopravvivenza, per mantenere un sentimento utilità, sempre sul limite dell'essere buttato dalla finestra. Caccavella può essere un attrezzo dalla dubbia utilità quale un improbabile stampo per fare ravioli a forma di dentiera di cavallo (lo mostrerò a breve), oppure uno che fu utile, ma che grazie al suo dissesto sta scivolando verso l'inutilità, come potrebbe essere un'automobile centenaria.

Nella caccavella la constatazione dell'inutilità confligge, a volte aspramente, a volte con un sentimento di rassegnazione se non di compiacimento, con il forte legame che il possessore dell'oggetto-caccavella ha per quest'ultimo. Tale legame affettivo potrebbe nascere dalla necessità - non ci si può permettere niente di meglio che quella caccavella - ma a scavar meglio sovente si scopre la gratuità di quell'amore, del cedere alla seduzione che la caccavella suscita non in quanto necessaria, ma in quanto scelta e posseduta.

Alcuni hanno una propensione accentuata al possesso della caccavella, diventandone accumulatori. Costoro si distinguono in due famiglie affettive: quelli che le accumulano acquistandole, e quelli che le ammucchiamo non buttando via mai nulla. E' ovviamente possibile una combinazione delle due attitudini.

Le due normali psicopatologie si spiegano attraverso l'identificazione proiettiva: l'oggetto non è altro da sè, ma parte intrinseca di sè. I primi riconoscono nell'oggetto da acquistare parti di sè disperse nel mondo e le recuperano con l'acquisto, i secondi sentono che buttando la caccavella si separerebbero da parti di sè scisse e al momento infilate in cassetti o armadi. E' per ciò del tutto insensato invitare sia gli uni che gli altri a separarsi da tali oggetti, come pure attendersi che li utilizzino, in quanto la funzione degli stessi è già perseguita attraverso il puro possesso.

La configurazione emozionale della caccavella come inutile eppure essenziale viene spiegata da come essa funzioni, ottimamente, da parti scisse dei soggetti in esame.

Nota al margine: caccavella è anche una sorta di tamburo, chiamato anche putipù e con altri regionali nomi.

Il post viene illustrato con una caccavella nobile e costosissima: la pressa per anatre.

E' all'opera Frédéric Burdel, famoso maître d’hôtel de La Tour d’Argent, nel 1890 porta a perfezione la vecchia ricetta del canard au sang, che comporta l'uso di una monumentale pressa d'argento, dove la carcassa della bestia viene schiacciata per incrementare la salsa con il suo sangue. Léon Daudet ha descritto Frédéric “avec son lorgnon, ses favoris grisonnants, son sérieux imperturbable, découpant son coincoin dodu, troussé, déjà flambé, le jetant dans la casserole, préparant la sauce, salant et poivrant comme peignait Claude Monet, avec le recul du jugé et la précision du mathématicien et ouvrant d’une main sûre à l’avance toutes les perspectives du goût.

Da leguidedesconnaisseurs

L'immagine, un affresco su una parete de La Tour d’Argent, da bertivr.it

24 commenti:

La Gaia Celiaca ha detto...

ecco cos'era la caccavella!


grazie mille della spiegazione.

io le chiamo mai-più-senza, da una rubrica mai dimenticata del settimanale di resistenza umana cuore di molti anni fa

Anonimo ha detto...

quante caccavelle nella mia vita! amate, conservate, coccolate e che suscitano la rabbia di chi mi vive accanto e che se pur più grande di me vive ancora e solo nel presente...ma è anche la ragione per cui non ama la poesia

Anonimo ha detto...

Coltissimo, geniale ,lieve.

La Signora Laura ha detto...

Bellissimo post! Io di caccavelle sono piena e appartengo alla categoria compratrice :)

papavero di campo ha detto...

due considerazioni,

una, non hai resistito, hai fatto entrare lo psicologese in cucina benebene! :-))) mi sta bene assai! parti scisse infilate nei cassetti! intanto penso a frotte di elementi beta indigeriti che si aggirano per casa!

due, caccavella per me è oggetto deteriorato fino allo scalcagnato ma-non-ti-butto-perché-per-me-vali (un po' anche per via che ogni scarrafone è bello a mammasoia)
(esempio di caccavella in casa papavaresca: un "callaruccio" d'alluminio senza più manici e ammaccato ma guai a non averlo sotto gli occhi)

acquaviva ha detto...

adoro il tuo senso dell'ironia! A cosa altro serve la cultura, altrimenti?

Paula Feldman ha detto...

Allora la mia mancante aspirazione ad avere caccavelle eletronici come robot ecc piuttosto con quelli meccanici, a livelli 'preistorici', come una pietra piatta per sottigliare le farine ha qualcosa da fare con la mia neandertalità tecnologica e mio amore per bistecche di brontosauro?

PS: e io che pensavo che la parola caccavella l'avevate inventate voi dei food blog! BLUSH BLUSH

maia @ sac à poche ha detto...

