sabato 10 novembre 2007

ROMA. RISTORANTE CINESE GREEN TEA.



In fuga dal ristorante del Palazzo delle Esposizioni, ci infiliamo da Green Tea, che è sulla strada di casa.

Io mi faccio parecchio guidare dal naso quando mi infilo in un ristorante, da una certa aria che emana, fatta di garbo, accuratezza, estetica, odori…

Quando Green Tea ha aperto, l’ho subito adocchiato e dopo un po’ siamo andati a provarlo. Si tratta di un ristorante cinese di tipo del tutto particolare, aperto da una ex giornalista cinese e un italiano con l’intento di proporre la cucina cinese “alta” e non campagnola come fanno tutti i ristoranti della capitale.

Cura, eleganza, piatti insoliti ed interessanti e prezzi adeguati (50 euro a persona, senza vino, in media) hanno caratterizzato le nostre diverse visite al ristorante.

Pensavo che vi avrei parlato degli ottimi – mi pare - spaghetti piccanti (non chiedetemi maggiore precisione, perché la memoria in proposito non è stata rinnovata) ma quando entriamo troviamo una novità: un menù da mezzogiorno, 15 euro, di carne (anche altri vari, sempre intorno a questo prezzo) e poiché siamo proprio "di passaggio" ci facciamo tentare dalla curiosità.

C’è gente e un certo casino, diverso dalla solita atmosfera tranquilla; sarà anche per questo, per i menu economici che, scopriamo, caratterizzano la settimana ma solo da poco sono stati estesi al sabato.

Ma soprattutto, c’è un pargolo debitamente caruccio con in mano un piatto di pesce al vapore, gli occhi a mandorla, che insegue per il ristorante mamma e papà tirandoli per la giacca ed esigendo ogni attenzione, pena parecchi strilli. La tata dei gestori si è suicidata, è tornata in Cina, si è licenziata; insomma, il pargolo è qui.

Forse questo contribuisce a far sì che noi si mangi tutto il vassoio chip ordinato senza che Nunchesto veda il suo bicchiere di vino rosso (il garbato e simpatico gestore cura abbastanza l’aspetto vini, come scelte possibili; quanto all’averli a tavola, Nuche dice che è sempre stato un po’ difficile e che bisogna insistere, ma questa volta non se parla proprio).

Quanto al vassoio, non conteneva nulla di seducente; un paio di ali di pollo fritte, della verdura cotta nel wok, del riso con l’anatra, una buona zuppa calda. Ma sulla cucina popolare vince la concorrenza.

Meditazione generale: Roma tende ad attrarre entro il suo ventre sciamannato anche iniziative che partono con certe fantasie e intenti di cura.

Per gli spaghetti piccanti, se ne riparla alla prossima, che non sarà a mezzogiorno di sabato.

PS sulla luce.
Niente foto del vassoio, che non era poi così meritevole di documentazione; ma sarebbe stato comunque impossibile visto il buio veramente fitto che si annuvolava sul tavolo. Alcuni tavoli del Green Tea infatti sono immersi senza scampo nell'ombra fitta, mentre su altri cade la soccorrevole ma troppo casuale luce dei faretti. Aggiungo di sfuggita che è meglio evitare i tavoli della stanza d’ingresso, non solo per l'oscurità ma anche per gli spifferi. Ma torno alla luce. Fotografare mi ha portato ad avere una particolare attenzione per la luce dei ristoranti, e mi sto accorgendo che al di là della mia esigenza di set, questa spesso non funziona per niente. Se alcune trattorie hanno potuto affliggerci nel passato con il cadaverico neon nemico delle ombre, se alcuni ristoranti hanno pensato di cavarsela con applique che se sono principale fonte di luce strisciano le pareti e illividiscono volti e piatti, oggi molti luoghi ci mortificano con penombre indistinte, a loro volta ostili a qualsiasi confortevole e pensata variazione luminosa; penombre che si suppongono a torto suggestive, per le quali sui piatti cala un funebre crepuscolo e tutte le vacche sono grigie.

Green Tea
Via di Pie' di Marmo 28
tel. 066798628
00186 Roma

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