venerdì 27 novembre 2015

Fettine ai due carboni. Di Celeste, anni Trenta del Novecento.


Mentuccia racconta come l'esperta cuoca Celeste, moglie di farmacista che voleva tavola ammannita - si ricordano gli opportunamente celesti, vagamente afflitti occhi di Celeste, cerulea, bionda, con aure di bontà, e le rotondità lucenti e soddisfatte di lui, che ai bimbi sembrava troppo sorridente, specie avendo visto cosa consevava sotto spirito in certi barattoli di vetro, "scientifici", in famacia  - consegnò note di cucina all'amica Aida, recente moglie di notaio. Aida, sprovvista di saperi culinari, se ne andava - 1935 - in quella che viveva come sperduta campagna, ma comunque con l'incerto progetto di divenire padrona di casa (a Mentuccia disse che portò con sè anche le cannucce graduate per le bolle di sapone e le papere di celluloide per il bagno, e notare che era venticinquenne, una zitella).
Della  ricetta seguono traduzioni di Artemisia, che l'ha provata con soddisfazione con mezzi moderni; ma viene riportata anche con le parole di Celeste. Artemisia traduce come fuoco lentissimo e bassissimo un fuoco di due soli carboni; all'epoca le cucine perfette erano attrezzate con lunghi banchi di muratura rivestiti di lucenti piastrelle bianche, in cui si aprivano a distanza regolare delle fornacelle, che sotto avevano il vano per infilar legna o carbone, chiuso da uno sportellino dove un'apertura regolabile permetteva di aggiustare il tiraggio, e sopra si aprivano con bocche di fuoco di cui potevi regolare l'ampiezza attraverso mobili cerchi concentrici di ferro. I banchi ospitavano, rinserrandolo in sè, anche il calderone di rame, dove avere sempre acqua calda. In alcuni casi, come nella cucina di Gigina, la madre di Aida, il banco poteva pure includere, trasformato dalla veste bianca e luccicante di piastrelle, dalla posizione alta, il camino. Il disegno rievoca una delle due cucine della casa di campagna dove andò Aida da sposa, quella della cognata, la zia Bianca, che abitava una metà della grande casa; era la cucina più antica, almeno ottocentesca, con una porta finestra che dava su un giardino-terrazza interno; oltre a un grande camino, c'era un lungo bancone di fornacelle, moderno all'inzio del Novecento, poi haimé demolito perchè ritenuto obsoleto. Lo ricordo in funzione, prima della distruzione, una sera di Natale molto remota, in cui ero molto bambina; si fecero pizze fritte, quale con l'acciuga, quale con una cima di cavolfiore all'interno. Che gioia, che festa; perché gli adulti - quelli che posseggono cucine - non apprendono, tutti, quanto sia importante fare festa - ma farla bene, con grazia e competenza, con sorpresa e divertimento, senza sacrifici di donne pellicano - ogni volta che si può?

Fettine ai due carboni. Di Celeste, anni Trenta del Novecento


La ricetta di Celeste alla lettera


Si prende la carne di filetto o di girello e si taglia a fettine molto sottili. Si mette in un recipiente piuttosto alto del burro e vi si accomodano le fettine di carne una sull'altra, cospargendole di giusto sale una per una. Si copre bene la casseruola, mettendo tra essa e il coperchio un foglio di carta e mettendo sul coperchio qualche peso. Si mette a cuocere a lentissimo fuoco (un paio di carboni) e si fa andare per due ore voltando qualche volta tutto il gruppo delle fettine unite sotto-sopra. Quando è ora di servire si mette nella casseruola una miscela formata da due dita di vino allungato con acqua, un cucchiaino di farina e prezzemolo tritato. Si sciolgono le fette di carne una dall'altra e si pone la casseruola  su fuoco molto forte. Si fa rosolare la carne, indi si toglie dal fuoco e si serve subito.


Versione 1 di Artemisia

L'ho trovato un piatto ottimo. Servito con un giro di broccoletti siciliani lessati al dente intorno. Viva Celeste.

Ungere il fondo di una pentola di ghisa o di coccio con del burro, abbondare, lasciarne anche qualche fiocchetto. La pentola deve permettere la sovrapposizione ripetuta di fettine di carne: diametro contenuto e bordi alti (ho usato un pentolino di coccio alto di 14cm di diametro, riempito per due terzi; per chiuderlo ho usato carta d'argento stretta da un elastico e ci ho rovesciato su una pentola d'acciaio a misura che lo incoperchiava quasi fino alla base: è la pentola dietro a quella di coccio delle foto).

Mettervi delle fettine sottilissime e battute di carne tenera (filetto o girello; ho usato filetto di maiale; con 500g di filetto di maiale, quattro persone modiche. Per tagliare sottilmente la carne, un pezzo intero, l'ho fatta un po' congelare) sovrapposte, cosparse di sale ed erbette (secche o fresche secondo stagione) una dopo l'altra (ho aggiunto alle erbette un cucchiaino di glutammato).

Mettervi su un coperchio ben aderente, pesante; fuoco lentissimo e bassissimo - da un'ora a due a seconda del tipo di carne e della quantità - voltandole poche volte, senza separarle (è bastata una cottura di poco più di un'ora; per avere un fuoco minimo ho sovrapposto due spargifiamma).

Quando è ora di servire, toglierle dalla pentola e scioglierle (le fettine si compattano ed è facile voltarle; anzi, tanto si compattano, che risulta più ostico pensare di "scioglierle" in fine, tanto che io le ho servite come un tortino; ma penso che qui sarà diverso di volta in volta a seconda del tipo di carne). 

Mettere nella pentola due dita di vino, un cucchiaino di maizena sciolto in due dita di acqua, del prezzemolo tritato. Rimettere la carne nella pentola e far andare a fuoco alto rosolando.

Servire subito con un giro di pepe nero appena macinato.

Alla fine non avevo molto sugo e poi volevo mangiarle il giorno dopo, quindi anche il poco che c'era, raffreddandosi si è asciugato; al momento opportuno, ho scaldato il tutto nel Mo e per condire ho sciolto un po' di burro, a cui ho aggiunto prezzemolo e pepe nero macinato fresco e l'ho rovesciato sul tortino. 


Versione 2 di Artemisia

Vista la riuscita, ho cotto circa 800g di fettine di filetto di maiale per un piccolo pranzo per otto.

Questa volta la cottura, affidata a Teo che è abituato alla cucina cinese e non riesce a credere alla cottura a fuoco basso anzi bassissimo, è stata alquanto vivace - dopo soli 40' erano cotte, e c'erano due dita di sugo che la prima volta mancavano; l'ho "bagnato" con un sorso di sakè - visto che oramai eravamo in Oriente - l'ho fatto addensare con poca maizena, ho aggiunto prezzemolo triturato abbondante.

Quindi ho fatto un'operazione che ripeterei: siccome le fette erano compatte come la prima volta, le ho affettate. Questo le ha sciolte; non le ho fatte rosolare nel sugo come dice Celeste, ma le ho servite così, con sopra la salsa, circondate di broccolo romano; comunque buone.

Nel menu di  Novembre 2015. Il pranzo dei seminaristi soddisfatti









Nessun commento:

Posta un commento

commenti