Bellissimo post!

ora so cosa di cosa e' piena la mia cucina :-)

ciao

Lydia ha detto...

Propongo questo post per il premio post dell'anno.
Sei un genio, in quanto accumulatrice di entrambe le specie, acquisto e non butto, non posso far altro che stamparlo

enza ha detto...

no, dico ti pare bello quello che hai scritto? alle quasi 23 della sera dopo aver lottato con quattro pezzi di me gambemuniti e laringemuniti che tentano di farmi capire che son altro da me, ho dovuto impegnarmi per mettere in moto i miei due neuroni con sinapsi inibitoria.
ora a parte il fatto che sono la sintesi delle due tipologie (al limite del patologico) e che mi riconosco nel se e nell'altro da se; voto anche io per il post dell'anno.
chapeau.

Anonimo ha detto...

Oh, Arte, questo post e' semplicemente geniale...ora che so che tutti i miei problemi risiedono in un (nobile!) tentativo di rimanere integra, sfidando scissioni e perdite del me (si puo' dire?)... potro' finalmente cedere e andare a comprare un attrezzino per fare le ciambelle (col buco) che ho vito in un negozio di roba indiana e alla quale avevo stoicamente resistito... LOL W le caccavelle!!
Robi

ornella ha detto...

Bello, bello, bello e.... stimolante questo post!!!!!
Grande Arté, mi hai dato un'idea!!!!
Un abbraccio al volo,
Ornella

papavero di campo ha detto...

facendo il culo alle pulci si potrebbe disquisire sull'accezione generale del termine, che ogni dizionario intende per pentola di coccio e sull'uso linguistico individuale ( o di ristretto gruppo) beh allora sull'idioletto (che in linguistica è lo stile e l'uso personale) siamo nell'ampio campo della soggettività! tu dici inutile ma per altri è utile, tu dici essenziale altri dirà non indispensabile..e lasciando perdere il coté affettivo,
a regola l'attrezzo nobile e costoso per pressare l'anatra non è caccavella bensì bizzarria, stravagante risorsa utilissima però all'uopo che si prefigge,
e l'attrezzo pei ravioloni -che non posseggo e m'alluzza un sacco, lo riterrei molto proficuo e utile se non altro a dare quella bella forma di ventaglio smerigliato che a mano col cavolo ..
le pulci! già metti certe pulci nelle orecchie tu!
e poi ci lasci a starnazzare:-))

la belle auberge ha detto...

mi viene spontaneo chiedere: come nasce il desiderio?. Parecchio tempo fa, avevo letto alcune riflessioni di René Girard, per me illuminati.

"Riflettendoci bene (ma lo riconosciamo abbastanza di rado): noi desideriamo meno l'oggetto di quanto invidiamo la persona che possiede quell'oggetto; quest'ultimo non avendo quindi che un'importanza molto relativa. E, in alcuni casi, traiamo soddisfazione, più che dal possesso dell'oggetto stesso, dal fatto che l'altro non riesca a possederlo. Del resto la pubblicità, quest'inno al possesso di oggetti, offre alla nostra coscienza desiderante non già un prodotto nella sua, per così dire, cosalità, ma delle persone, degli altri, che desiderano questo prodotto e che sembrano bearsi del suo possesso.".

da qui:
http://lafrusta.net/rec_girard.html

la belle auberge ha detto...

ovviamente volevo scrivere "illuminanti".

ciao
eu

artemisia comina ha detto...

care amiche, non mi resta che rilanciare, mostrandovi una caccavella - dentiera di cavallo. guardate il prossimo post.

(cara pap, trattasi di oggetto che susciterebbe in quasi tutti coloro che sono al corrente dell'esistenza di oggetti caccavella, la tentazione di esclamare: ee ccheè 'sta caccavella?).

artemisia comina ha detto...

pensiero al volo: ornella, non è che sta per arrivare un contest sulla miglior caccavella? :DD

Ciboulette ha detto...

mi ero persa questo post, me ne ha parlato Lydia. Per fortuna!
L'ho letto avidamente con il gusto del malato che legge i propri sintomi sull'enciclopedia medica :)

Ho letto che ti sei regalata il riso alla persiana senza ospiti, penso che sia il massimo, così la crosticina era tutta per te :D

MarinaV ha detto...

Artemisia for president of the republic of foodbloggers!

Caccavella o mai-più-senza: impossibile disfarsene.

equipaje ha detto...

Psicopatologia della caccavella! Fantastico :)*

artemisia comina ha detto...

psicopatologia, sì, ma della vita quotidiana ;)

pina ha detto...

caccavella per me che sono irpina vuol dire profumi, litigate, pranzi luculliani e cocci rotti.
Che bella spiegazione!

artemisia comina ha detto...

ciao pina, ho visto il vostro bel network :)

Anonimo ha detto...
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